Teatro

Teatro dei Luoghi: una casa aperta a Lecce

12 Agosto 2020

La casa e la bottega: si torna sempre lì. Il teatro, storicamente, è un fatto di famiglia. Oggi si direbbe di “congiunti”. Si cresce “a bottega”, si impara guardando e vivendo. Si condivide tutto, “gioie e dolori” – come si usa dire. Spesso gavetta, a volte successi. Come da tradizione si viaggia, si dorme assieme, e il teatro è lo sfondo e il primo piano, è la condanna e la salvazione, è la miseria e la nobiltà dell’arte.

Allora, una delle cose belle che mi porto dietro dai due giorni passati al Festival Teatro dei Luoghi di Lecce è proprio un istante commovente, un “affare di famiglia”. La manifestazione ha come sottotitolo “il teatro della fioritura”, perché – anche come apotropaica formula – si spera che, nonostante il cupo peso della pandemia, possano ancora germogliare novità e bellezza.

 

La compagnia Nando e Maila

Allora ecco in breve la cosa bella che voglio raccontare. Nel bellissimo (e recuperato) spazio della Masseria Tagliatelle, c’era uno spettacolo dell’apprezzato duo Nando e Maila, Sonata per Tubi: clownerie intelligente, contrabbassi inventati con tubi di gomma, gag a non finire su arie celebri e pezzi rock. Insomma, un circo vitale, semplice, efficacissimo nella sua immediatezza. Nando e Maila, ovvero Ferdinando D’Andria e Maila Sparapani, sono acrobati, multistrumentisti, clown e sanno dar vita a un lavoro estremamente godibile con la musica, le canzoni, il palo cinese, le giocolerie, il coinvolgimento del pubblico. Tutto funziona, dunque bene. Ma non basta. Perché a un certo punto del lavoro, sbuca da una botola del palcoscenico una ragazzina, davvero giovane, che subito entra in sintonia con i due protagonisti. Fa giravolte, suona, si inerpica, fa acrobazie assieme ai due adulti. All’inizio evidentemente emozionata, poi sempre più a suo agio. Ecco, capiremo, ai saluti, che è la figlia di Nando e Maila, è la tredicenne Marilù. E che da ora quella famiglia di circensi girovaghi si è arricchita di un’altra protagonista. Ai saluti, in quel momento in cui arrivano gli applausi, era bello notare Marilù che guardava emozionata il padre, emozionato quanto lei, e poi scorgere il sorriso di Maila, che la abbracciava con gli occhi.

Il circo, in Italia, è stato ed è spesso familiare: e quel sapore antico da tendoni che si piantano in periferia non l’ha perso del tutto. Certo, il settore vive grandissime difficoltà in seguito al blocco e alle “distanze” imposte, difficoltà cui anche noi addetti ai lavori diamo davvero troppo poco peso. Eppure siamo felici di poter dire che la tradizione non si è persa.

L’abito della festa, foto di Giovanni William Palmisano

Qualcosa, poi, si radica. Come il Teatro Koreja, quella struttura nata dall’entusiasmo e dalla follia: oggi, all’interno dello staff del teatro, accanto alla storica figura di riferimento, Salvatore Tramacere, agisce con competenza e professionalità la figlia Georgia. La struttura, sempre più bella, si è arricchita oggi di un’ospitalissima foresteria, perché in quel teatro si sta, davvero, “come a casa”.

Ed ha un gusto familiare, di radicamento nella terra e nella memoria, lo spettacolo L’abito della festa, praticamente un debutto drammaturgico della giovane Giulia Maria Falzea, che nella bottega di Koreja si è formata. Si tratta di un articolato monologo affidato a Carlo Durante, che si destreggia in quattro diversi ritratti di altrettanti personaggi, con la regia dello stesso Tramacere. Ed è interessante il tema dello spettacolo: la festa. La festa patronale, di piazza e di paese. Tradizione che, in Puglia, è notoriamente molto diffusa e vissuta.

Ed è una “banda” ad aprire, come si deve, la festa-spettacolo con tanto di luminarie. Una banda che si svelerà un formidabile quartetto capace di contaminare jazz e pizzica, guidato con sapienza dalla tromba e dal basso tuba Giorgio Distante, con Roberto Chiga al rullante, Giovanni Chirico al sax, Emanuele Ferrari alla gran cassa e alla fisarmonica. Il racconto evoca dunque l’artificiere che filosofeggia romanticamente sugli spettacoli pirotecnici, e per contrappasso avrà un figlio pompiere; la vecchia sarta che rammenda l’abito della santa e “adotta” un’immigrata come assistente; l’aspirante musicista impacciato e infine “Pippi la festa”, organizzatore e promoter instancabile delle feste di paese, personaggio inventato, certo, ma non troppo lontano dalla realtà. Basta cambiare abito, appunto, per raccontare i mille risvolti possibili della festa: ed è bravo Carlo Durante a tenere il gioco solo con minimi slittamenti di voce. C’è un affetto sincero in questi ritratti, una capacità di osservazione dei dettagli, delle mille storie che si nascondono dentro, e forse sotto, ogni sagra. E certe ingenuità sono così parte del “verosimile” da diventare non solo accettabili, ma necessarie.

Rosa.Rose, foto di Giovanni William Palmisano

Ancora una regia di Salvatore Tramacere per affrontare un’altra storia, un’altra famiglia, un’altra vita: quella di Rosa Balistreri. Un gigante della nostra musica popolare, cantrice della Sicilia aspra che era il suo mondo, è la protagonista di Rosa.Rose. I corpi le voci, spettacolo che nasce da un’idea di Valerio Daniele e Ninfa Giannuzzi, anche interpreti: il primo alla chitarra e la Giannuzzi, con la sua splendida voce, a far risuonare le canzoni di Rosa Balistreri. Con loro, in scena, a tessere le fila della storia, è la brava e solidissima attrice e narratrice Angela De Gaetano, anche autrice dei testi.

Il racconto qui è biografico, un lungo rewind, un flashback che parte dalla fine, dalla sbrigativa morte di una donna che aveva saputo resistere a tutto. Vita non facile, quella di Balistrieri, fatta di sconfitte, di carcere, di maltrattamenti e violenze, ma anche di nitida grandezza. Sulle scene e le luci di Lucio Diana, sembra quasi che Rosa torni a vivere, a raccontare, fieramente e liberamente, la sua esistenza, che torni a risplendere, ancora e sempre, il suo talento. Tra la Sicilia e Firenze, si evoca la poesia di Buttitta o l’estro di Dario Fo, San Remo e la televisione, ma resta, adamantina, la canzone ribelle di questa donna indomita. Da ascoltare, ancora e sempre. Per non dimenticare la sua e la nostra storia.

A completare il cartellone del festival, anche tanti incontri – con ospiti come la straordinaria scienziata Luisa Torsi, con Massimo Bray, con la scrittrice Claudia Durastanti o Stefano Massini: in fondo, le case e le botteghe sono più belle quando sono aperte.

 

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