Teatro
Strane questioni romane: il teatro tra ribassi e milleproroghe
Uno si distrae un attimo, e non capisce più niente. Che succede?
Gennaio ha visto i teatranti a testa bassa, tutti impegnati a compilare la fatidica domanda per il Ministero. Un’impresa per chi non è allenato o superstrutturato, una maratona complicata, complicatissima, eppure essenziale. Ma intanto girano notizie strane, sorprendenti, anche preoccupanti.
La prima è l’assegnazione dei cosiddetti Teatri in Comune, gli ex teatri di Cintura di Roma (in particolare il Teatro di Villa Pamphilij, il Teatro Biblioteca Quarticciolo e il Teatro di Tor Bella Monaca).
Ora – scrivo “per sentito dire”, il comunicato ufficiale del Teatro di Roma non specifica nulla in proposito – sembra che i primi due spazi siano stati assegnati, dopo una articolata procedura bando, seguendo un criterio piuttosto curioso. Dopo aver valutato i progetti consegnati dai concorrenti alla direzione, i suddetti teatri sono stati affidati in base al criterio del “massimo ribasso”.
Con tutto il rispetto per chi ha vinto e chi ha perso, non è questo l’importante – e anzi auguriamo tutto il bene ai futuri gestori – se da un lato è prezioso che l’incarico sia triennale (fino al 2022), stona mettere in secondo piano la qualità del progetto a favore di un criterio economico-gestionale così inadatto alla produzione teatrale come il “ribasso”. Criterio legittimo, per carità!, e anzi previsto e prevedibile. Ma si rischia, almeno a me così sembra, di valutare una direzione artistica come una fornitura qualsiasi.
Sia chiaro: è giusto, a volte indispensabile cambiare direzione, cambiare corso nella storia di un teatro (peraltro ce ne sono alcuni, anche importanti, che allegramente vantano “direzioni a vita”, che durano da venti, trenta anni). Benissimo, dunque, che chi deve decidere decida, scelga, indichi nomi e prospettive, affidando a questo o a quello la direzione e assumendosene la responsabilità.
Però il “massimo ribasso” fa pensare. Almeno: io non capisco. Sono certo che le commissioni aggiudicatrici abbiano agito per il meglio e nella massima trasparenza. Ma che vuol dire “ribassiamo”?
In teatri di straordinaria importanza, come quelli che lavorano nelle periferie non facili di Roma, che necessiterebbero di ampi e maggiori investimenti, affidare un percorso triennale al ribasso significa, quanto meno, mettere in difficoltà tutta la filiera (vincitori compresi). Chi taglia? Dove taglia? Perché taglia?
Il rischio, che si avverte, è inutile far finta di nulla, è che a pagare lo scotto del “maggior ribasso” siano sempre i soliti: ovvero gli artisti. Attrici e attori, tecnici e scenografi, costumisti e truccatori. Ormai sembra sia, purtroppo, pratica consolidata non pagare gli artisti, ossia davvero “strozzare” chi deve lavorare, sotto la minaccia del nulla. La questione, come è noto, non tocca solo i piccoli teatri, ma anche molti grandi istituzioni teatrali italiane. Possibile accettare questa realtà? Tollerabile?
Soprattutto in un ambiente che si dice – in gran parte – di “sinistra” (per quel che possa significare oggi essere di sinistra), aperto e democratico, come accettare il mancato rispetto del lavoro altrui o del proprio? Viene da chiedersi che etica del lavoro stia passando, silenziosamente, in Italia e nel teatro italiano. Si può gestire un teatro “al ribasso”?
Le altre notizie che circolano, non troppo distanti da questa, sono sempre romanocentriche e altrettanto stupefacenti.
La prima ha il sapore allucinante del paradosso. Pochi giorni fa, è stata diffusa una lettera, a firma del critico e organizzatore Graziano Graziani, che è legata all’attività di quello che fu il vivacissimo Rialto Sant’Ambrogio, un centro sociale occupato che è stato fucina di talenti, di cultura, di attività. Ebbene, gli “organizzatori”, insomma i “soci fondatori del Circolo Arci, ossia lo stesso Graziani, Francesca Donnini, Fabrizio Parenti e Luigi Tamborrino, si sono visti recapitare una multa di 183mila euro. Si legge nella lettera di Graziani: «A dicembre 2019, pochi giorni prima che il provvedimento diventasse inesigibile, è stata comminata una sanzione di 183mila euro dall’Agenzia delle Entrate, che recepisce così un’indagine del 2014 della Guardia di Finanza. Si tratta di uno dei tanti provvedimenti di cui è stato oggetto il Rialto durante la sua riapertura (aprile 2014-febbraio 2015), molti dei quali poi contestati o vinti in sede di processo. Ma questo ha un effetto diverso. La richiesta di risarcimento colpisce i quattro sottoscrittori direttamente, in solido, e produce a sua volta ulteriori aggravi sulla dichiarazione dei redditi di ciascuno (tradotto: altre caselle esattoriali, singole, inerenti a quanto ognuno avrebbe secondo loro percepito). Si tratta tuttavia solo di presunzioni di incasso, dedotte da una singola ispezione fatta al bar del Rialto a maggio 2014, senza altro accertamento. Cacolata con ricarici di quasi il 500% ipotizzando prezzi da night club che il Rialto non ha mai avuto. Eppure queste presunzioni sono state accolte in toto e hanno prodotto la sanzione».
Allucinante, no?
Dovremmo, come minimo, tutti noi che siamo stati spesso al Rialto, mobilitarci, andare davanti alla Agenzia delle Entrate e gridare l’assurdità di questo provvedimento, che punisce chi, ha fatto cultura, arte, spettacolo. Sembra uno sberleffo cinico nei confronti di chi, con passione e con fatica, ha cercato di tenere alta la vita teatrale della capitale.
La cosa suona ancora più paradossale quando contemporaneamente si apprende, anche in questo caso pressoché nel silenzio generale, che il prossimo decreto Milleproroghe prevede uno stanziamento “speciale” per il Teatro Eliseo di Roma: 12 milioni di Euro destinati alla gestione di Luca Barbareschi. Finanziamento ExtraFus, ovviamente.
Va bene?
Da tempo sostengo che il Fus, il Fondo Unico dello Spettacolo, dovrebbe essere almeno raddoppiato, che il teatro italiano debba essere adeguatamente e serenamente sostenuto dallo Stato. Mi diverte allora pensare che tanto slancio nei confronti dell’Eliseo farà da volano per il futuro del settore: possiamo prevedere, in sostanza, che le forze bipartisan che hanno inserito l’emendamento proEliseo faranno presto altrettanto per tutto il teatro italiano. Almeno 12 milioni di euro per ciascuna delle strutture finanziate dal Fus. Su ateatro contano più o meno 300 soggetti finanziati: fate il conto di quel che diventerebbe, annualmente, il Fus grazie alla lungimiranza di questi politici che non esitano a prendere posizione per salvare, a questo punto giustamente, lo storico spazio di via Nazionale.
E naturalmente, sono certo che qualcuno inserirà nel Milleproroghe un emendamento a favore del Rialto: 183mila euro non sono 12 milioni. Si può fare, no?
Ah! Già che ci siamo, sarebbe opportuno pensare ai teatri di cintura, per evitare definitivamente quel “ribasso” davvero sconfortante…
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