Teatro

Teatro a Volterra: via da questa realtà, un altro mondo è possibile

13 Agosto 2022

Il Cammino per il Nuovo Mondo inizia un pomeriggio assolato di luglio avanzato dentro il cortile della Fortezza, un vascone delimitato da mura possenti e rivestito, dalle pareti al pavimento, di bianca carta millimetrata. Armando Punzo ha in bilico nelle mani una palla rossa e cerca un angolo di partenza. Il punto di fuga giusto per incominciare il viaggio dentro e fuori dallo spazio e dal tempo. Svaniscono così le mura del carcere voluto dai Medici a Volterra e il luogo per incanto si riempie di folla e colori quasi si fosse a Forcella nell’ora di punta. O a Palermo nella Vuccirìa, con la gente che si accalca attorno ai banchi del mercato. Magari, ancora, nella Città Proibita a Pechino, nelle ampie sale della Corte dell’Imperatore. È il miracolo del teatro all’improvviso. Ora sei qui e in un battere di ciglia sei da un’altra parte. Nel cuore ribollente e sognante di “Naturae- la valle della Permanenza” ultima tappa di una saga iniziata anni fa dalla Compagnia della Fortezza con gli attori detenuti diretti da Punzo. Uomini dai volti dipinti di rosso, di bianco e di nero, solcati da rughe e sguardi profondi di occhi neri e brillanti come tizzoni che bruciano. Il teatro visto nel cortile di Volterra possiede la forza e i colori della libertà. E, come tutte le opere di Punzo, diventa un mantra che risuona dentro per molto tempo. Simile a un flusso di onde sonore fa fremere il cuore trasmettendo calore, aprendo ad orizzonti mai visti.

“Cancellare la realtà che mi pervade. Per crearne una nuova, che non ricorda le sue origini. Uno spazio non misurabile che appartiene alla natura ideale e trascendente dell’uomo. Questa fenditura del reale è l’esistenza di un altro modo e di altre possibilità”.

Volterra, una scena da “Naturate-nella valle della Permanenza” messo in scena dalla Compagnia della Fortezza con la regia di Armando Punzo (Foto di Stefano Vaja)

In cerca di altri modi e possibilità nella “fenditura del reale”. Così recita l’incipit dell’ultimo atto della ricerca iniziata otto anni prima con “Shakespeare knows well” e proseguita in altri sette allestimenti. Questo della “valle della Permanenza” per Punzo è “la rivelazione, la riscoperta in noi di qualità dimenticate, negate, soppresse. È frutto della contro-scrittura che si è generata in questi otto anni, come un filtrato luminoso che si opponeva alla mancanza di luce e speranza che avevamo riscontrato in noi e negli altri. Quelle qualità hanno preso forma di entità simboliche concrete, stilizzazioni, che permettono al nostro protagonista, una volta ritrovato lo sguardo puro dell’innocenza rappresentato dal bambino, di stabilire una diversa relazione col mondo”.

Ed è in questo castello dove una porta a sbarre introduce a un’altra e un’altra ancora, dove il teatrante napoletano, (esperienze con Grotowskij)da venti anni ha lavorato con determinazione. Ed ora finalmente potrà coronare uno dei suoi più importanti obiettivi con la nascita del teatro stabile dentro la Fortezza. I detenuti, anno dopo anno hanno aderito numerosi al suo progetto ascoltando e seguendo il teatrante in quella che resta una avventura teatrale unica in Italia. Sicuramente tra le più originali al mondo. Ed è ancora una volta qui che l’azione inizia: lenta e rituale vede Punzo vestito di nero che nel fondo accumula e allinea oggetti. Accompagna e posiziona un uomo in nero e una donna in soprabito rosso, due attori manichini prime icone di quella che diventerà poi una marcia progressiva dentro uno spazio agito volta per volta per micro drammi, composizioni plastiche e pittoriche, storie minime intersecantesi, davanti agli occhi degli spettatori, con il transito continuo di oggetti e figure. Sono i grandi e modulari parallelepipedi, gabbie da scalare o con cui giocare precari equilibri magari facendo la ruota, mentre l’intera scena inizia a popolarsi e una voce fuori campo recita: “Pennelli leggeri per spazzare via l’aria impregnata di realtà, unghie come lime per graffiare via la materia resistente, occhi come scalpelli per cercare l’aria, l’acqua, il sospiro della pietra”.

Un’altra immaginifica scena dell’allestimento curato da Armando Punzo andato in scena nel carcere di Volterra (foto Stefano Vaja)

Si sale su due scale rosse, richiamando alla memoria l’inquietante e affascinante Deposizione dipinta da Rosso Fiorentino nel 1521 per la chiesa di San Francesco di Volterra ed ora conservato presso la locale Pinacoteca. Una tavola potente che illumina con i colori del crepuscolo il momento in cui il corpo del Cristo viene portato giù dalla Croce. Nei volti dei personaggi ritratti una impressionante tensione emotiva dovuta a un precario equilibrio. La citazione, una sorta di mark culturale è un omaggio alla città. Arnando Punzo è un attore e regista pienamente in campo. Si muove veloce da un punto all’altro della lunga scena mentre questa viene progressivamente occupata da uomini e donne vestiti dai colori più vivi. Fogge che richiamano il Giappone nei kimono, copricapi e ventagli. Ma pure turcomanni: orpetti neri su camicie bianche a maniche larghe, pantaloni a sbuffo ampi come sottane fermati nella vita da alte e strette cinture in stoffa nera o dorata. Sono attori di forte presenza scenica che seguono con rigore e a tempo le azioni di questo avvincente work in progress. Uomini dipinti di rosso, che spingono e fanno rotolare grandi parallelepipedi. Che diventano librerie, o accolgono altri personaggi.

Punzo è instancabile. Corre qui e là, agile e sfuggente come un folletto, veloce e scattante come un furetto. La vista acuta di un falco che vede lontano, lo sguardo creativo del Deus ex Machina che tutto provvede. Ma è anche il protagonista/attore, un altro Ulisse in cerca che non ha paura di sondare l’ignoto, oltrepassando i confini. Lasciandosi alle spalle il tempo antico, dissolvendo nell’aria sbarre e prigioni per scoprire la “fenditura del reale” che possa condurre ad un’altra possibile realtà.

Così ha scritto: “L’homo sapiens è solo una fase, dobbiamo lavorare per guadagnarci l’homo felix, dobbiamo far crescere in noi la ricerca della libertà, dell’amore, della felicità. Dobbiamo ricominciare a sognare un nuovo uomo e imporlo alla realtà”.

Il momento in cui si prende il “Negativo” della figura di Armando Punzo nello spettacolo andato in scena alla Fortezza di Volterra (Foto Stefano Vaja)

Consegnando il suo stesso corpo e l’immagine in negativo all’archivio del tempo, steso su un grande tappeto nero mentre due uomini ne delineano i contorni, versando granelli di sabbia che, lasciano l’impronta, segnano il confine. Un altro io da sé. “Come a disegnare un quadro che nessuno saprà disegnare allo stesso identico modo/ Slanci vitali, felicità, limpida forma /Voci e immagini che spingono in avanti/

È come se volessimo raccontare tutto quello che sfugge/ Decostruire/Andare oltre”.

E’ “Un corpo fluido, senza confini definiti, capace di espandersi verso l’esterno e l’interno, di perdere i suoi contorni, capace di fondersi con altri territori.

Sono la terra, sono la forza della vita, ciò che sta sotto e dentro di noi, nelle profondità. Sono l’energia vitale che cerca una via d’uscita.”

Come un novello Tadeusz Kantor, Armando Punzo sovrintende e controlla i movimenti sul palcoscenico, ma a differenza del teatrante polacco, che con pochi e perentori gesti dava ritmo e cambi agli attori, il regista partenopeo appare piuttosto simile a un pittore che si appresta ad apporre l’ultima pennellata in una serie di immagini che scorrono come fiume verso il mare, difficile da fermare con un solo sguardo o un colpo d’occhio. Non ci sono dialoghi tra gli attori ma è solo un testo letto da una voce fuori campo a segnare e scansionare le diverse parti dell’opera. E sono più storie che vengono esposte o citate per segni e figure, immagini anche di opere precedenti e oggetti simbolici. Sono cabaret ricolmi di frutta, una piramide, una palla nera, libri, candelabri. Processioni di rami secchi rossi e di stendardi colorati. Una testa di coniglio evoca“Alice” di Lewis Carroll, attori in abiti bianchi e rossi con ombrelli rossi in mano. Uomini e donne dentro i parallelepipedi. Una grande testa di Minotauro, l’uomo in giallo con la lanterna, uno in grigio con la valigia. Corpi che si sfiorano, ma non si toccano. A sostenere e avvolgere il tutto, movimenti e figure, la bellissima musica iterativa composta da Andreino Salvadori che accompagna complice verso una immersione totale nel sogno e nella fuga.

Un altro momento dell’allestimento della compagnia della Fortezza andato in scena a Volterra. La citazione di “Alice” di Lewis Carroll (foto Stefano Vaja)

Dice la voce: “Rigenerare/ Ricostruire/ Credere/ Sfuggire/ Allontanarsi.

La nostra inferiorità come un affresco/ da ridipingere, da ridisegnare/ come a trovare un filo che ci collega.”

“Un uomo che nasce qui in questa stanza/ Quello che nasconde l’esistenza”.

“Naturae” assume il tempo di un carillon. Lento e cadenzato offre una vetrina ad azioni in surplace, Punzo “battezza” di rosso un uomo immerso per metà in una tinozza, accompagnando un altro che recita profetico: “Da lontano vengo/ come il mio sapere realtà ai limiti della realtà/ fino a cancellare ogni orizzonte/ Qui non vedo confini/ prevale il gusto dell’abbandono/ non nel mondo, fuori dal mondo/ ci è dato sognare sapendo di sognare/ Cominciamo dal silenzio/ Calmati anima inquieta!/ Questa è la linea dell’infinito/ Oltre ad essa non resta che la beata eternità dell’essere”.

Un cerchio rosso dipinto per terra è lo spazio dove danzare un valzer. Risuonano nel vuoto i colpi a una porta che non si aprirà. Si rende omaggio a Jorge Luis Borges citando Emma Zunz, eroina di un racconto un po’ anomalo dello scrittore argentino. E’ infine il movimento concentrico e ipnotico di due attori con gli ombrelli a imitare la danza ipnotica dei dervisci rotanti che rimanda al movimento del cosmo. Pezzi di emozioni e racconti che si sommano gli uni agli altri fino a perdersi nel tourbillon infinito dell’universo.

Armando Punzo getta all’aria i colori blu, rosso e giallo mentre un attore sta eseguendo la danza dei dervisci rotanti (foto di Stefano Vaja)

E’ un meraviglioso mistico sincretismo ad attraversare “Naturae-valle della Permanenza” che dai richiami a Borges arriva al fantastico “Linguaggio degli Uccelli” del persiano sufi Farid al-Din ‘Attar. Evoca anche suggestioni pittoriche da Mondrian (Punzo che getta a secchiate contro la parete i colori giallo, rosso e blu) a Kandisky richiamando il ricordo di Cavalieri Azzurri in fuga per prati e colline autunnali. E poi ci sono i calcoli e i linguaggi segreti che sfiorano l’esoterismo pur nella loro scientificità. Dalla matematica alla geometria euclidea e oltre. Tutto concorre a comporre un incredibile tableau vivant che regala in modo contagioso immagini di un popolo in marcia, accompagnato dalla voce celestiale di Isabella Brogi verso un’Arca nascosta e pronta a salpare verso l’ignoto. Fino all’ultima vorticosa danza dei pianeti. Epica e definitiva. Una danza leggera che trasmette felicità.

“L’ombra si ricongiunge con il sole, la goccia rientra nel mare, cessando in quanto goccia di esistere./Respiri segreti che si fondono in altri respiri.”

“C’è solo questo spazio, c’è solo questo tempo, spazio delle infinite possibilità. Un presente parallelo, che ricrea la vita”.

C’è un altro mondo possibile.

 

 

“Naturae. La valle della Permanenza”, oltre alla direzione artistica di Armando Punzo si avvale della cura e direzione organizzativa di Cinzia De Felice, le scene di Alessandro Marzetti, i costumi di Emanuela Dall’Aglio. In scena: Abd Al Monssif Abd Arahma, Ciro Afeltra, Arduini Alessandro, Saverio Barbera, Nicola Maria Giuseppe Bella, Francesco Bellinghieri, Amaell Ben Nour, Nikholas Ssis Braz Berardi, Paolo Brucci, Valentin Bucur, Angelo Busacca, Francesco Cavallaro, Daniel Chukwuka, Paul Andrei Cocian, Pasquale Concas, Giovanni Cubito, Cuka Ismet, Lucio Di Iorio, Fabrizio Dipasquale, Armando Di Puoti, Romeo Bogdan Erdei, Fallica Salvatore, Salvatore Farina, Giovanni Fontana, Federico Furlan, Salvatore Giordano, Francesco Guardo, Rezeg Hamadi, Antonio Iazzetta, Naser Kermeni, Nik Kodra, Urim Laci, Patrik Lacomare, Antonio Lanzano, Li Jin Jie, Giuseppe Licata, Alessandro Lorena, Vito Maenza, Emanuele Matarazzo, Luca Matarazzo, Amin Montassir, Antonio Nastro, Arjon Nezhai, Tarek Omezzine, Marian Iosif Petru, Fernando Poruthotage, Fabio Prete, Domenico Prospero, Massimiliano Quartarone, Arian Quku,Elio Rotnodale, Marco Ruggieri, Ivan Savic, Saimir Serjani, Marian Jan Stamate, Salvatore Stendardo, Timon Tarantino, Dritan Ternova, Fabio Valentino, Alessandro Ventriglia, Stefano Vezzani Zou Zhi Peng.

Elisa Betti, Francesca Tisano, Isabella Brogi, Armando Punzo, Andreino Salvadori.

Il progetto Naturae entra nel programma di “Rigenerazione umana” di Volterra prima città Toscana della cultura.

Un enorme ventaglio agitato da un attore in “Naturae-nella valle della Permanenza” della Compagnia della Fortezza” (Foto Stefano Vaja)

 

 

 

 

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