Teatro

Teatri di vetro, una linea di resistenza per salvare la ricerca

15 Dicembre 2021

“…E quando Calcifer si indebolisce e diventa tutto blu, vicino a raffreddarsi del tutto e a morire, il castello è ormai distrutto, ridotto ad una specie di zattera in equilibrio precario sulle quattro inarrestabili zampe di gallina che incredibilmente ancora resistono, ancora avanzano, seppur con incertezza, fino all’ultimo istante….”

Sostituite la parola castello con teatro e quelle di Calcifer e demone con ricerca e avrete lettura pressoché precisa di quanto sta accadendo da qualche tempo alla nostra scena. Un castello imponente, ricco di storia e gloria che si sta riducendo ad un mucchio di ferraglia. Se Calcifer, il demone che ha sempre abitato al suo interno scomparirà questo crollerà miseramente andando in rovina. Se questo demone dovesse morire “il castello si disferebbe completamente”. Roberta Nicolai, direttrice artista, regista e drammaturg di Triangolo Scaleno Teatro, nel presentare la quindicesima edizione del festival “Teatri di vetro” questi giorni in corso nello spazio India di Roma, commenta così in modo quasi apocalittico l’attuale situazione del teatro contemporaneo, non ancora uscito dalla pandemia, anzi di nuovo dentro un presente con forti segnali di turbolenza. Sono quindi parole immaginifiche che evocano una road map di uscita allo stato assai incerta. Sembra mancare in ampi strati _ anche da parte degli abitanti del castello, cioè i teatranti _ la piena consapevolezza della crisi in atto, l’urgenza di fare quadrato elaborando linguaggi e relativi dizionari su un mondo in forte cambiamento. “Teatri di vetro” già lo scorso anno in solitario si è dedicata anima e corpo a varare quello che è stato nei fatti l’unica rassegna di teatro digitale in Italia. Una scialuppa gettata con coraggio in un mare in tempesta per sfidare il presente leggendolo anche con strumenti teatralmente poco utilizzati. Questo e altro nei fatti candidano la manifestazione ad essere punto privilegiato di osservazione, laboratorio in progress di nuove sensibilità e sguardi in grado di registrare le onde di un movimento che è nei fatti oscillatorio. Sono le creazioni degli artisti chiamati a non mollare la barra e continuare a cercare e sperimentare. Magari anche in modo solidale e resiliente. Già quattro anni fa nell’ipotizzare una nuova fase di sperimentazione, nel rapportarsi ai teatranti con cui chiedeva la condivisione di un percorso Roberta Nicolai puntava alla messa in campo di pratiche e “un sistema di scatole metodologiche predisposte per accogliere le pluralità corporee e linguistiche di un panorama artistico osservato dalla prospettiva della sua costante mutazione. La creazione di un contesto, di una narrazione parallela, di un mondo inventato e aperto alla sua stessa trasformazione”. Con l’obiettivo di “riconoscere la radice comune della pratica della scena e del pensiero che la pensa” gli artisti sono stati invitati a interrogare i processi di creazione, assumendo la responsabilità “del proprio gesto artistico e del proprio sguardo”. Compiendo così “un’immersione all’interno della complessità della scena e del nostro tempo”.

Un momento di “Jump!” di OperaBianco di Vincenzo Schino e Marta Bichisao ospite  questi giorni al teatro India di Roma per la quindicesima edizione di “Teatri di vetro”

Adesso è tempo di tirare le somme. E quanto è stato inventato, costruito e pensato verrà messo in mostra nelle diverse sezioni in cui è abitata questa rassegna. E cioè: Trasmissioni, Composizioni, Elettr@, Oscillazioni e C.Entro. Anche se, puntualizza Nicolai, che l’obiettivo è e resta “Oscillazioni”. Cioè la meta, il fine e “informa” tutto il resto, tutto ciò che la precede. Perché è lì indica ancora la direttrice del festival “nel deragliamento, nell’esplosione dei processi in articolazioni plurali, nelle pratiche di confronto tra curatela e artisti, nella possibilità data all’inatteso e nella condivisione di una condizione non statica”. Ma oscillante di chi fa e di chi guarda. In questo modo si creano le condizioni per accogliere la sfida della ricerca e mettersi – artisti e spettatori – a contatto con “quella vibrazione di vita che è la scena”. Robusto il cast degli interpreti di questo programma alcuni dei quali seguendo il filo proposto anche da Nicolai hanno collaborato anche tra di loro. Questi sono: Alessandra Cristiani, Opera Bianco, Bartolini/Baronio, Lucia Guarino, Garbuggino/Ventriglia/Scarpellini, Paola Bianchi, Compagnia Teatro Akropolis, Fabritia D’Intino, Giuseppe Vincent Giampino, Riccardo Guratti, Sara Baldassarre, Arianna Di Stefano, Maria Irene Minelli, Cignoli/Insana, Serena Dibiase, Alessia Damiani, ADA Collettivo informale.

Le prime Oscillazioni, in campo martedì 14 hanno mostrato i lavori della coppia Bartolini/Baronio, “Incontro Josephine”, Opera Bianco in “First and second clown +Phantasmata+Playhouse”, Fabritia D’Intino in “Cancan” e “Naturans” da Auguste Rodin a cura di Alessandra Graziani.

Un’immagine da “Josefine” della coppia formata da TamaraBartolini e Michele Baronio ispirato dal racconto di Franz Kafka “Josefine la cantante”

Nel primo, di Bartolini/Baronio, ispirato dal racconto di “Josefine la cantante” di Franz Kafka “il canto di Josefine, atto taumaturgico, evoca un popolo che in un tempo di estasi e grazia dimentica se stesso e si raccoglie attorno all’artista, alla gioia infantile del gioco. Nello spazio scenico il suo canto attraversa dimensioni temporali, storiche e biografiche e diventa parte di noi, risuona e rigenera. “Il corpo è in ascolto della sua frequenza e si fa archivio di immagini collettive in cui la figura di Josefine si moltiplica in storie di corpi martirizzati dagli effetti della crisi etica, esistenziale, economica, sociale del presente. In quelle voci ritroviamo le sensibilità di gesti che sembravano impossibili, ma che hanno spostato la percezione collettiva e fatto compiere un salto atletico alla storia”. Sempre Bartolini/Baronio in “Attenti alla ragazza che corre” hanno proposto un atto d’immersione che materializza l’incontro con il reale accostando alcuni fatti di cronaca alla figura di “Josephine” e al suo canto (il 15).

Opera Bianco, progetto di ricerca artistica di Vincenzo Schino, regista e artista visivo e Marta Bichisao danzatrice e coreografa proietta tre documentari legati alla creazione “Jump!”. Il primo è un lavoro sul linguaggio e di materiali video dedicati a Shakespeare. Il secondo “Phantasmata” utilizza materiali di ”Jump!”e l’ultimo, dedicato a Buster Keaton, è un esperimento in divenire. “Jump!” Affronta il problema del ritmo dell’uomo in dialogo con il ritmo del mondo. Proiezione della creazione e incontro pubblico (il 15).

E’ invece dedicato al Can can, “ballo rivoluzionario ed erotico” l’omonimo pezzo di Fabritia D’Intino (14). In “Wannabe” (16) prima collaborazione tra la coreografa e il musicista Federico Scettri: riflessione sul rapporto tra danza e musica nella cultura contemporanea. L’immaginario di riferimento è quello della televisione, dei club e dei videoclip. In entrambi i due lavori per D’Intino il corpo è inteso “come raccoglitore e propagatore di immagini e contenuti volti ad una costruzione identitaria che da personale diventa collettiva e da intima diventa pubblica”.

“Trilogia” della coreografa e danzatrice Alessandra Cristiana . Lo scatto fotografico è di Alberto Canu cianotipia virata al te da Samantha Marenzi

“Naturans” da Auguste Rodin si ispira all’opera del grande scultore francese e Alessandra Cristiani sonda i limiti tra eros e pudore mentre “nella percezione di un movimento granulare e sottile si scovano nature e dimensioni, inarrestabili, seminate da trame invisibili”. Alessandra Cristiani nell’ambito di “Teatri di Vetro” mostra anche (il 15) la sua intrigante “Trilogia” ispirata, oltre che a Rodin anche all’arte di Schiele e Bacon nel “Diario performativo” (artisti coinvolti: Samatha Marenzi, Alberto Canu e la stessa Cristiani).

Il trio Garbuggino/Ventriglia/Scarpellini è presente con due appuntamenti: “Mozart e e Salieri, Puskin Suite” (il 15) e “Se salissimo un gradino” (il 16). Ispirandosi a un teatro puro e visionario fondato sulla drammaturgia dell’attore, la compagnia si è dedicata soprattutto all’attraversamento scenico della grande letteratura (Dostoevskij, Cervantes, Pasolini) e del grande teatro (Cechov, Shakespeare). Nel primo si riflette sulla leggenda dell’odio di Salieri su Mozart e il supposto desiderio del primo di avvelenare il secondo. Una diceria piuttosto simile a “sogno di calunnia”. In “Se salissimo un gradino” si presenta il primo studio della “Leggenda del grande inquisitore” da “I Fratelli Karamazov” di Dostoevskij.

In “The Red Thing” i coreografi Giuseppe Vincent Giampino e Riccardo Guratti presentano la loro prima scrittura a quattro mani. Il lavoro è “una zona generativa, un terzo spazio di esplorazione e ricerca, dove gli interessi dei due coreografi prendono forma costituendo un oggetto di scambio, un bacino di possibilità creative”.(15) Giampino in solitario presenterà invece “Die Welt Ist Schon” dove esplora la ritmica e la musicalità del dire (18). Nella stessa giornata di sabato 18 Riccardo Guratti invece mostra il suo “The Castle”: Ispirato allo spazio dell’hortus conclusus e alle geometrie dei pavimenti dei palazzi rinascimentali, il coreografo invita il pubblico sul pavimento del giardino, nel salone di un castello temporaneo.

“The Red Thing” di Das Ding ossia il coreografo Giuseppe Vincent Ciampino e Riccardo Guratti alla loro prima opera costruita assieme

“Other Otherness” (16) è la coreografia che apre la galleria di lavori della sensibile e talentuosa coreografa e danzatrice Paola Bianchi. Nasce dal dialogo con la giovane danzatrice Barbara Carulli alla quale Bianchi “ha trasmesso via audio le descrizioni di alcune posture e volumi del corpo scaturite dall’archivio retinico-mnemonico “Altre memorie”. Un passaggio di esperienze che esclude il corpo danzante della coreografa come modello da seguire e imitare, un “processo di ricerca sull’essere nella scena in contrapposizione al fare sulla scena, un’indagine sul senso del movimento stesso”.

Paola Bianchi torna in scena sabato 18 con “Assimilia” (parte del progetto “ELP”) e “NoPolis” domenica 19. Nella prima, la danzatrice munita di auricolari esegue una coreografia sotto dettatura. In “NoPolis” intende dare voce ai corpi della protesta, “corpi che negano il concetto chiuso “stato-nazione” e per questo motivo criminalizzati”. “NoPolis” si concentra sui suoni, sui movimenti e sui gesti incarnati nei corpi della rivolta”. In “B2B” (il 17) Paola Bianchi ha chiesto a Simona Bertozzi di partecipare alla creazione di una coreografia basata su uno scambio di indicazioni verbali. “Un dialogo costruttivo attraverso l’invio e la ricezione di file audio contenenti le posture del corpo, parole che viaggiassero nello stesso istante _ dice Paola Bianchi _ da me a le e da lei a me”.

“NoPolis” della coreografa e danzatrice Paola Bianchi  (qui fotografata da Veronica De Toni) presente a “Teatri di vetro” anche in tandem con Simona Bertozzi

Venerdì 17 è anche il giorno delle performance di Sara Baldassare, Arianna Di Stefano e Maria Irene Minelli. Si comincia con “Il merluzzo surgelato” di Sara Baldassarre (con Di Stefano e Minelli) dove si mette in scena la confusione. “Confusione di ricordi, di scena, di testo, di volti, di vite, di luoghi, di tempi, di identità. La confusione vive e abita lo spazio scenico, disegnando la storia di una vecchia donna del Sud che, dopo la perdita del proprio compagno, si è lasciata andare, perdendosi tra le tessere del mosaico che una volta componeva la sua stessa vita, in quel limbo a lunga conservazione che è la demenza senile”.

Arianna Di Stefano presenta invece “Una rissa ovvero come ci sono finita io qui”. Ovvero un “conflitto irrazionale che non ha solo la forma dei pugni e dei calci ma anche di una baraonda emotiva: “Le parole da nitide si confondono prima in grammelot, poi in brusio: ogni vocalità, ogni rumore, ha un cuore. Una pluralità di figure si buttano contro una costellazione di oggetti in scena che man mano prendono vita, tracciano linee come pedine di una scacchiera”. “Cercami Rip: Requiem per un compleanno” di Maria Irene Minelli (con Baldassarre e Di Stefano) si interroga sul tema della creazione e sul “qui” ed “ora” del teatro indagando il limite tra scrittura e azione, personaggi e attrici, reale e realtà. Riflettendo su “quale senso abbia oggi parlare di rito teatrale ci si pone una domanda: che cosa significa realmente crisi se con questa parola indichiamo lo stato abituale della realtà? La crisi può essere frattura, ma anche scelta”. Per la sezione Elettr@ Silvia Cignoli e Salvatore Insana, nella serata di venerdì 17 propongono “Trataka-un’ipnosi collettiva”. La Trataka è una pratica utilizzata nello yoga per fare “pulizia nella mente”.

Un’immagine da “Cercami Rip. Requiem per un compleanno” spettacolo di Maria Irene Minelli in scena con Sara Baldassarre e Arianna Di Stefano

“La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro” è un ciclo di film-documentari diretti da Clemente Tafuri e David Beronio prodotti dal Teatro Akropolis di Genova e AkropolisLibri, dedicati ad alcuni protagonisti dell’arte e della cultura che, percorrendo “strade spesso molto distanti tra loro, sono arrivati a mettere in crisi l’idea stessa di scena e di performatività”. Varcando quei confini oltre i quali perde significato il sistema delle distinzioni specialistiche delle varie discipline: la danza, il teatro, la filosofia, la letteratura si rivelano per quello che sono, “una serie di rappresentazioni che attingono ad una comune domanda di senso”. Il ciclo viene proposto sabato 18. A seguire i filmati su Massimiliano Civica, Paola Bianchi e Carlo Sini.

Partendo dal film prodotto da Aamod, nell’ambito della residenza “Unarchive. Suoni e visioni” Cignoli e Insana “rielaborano in chiave live streaming il lavoro, traducendolo in una versione a cavallo fra creazione live e lavoro in remoto, con l’obiettivo di rendere quanto più vivo un atto creativo plasmato sulla distanza-non distanza che il contingente e la fruizione digitale propone come estensione delle possibilità della performance live”.

“Magnetica o dei corpi sottili” di Serena DiBiase (venerdì 17) è “un droning che genera contaminazione tra parola/flusso lirico e sonorità minimal concrete in un trattamento orizzontale delle fonti. Il linguaggio si origina e muore ciclicamente all’interno di una trama sonora generata da campionamenti analogici, loops, vocals, oggetti sonori rielaborati, field recordings”.

“Twittering Machine di Ada Collettivo informale per la scena live performance sui temi dell’alienazione in scena negli spazi del teatro India di Roma

Di Alessia Damiani “Esitazioni avverse 1.0” (domenica 19) è una performance audiovisiva il cui punto focale è l’andamento social, politico ed economico in Italia ai tempi della pandemia. La riflessione di questo lavoro “verte soprattutto sul rapporto tra artista e prodotto artistico, tra supporto fisso e impossibilità di una performance che sia inclusiva nei confronti dei fruitori, cercando di trovare un escamotage che possa comunque garantire il triplice confronto artista-opera-pubblico in modo indiretto ma comunque funzionale”.

Sempre domenica in programma “Twittering Machine” di Ada, Collettivo informale per la scena è una live performance in cui “parole, visual ed elettronica costruiscono un racconto tragicomico sulla vita surreale di un dipendente qualunque che, a causa di un imprevisto, vedrà svanire una delle sue poche gioie: l’uscita anticipata del turno breve del venerdì”. Insomma una performance “sull’alienazione del lavoro, l’aberrazione etica a la svalutazione della vita umana, plasmata attraverso un paesaggio astratto che altro non è che la sfera emotiva di tutti noi”.

La danzatrice e coreografa Lucia Guarino (domenica 19) in “Superstite” propone “una riflessione su ciò che rimane dopo una mutazione, un cambiamento e si fa carico di una storia che a tratti appare sbiadita o mutilata. Un corpo solo, da solo, esplora le infinite declinazioni del “vuoto che resta”. Il frammento non è una scoria, tutto il contrario. Piccola parte che ti parla di un possibile “tutto” di una possibile interezza che apre all’immaginazione di un tempo nascosto e di una possibile diversità. Cosa muove la parte mancante? Quali confini quali forme prova a ridisegnare?”.

Un momento dello spettacolo “Superstite” della coreografa e danzatrice Lucia Guarino (foto Luca Del Pia) uno degli ultimi appuntamenti di “Teatri di Vetro”

 

 

 

 

 

 

 

 

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