Teatro
Teatro, Bernini secondo le Albe e la scomparsa di Majorana
RAVENNA _ “Chi può comprendere fino in fondo la grandezza di un artista? Il suo rivale. Il suo avversario. Il suo simile.” Così s’interroga (e risponde) il regista Marco Martinelli, uno dei fondatori del Teatro delle Albe, riflettendo sull’ultimo suo innamoramento artistico, Gian Lorenzo Bernini, figura chiave del Seicento, artista a tutto tondo che ha lasciato una traccia importante nella storia dell’Arte. Il “suo avversario” era il ticinese Francesco Borromini, uno dei principali esponenti dell’architettura barocca. Questo è l’hardcore della sua ultima creazione e un libro pubblicato da Eidaudi, “Lettere a Bernini”. L’opera, con la regia dello stesso Martinelli va in scena, in prima assoluta al Teatro Rasi di Ravenna, dal 3 dicembre e in replica fino al 15 dicembre. Nel suo studio di scultore, pittore e architetto Gian Lorenzo Bernini è interpretato da Marco Cacciola in italiano e napoletano fotografato nel momento in cui il grande artista è infuriato con la intagliatrice di lapislazuli Francesca Bresciani -sua collaboratrice nella Fabbrica di San Pietro– che lo accusa, all’indirizzo dei cardinali di non essere stata pagata per il suo lavoro, al giusto prezzo Da qui prende lo spunto di “Lettere a Bernini” dove la Bresciani, denunciando l’artista e rivendicando i propri diritti è, nei fatti, figura di donna emancipata prima del tempo. In questo a solo teatrale viene evocata la figura del rivale di sempre, Borromini, da sempre osteggiato. Eppure alla notizia della sua scomparsa (l’artista ticinese si era suicidato) venne colto da una improvvisa “pietas” fino a riconsiderare l’opera e riconoscerne il valore. Ma opera secondo il regista delle Albe ha anche come focus “il rapporto fra gli intellettuali e il Potere in un’epoca segnata dalla propaganda. La complessità dell’animo umano contro ogni tentativo di semplificazione e uno sguardo su un Passato che, per certi versi, somiglia al nostro Presente”.
Tornando al quesito iniziale così Martinelli risponde: “Bernini era una figura piena di contraddizioni, capace di violenze e di prepotenze da una parte e capace di momenti, invece, di grande umanità, altrimenti non ci avrebbe regalato tutti i suoi capolavori”. L’atto teatrale riflette quindi sul Seicento ma parla anche “di noi, sospeso tra il secolo della Scienza nuova e l’attuale imbarbarimento, sempre più incombente”. “Lettere a Bernini”, coproduzione Teatro delle Albe/ERT, Emilia Romagna Teatro Nazionale, dopo Ravenna, andrà in scena dal 28 al 30 gennaio al Teatro Eleonora Duse di Genova, dal 4 al 9 febbraio al Teatro Elfo Puccini di Milano, dal 4 al 9 marzo al Teatro delle Passioni di Modena, dal 2 al 6 aprile al Teatro Biondo di Palermo e, dal 10 al 16 aprile, a Gallerie d’Italia, Napoli.
Il Teatro della Albe propone a Ravenna una serie di appuntamenti per approfondire l’opera e la figura di Gian Lorenzo Bernini. Il 7 dicembre al Teatro Rasi la presentazione del libro di Martinelli “Lettere al Bernini”, edito da Einaudi nella collana “Teatro”, a cura dello stesso autore in dialogo con Mauro Bersani. Il giorno dopo, sempre al Rasi la lettura teatrale “La commedia di Filodosso, ovvero: le fatiche della Virtù” a cura dell’attore Gianfranco Tondini, la “Philodoxeos fabula di Leon Battista Alberti” con l’introduzione di Alberto Giorgio Cassani. La mattina del 14 dicembre nella sala Muratori della Biblioteca Classense di Ravenna sarà presentato “A questo serve il corpo. Viaggio nell’arte attraverso i corpi delle donne” (ompiani 2023) di Roberta Scorranese in dialogo con Marco Martinelli e Francesca Masu direttrice di RavennAntica.
A proposito di opere teatrali. Dopo aver vinto nel 2009 il Premio dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro (ANCT) per lo spettacolo “Shakespeare. Venere e Adone” e aver diretto nel 2012 “Lo stupro di Lucrezia”(Premio Ubu 2013 come nuova attrice under 30 ad Alice Spisa), il direttore di ERT / Teatro Nazionale Valter Malosti ha visto pubblicare nel 2022 le sue due traduzioni dei “Poemetti” di William Shakespeare nella collezione bianca di poesia di Einaudi. Quei “Poemetti” vengono ora presentati nuovamente sul palco in un’unica serata in forma di concerto al Teatro Storchi di Modena venerdì 29 e sabato 30 novembre. Malosti sarà in scena accanto al compositore e musicista Gup Alcaro (Premio Ubu 2023 per il miglior disegno del suono in “Lazarus”) che firma ed esegue dal vivo il progetto sonoro.
“Venere e Adone” e “Lo stupro di Lucrezia” sono le uniche opere di Shakespeare di cui il drammaturgo abbia curato personalmente la stampa, cosa mai accaduta né con le sue opere teatrali né con i più famosi “Sonetti”. Ad opera di Malosti e Gup Alcaro i “Poemetti” diventano una sorta di doppia operina musicale: il montaggio fonico attinge alle fonti acustiche più disparate, ai suoni della quotidianità sovrapposti a frequenze elettroniche e distorsioni, filtrando il tutto con musica elisabettiana e contemporanea. «Musica come camera d’eco dei personaggi, come cartina di tornasole del loro spirito -ha scritto Carlo Boccadoro – musica che penetra dentro il testo, talvolta lo accarezza, più spesso entra in conflitto con esso per far schizzare scintille che ustionano e illuminano allo stesso tempo».
Nel 1975 Leonardo Sciascia scrivendo il saggio “La scomparsa di Majorana” indagava sul mistero della sparizione improvvisa del promettente fisico siciliano Ettore Majorana avvenuto nel 1938. Quella memoria torna prepotentemente d’attualità in “La scomparsa di Majorana”, atto teatrale, tratto dall’omonimo saggio di Sciascia, trasposizione in scena e regia di Fabrizio Catalano con Loredana Cannata, Alessio Caruso, Giada Colonna e Roberto Negri: scene e costumi di Katia Titolo; musiche di Fabio Lombardi e luci di Marcello Mazzocco. Lo spettacolo, dopo una pluriennale tournèe, tra Italia, Canada, Serbia e Polonia sarà rappresentato il 5 dicembre preso la Casa Circondariale “Pasquale Di Lorenzo” di Agrigento per iniziativa della Fondazione Leonardo Sciascia.
Rispettando il lavoro di Sciascia, lo spettacolo teatrale mette al centro la figura di Ettore Majorana, il giovane e promettente fisico siciliano, “chiuso in se stesso e concentrato su studi di cui non parlava con nessuno, aveva forse intuito prima d’ogni altro la strada per la creazione di una devastante arma nucleare; e ne era rimasto atterrito, e aveva voluto estraniarsi dal mondo prima che questo precipitasse nel baratro dell’era atomica”. Questa era almeno era la tessi dello scrittore Leonardo Sciascia per il quale il senso della vicenda di Majorana è “che non c’è futuro per l’umanità senza l’etica, senza la sincerità, senza la poesia”.
Lo spettacolo è montato come una sorta di thriller, una vera indagine poliziesca che nasce dall’incontro con un uomo in abiti da frate eremita, i cui lineamenti sembrano ricordare quelli del fisico Ettore Majorana scomparso inspiegabilmente un giorno del 1938.
Al Teatro de Servi di Roma, dal 3 al 15 dicembre approda “Uscirò dalla tua vita in taxi” brillante commedia di K. Waterhouse e W. Hall, con la regia di Filippo D’Alessio, in cui si mescolano bugie e stravaganti verità. In scena: Marco Cavallaro, Maddalena Emanuela Rizzi, Bruno Governale e Alessandra Cavallari. Al centro dello spettacolo “tradimenti coniugali, veri e presunti, a mascherare le paure in amore, l’incapacità di essere sinceri, della solitudine nella quale si rischia sempre di cadere. Commedia che porta in scena l’amore e le sue diverse sfaccettature e tutto ciò che avviene per paura. Bugie e stravaganti verità”.
A Lugano. martedì 3 e mercoledì 4 dicembre alle ore 20,30 il LAC ospita il Balletto di Roma, con “Il Lago dei Cigni, ovvero il Canto”, liberamente ispirato a “Il lago dei cigni” e all’atto unico di Anton Cechov “Il canto del cigno”. Frutto dell’originale pensiero coreografico e registico di Fabrizio Monteverde, lo spettacolo reinventa il più celebre dei balletti del repertorio classico su musica di Čajkovskij. Sintesi perfetta di chiarezza formale e simbologie psicanalitiche, “Il lago dei cigni” è una favola senza lieto fine in cui i due protagonisti, gli amanti Siegfried e Odette, pagano con la vita la passione che li lega. Fabrizio Monteverde porta in scena un gruppo di ‘anziani’ danzatori che, tra le fatiche di una giovinezza svanita e la nevrotica ricerca di un finale felice, ripercorrono gli atti di un ulteriore “Lago”.
Persi tra i ruoli di una lunga carriera, “i danzatori stanchi di un’immaginaria compagnia decaduta si aggrapperanno ad un ultimo “Lago”, tra il ricordo sofferto di un’arte che travolge la vita e il tentativo estremo di rimandarne il finale. Individualità imprigionate in una coazione a ripetere, gli interpreti ripercorreranno la trama di un “Lago” senza fine, reiterandovi gesti e legami nella speranza di sopravvivere al finale straziante di una replica interminabile”.
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