Teatro

Spettacolo dal vivo e pandemia

5 Gennaio 2021

“Quando i banchieri si ritrovano a cena, parlano di arte. Quando gli artisti si ritrovano a cena, parlano di soldi” scriveva Oscar Wilde. Questo paradosso può dare fastidio, ma dobbiamo convenire che anche la produzione artistica non può prescindere dal denaro. In particolare cinema e teatro poi hanno necessità assoluta di finanziamenti per passare dalla potenza ideativa all’atto realizzativo.

L’analisi del presidente del Teatro Stabile del Veneto Giampiero Beltotto, apparsa qualche giorno fa sui giornali, rende plastica la situazione di difficoltà che il comparto del teatro soffre ormai da un anno a causa dell’emergenza pandemica e suggerisce la via per uscire da una perenne mendicanza di denaro pubblico, anche in tempi normali, del mondo del teatro. Teatri e singoli operatori cercano di fronteggiare la crisi attuale digitalizzando produzioni, laboratori e progetti lanciando in streaming su youtube, portali e social le loro opere, documentando così vita e vitalità di un settore che per la verità era fortemente in crisi anche prima del Covid. E così lo spettacolo dal vivo sta sperimentando un autentico travaglio, in quanto il teatro è la modalità di espressione artistica che, forse più di ogni altra, necessita della reale presenza dei fruitori, in opposizione a ogni forma di virtualità possibile.

Tuttavia per restare vivi l’unica strada, in questo frangente pandemico, era quella di orientarsi verso lo streaming in rete. Su questo piano lo Stabile del Veneto per restare “vivo” ha messo in atto più o meno lo stesse iniziative digitalizzate di quasi tutti le altre rilevanti istituzioni teatrali, ovvero un protocollo produttivo digitalizzato che prevede in sintesi un maggiore coinvolgimento degli artisti locali ( non per improvviso slancio di valorizzazione delle forze creative locali, ma per mancanza di spettacoli e ristrettezza di mezzi ) e una maggiore presenza di musica e lirica nella programmazione streaming. Su questo piano si deve ammettere che lo sforzo organizzativo messo in atto dallo Stabile sotto la presidenza di Giampiero Beltotto è stato titanico, basta dare uno sguardo alla bulimica offerta di incontri teatrali gratuiti per grandi e piccini presenti sul  portale del Teatro stabile. Bisogna anche considerare che questo rapido imprevisto e improvviso mutamento del modo di fare teatro ha aperto paradossalmente un dibattito sul fare teatro mai così fecondo.

Ironia della sorte vuole che non si sia mai parlato di teatro in tv e in rete come adesso, basti pensare all’ottima iniziativa di Stefano Massini con il programma “ricomincio da Rai 3” in prima serata, incentrato sulla promozione del mondo teatrale, visto come dispositivo assolutamente necessario alla vita di una comunità. Venendo al Veneto, Beltotto, che da tempo gode di ampia visibilità sui giornali, dice tra l’altro: “…la logica del finanziamento regionale alla cultura, prima o poi, dovrà dotarsi di una strategia di intervento che sappia accentrare e scegliere e che, prima o poi, si dovrà convincere che le risorse a pioggia sono nefaste… i Comuni -continua Beltotto – lo dico senza alcun intento polemico, non sono operatori culturali. Non ne hanno, anche nei casi più felici, né la vocazione né le capacità…. Poi eccesso di sindacalizzazione, costi di realizzazione eccessivi, personale poco professionalizzato, incapacità nella promozione, polverizzazione in micro realtà, campanilismi ridicoli sono il segnale di una necessaria riforma del settore che deve prevedere la trasformazione di questo variopinto carrozzone, in aziende strutturate capaci di dialogare con lo Stato e con le imprese private”. E continua “il teatro… avrebbe bisogno di nuovo pubblico; di sedi non più pensate due secoli fa, ma oggi scomode e inagibili, come la crisi Covid ha dimostrato; di aprirsi a nuovi, e per certi versi inediti, scenari internazionali… Lo Stabile del Veneto, pure se tra mille difficoltà e incertezze, ci sta provando: l’ingresso del sistema camerale nella proprietà e l’arrivo di un nuovo manager che prenderà in carico la struttura aziendale per razionalizzarla, sono le più evidenti caratteristiche di questo processo di riforma… L’ingresso nella potenzialità offerta dallo spettacolo on-line dovrà diventare mercato, quindi trasformare la attuale gratuità in botteghino…”.

Concludendo mi permetto di controbattere le affermazioni di Beltotto con l’aforisma dello storico del teatro Glynne Wickham  “in arte non vi è mai progresso ma solo differenze” e infatti il modello di teatro all’italiana di tre secoli fa, egemone in tutto il mondo, è ancora luogo molto funzionale al rito del teatro, e riguardo l’innovazione artistica, si veda la ripresa del vinile, la persistenza del clavicembalo ecc…

A questo punto mi auguro che il processo di riforma suggerito da Beltotto, in vista di una ripresa post Covid, centrato su un ulteriore accentramento organizzativo in poche mani non si realizzi. Il teatro non è solo azienda, non è solo istituzione, non può essere solo burocrazia.  Spesso gli slanci più innovativi e vitali si annidano in periferia in condizioni di marginalità, “in teatro la periferia diventa centro” (G. De Bosio). Come ritengo insopportabili le parole azienda, mercato, manager ecc. in ambito sanitario, così le reputo non eleganti e fuorvianti in ambito artistico, fortemente limitanti la libertà creativa e progettuale degli operatori del settore. Quindi esorterei l’ottimo Beltotto a non premeditare ulteriori accentramenti di risorse ma, vista la sua capacità di dialogo con Regione e Stato, puntare finalmente a una legislazione regionale e nazionale seria, attesa da 70 anni, in modo da permettere a tutte le realtà professionali grandi e piccole una sana competizione sul piano della qualità degli spettacoli e dell’ottenimento di provvidenze pubbliche e risorse finanziarie private.

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