Teatro
Teatro dei Luoghi: una casa aperta a Lecce
La casa e la bottega: si torna sempre lì. Il teatro, storicamente, è un fatto di famiglia. Oggi si direbbe di “congiunti”. Si cresce “a bottega”, si impara guardando e vivendo. Si condivide tutto, “gioie e dolori” – come si usa dire. Spesso gavetta, a volte successi. Come da tradizione si viaggia, si dorme assieme, e il teatro è lo sfondo e il primo piano, è la condanna e la salvazione, è la miseria e la nobiltà dell’arte.
Allora, una delle cose belle che mi porto dietro dai due giorni passati al Festival Teatro dei Luoghi di Lecce è proprio un istante commovente, un “affare di famiglia”. La manifestazione ha come sottotitolo “il teatro della fioritura”, perché – anche come apotropaica formula – si spera che, nonostante il cupo peso della pandemia, possano ancora germogliare novità e bellezza.
Allora ecco in breve la cosa bella che voglio raccontare. Nel bellissimo (e recuperato) spazio della Masseria Tagliatelle, c’era uno spettacolo dell’apprezzato duo Nando e Maila, Sonata per Tubi: clownerie intelligente, contrabbassi inventati con tubi di gomma, gag a non finire su arie celebri e pezzi rock. Insomma, un circo vitale, semplice, efficacissimo nella sua immediatezza. Nando e Maila, ovvero Ferdinando D’Andria e Maila Sparapani, sono acrobati, multistrumentisti, clown e sanno dar vita a un lavoro estremamente godibile con la musica, le canzoni, il palo cinese, le giocolerie, il coinvolgimento del pubblico. Tutto funziona, dunque bene. Ma non basta. Perché a un certo punto del lavoro, sbuca da una botola del palcoscenico una ragazzina, davvero giovane, che subito entra in sintonia con i due protagonisti. Fa giravolte, suona, si inerpica, fa acrobazie assieme ai due adulti. All’inizio evidentemente emozionata, poi sempre più a suo agio. Ecco, capiremo, ai saluti, che è la figlia di Nando e Maila, è la tredicenne Marilù. E che da ora quella famiglia di circensi girovaghi si è arricchita di un’altra protagonista. Ai saluti, in quel momento in cui arrivano gli applausi, era bello notare Marilù che guardava emozionata il padre, emozionato quanto lei, e poi scorgere il sorriso di Maila, che la abbracciava con gli occhi.
Il circo, in Italia, è stato ed è spesso familiare: e quel sapore antico da tendoni che si piantano in periferia non l’ha perso del tutto. Certo, il settore vive grandissime difficoltà in seguito al blocco e alle “distanze” imposte, difficoltà cui anche noi addetti ai lavori diamo davvero troppo poco peso. Eppure siamo felici di poter dire che la tradizione non si è persa.
Qualcosa, poi, si radica. Come il Teatro Koreja, quella struttura nata dall’entusiasmo e dalla follia: oggi, all’interno dello staff del teatro, accanto alla storica figura di riferimento, Salvatore Tramacere, agisce con competenza e professionalità la figlia Georgia. La struttura, sempre più bella, si è arricchita oggi di un’ospitalissima foresteria, perché in quel teatro si sta, davvero, “come a casa”.
Ed ha un gusto familiare, di radicamento nella terra e nella memoria, lo spettacolo L’abito della festa, praticamente un debutto drammaturgico della giovane Giulia Maria Falzea, che nella bottega di Koreja si è formata. Si tratta di un articolato monologo affidato a Carlo Durante, che si destreggia in quattro diversi ritratti di altrettanti personaggi, con la regia dello stesso Tramacere. Ed è interessante il tema dello spettacolo: la festa. La festa patronale, di piazza e di paese. Tradizione che, in Puglia, è notoriamente molto diffusa e vissuta.
Ed è una “banda” ad aprire, come si deve, la festa-spettacolo con tanto di luminarie. Una banda che si svelerà un formidabile quartetto capace di contaminare jazz e pizzica, guidato con sapienza dalla tromba e dal basso tuba Giorgio Distante, con Roberto Chiga al rullante, Giovanni Chirico al sax, Emanuele Ferrari alla gran cassa e alla fisarmonica. Il racconto evoca dunque l’artificiere che filosofeggia romanticamente sugli spettacoli pirotecnici, e per contrappasso avrà un figlio pompiere; la vecchia sarta che rammenda l’abito della santa e “adotta” un’immigrata come assistente; l’aspirante musicista impacciato e infine “Pippi la festa”, organizzatore e promoter instancabile delle feste di paese, personaggio inventato, certo, ma non troppo lontano dalla realtà. Basta cambiare abito, appunto, per raccontare i mille risvolti possibili della festa: ed è bravo Carlo Durante a tenere il gioco solo con minimi slittamenti di voce. C’è un affetto sincero in questi ritratti, una capacità di osservazione dei dettagli, delle mille storie che si nascondono dentro, e forse sotto, ogni sagra. E certe ingenuità sono così parte del “verosimile” da diventare non solo accettabili, ma necessarie.
Ancora una regia di Salvatore Tramacere per affrontare un’altra storia, un’altra famiglia, un’altra vita: quella di Rosa Balistreri. Un gigante della nostra musica popolare, cantrice della Sicilia aspra che era il suo mondo, è la protagonista di Rosa.Rose. I corpi le voci, spettacolo che nasce da un’idea di Valerio Daniele e Ninfa Giannuzzi, anche interpreti: il primo alla chitarra e la Giannuzzi, con la sua splendida voce, a far risuonare le canzoni di Rosa Balistreri. Con loro, in scena, a tessere le fila della storia, è la brava e solidissima attrice e narratrice Angela De Gaetano, anche autrice dei testi.
Il racconto qui è biografico, un lungo rewind, un flashback che parte dalla fine, dalla sbrigativa morte di una donna che aveva saputo resistere a tutto. Vita non facile, quella di Balistrieri, fatta di sconfitte, di carcere, di maltrattamenti e violenze, ma anche di nitida grandezza. Sulle scene e le luci di Lucio Diana, sembra quasi che Rosa torni a vivere, a raccontare, fieramente e liberamente, la sua esistenza, che torni a risplendere, ancora e sempre, il suo talento. Tra la Sicilia e Firenze, si evoca la poesia di Buttitta o l’estro di Dario Fo, San Remo e la televisione, ma resta, adamantina, la canzone ribelle di questa donna indomita. Da ascoltare, ancora e sempre. Per non dimenticare la sua e la nostra storia.
A completare il cartellone del festival, anche tanti incontri – con ospiti come la straordinaria scienziata Luisa Torsi, con Massimo Bray, con la scrittrice Claudia Durastanti o Stefano Massini: in fondo, le case e le botteghe sono più belle quando sono aperte.
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