Teatro
La Grande abbuffata a teatro: intervista al regista Michele Sinisi
Il Teatro Fontana di Milano riapre i suoi spazi presentando al pubblico in prima assoluta l’adattamento teatrale del film La grande abbuffata, prodotto da Elsinor insieme al Teatro Metastasio di Prato, con una drammaturgia inedita firmata dal regista Michele Sinisi e Francesco Maria Asselta.
Un’opera controversa del regista Marco Ferreri, accolta con fischi e critiche al festival di Cannes al momento della sua uscita, considerata pornografica, eccessiva, violenta e deviante. Quattro amici, appartenenti alla borghesia “bene”, si rinchiudono in una villa con l’intento di suicidarsi mangiando e bevendo fino alla morte: una denuncia, sotto forma di allegoria, di una società dei consumi abituata a divorare tutto, fino a spegnersi. Ferreri viene riscritto in questa pièce teatrale che vede una scena spoglia, essenziale e fredda, ma popolata da un’eccesso di messaggi, da un costante bombardamento d’informazioni, suoni, messaggi visivi. Gli stimoli si mescolano e si confondono in un rimando fra palco e platea, in una contaminazione continua. Cibo, sesso, parole: tutto si accumula e viene fagocitato dai protagonisti, presenti in scena, proprio come nel film, con i loro veri nomi. Ogni atto perde la sua funzione naturale, il desiderio si annulla nella brama di consumo, il corpo si riappropria di uno spazio al quale la mente, stanca, sembra avere abdicato.
La percezione del tempo che scorre viene compensata dall’attimo e dal bisogno di recuperare una componente immediata, istintuale, dell’essere. Una rielaborazione potente, che rivendica l’urgenza di una riflessione su come vogliamo ripartire, sul senso di un ritorno alla normalità che rischia di essere, oggi, ancor più ingorda del nostro recente passato. Ne abbiamo parlato con il regista Michele Sinisi per capire meglio il senso di una scelta tematicamente forte e che mescola stili e linguaggi diversi.
Il teatro, dopo quasi un anno e mezzo di fermo forzato delle scene (anche se tanto è stato fatto attraverso altri mezzi, per mantenere vivo il rapporto con il pubblico), riparte e lo fa, nel vostro caso, con un’opera forte, spiazzante: cosa vi ha spinto a lavorare alla rielaborazione di un classico del cinema italiano, La Grande abbuffata di Ferreri?
Viviamo in un momento molto complesso: la pandemia ha segnato un fermo forzato nelle relazioni, nelle abitudini e nei modi di vivere, nel modo di rapportarsi al contesto in cui viviamo. Ci siamo adattati alla virtualità, abbiamo sperimentato nuove strade, con tutta la fatica data dalla perdita di relazione con le scene, ma ora la pretesa di ritorno alla normalità, come se nulla fosse accaduto sembra segnata da una volontà di consumo, di appropriazione. Le persone ingurgitano il presente, divorano le giornate in una grande abbuffata post pandemica. Tutto è a disposizione, tutto si brucia. In questo senso il film di Ferreri è estremamente attuale e contemporaneo, trasmette l’urgenza di una riflessione su quella che è percepita come una riappropriazione della vita ed è, forse, in realtà un richiamo costante alla morte.
Questo film aveva destato scandalo alla sua uscita nel 1973: anche oggi possiamo immaginare che il tema sollevi altrettanta discussione? Non si è forse perso col tempo il suo potere straniante, annacquato nelle “abbuffate” quotidiane alle quali siamo sottoposti?
Negli anni Settanta la Grande abbuffata aveva segnato la denuncia verso una borghesia benestante, abituata a potersi concedere tutto, lontana dai bisogni della maggioranza. I protagonisti dell’ordalia erano una minoranza alla quale guardare con straniamento, con curiosità o riprovazione, ma erano percepiti come “altro da sé” rispetto al contesto sociale dominante. Ora l’eccesso – di cibo, di sesso, di beni di consumo – è maggioritario, una vera e propria malattia che porta a fenomeni come la morte per patologie per sovralimentazione, alla violenza sulle donne e più in generale su chi, oggetto di desiderio, non corrisponde al bisogno immediato di soddisfazione individuale, allo spreco di risorse. Il soggetto potrebbe essere quindi meno “alieno” allo spettatore, ma non per questo meno potente nell’interrogarlo sul senso di questo procedere per grandi bocconi di vita.
Un presente che brucia tutto, che consuma e “inghiotte” quindi. Il teatro, che di per sé richiede un tempo di elaborazione o “digestione” dei contenuti, come può reagire?
Anche il teatro in questo momento vive una crisi. Viviamo di corsa, consumando le giornate all’inseguimento del “fare” e del recupero del tempo perso. Durante il lock down ci siamo fatti e abbiamo fatto tante promesse e ora sentiamo di doverle mantenere. L’urgenza però toglie rapporto con il rito teatrale, quello spazio sacro di rapporto con l’altro che richiede i suoi tempi, toglie energie allo studio e al processo creativo, che si nutre anche di silenzio e spazi di vuoto, di niente. Occorre recuperare i momenti di gratuità del fare cultura, le letture, i confronti, la ricerca, rallentando questa tendenza al costante inseguimento dell’“agire” nell’immediato. Solo così si può cercare di sanare la frattura culturale che si è creata in questi mesi e di cui, tutt’ora, fatichiamo a elaborare il portato, consolandoci spesso con il refrain del “tutto tornerà come prima”, pur sapendo che non solo è impossibile, ma in fondo nemmeno desiderabile.
LA GRANDE ABBUFFATA
4-13 GIUGNO Teatro Fontana, Milano
17-20 GIUGNO Teatro Metastasio, Prato
DALL’OMONIMO FILM DI MARCO FERRERI
DRAMMATURGIA DI FRANCESCO MARIA ASSELTA, MICHELE SINISI
SCENOGRAFIA FEDERICO BIANCALANI
DIREZIONE TECNICA ROSSANO SIRAGUSANO
CON STEFANO BRASCHI, NINNI BRUSCHETTA, GIANNI D’ADDARIO, SARA DRAGO, MARISA GRIMALDO, STEFANIA MEDRI, DONATO PATERNOSTER, ADELE TIRANTE
REGIA MICHELE SINISI
AIUTO REGIA NICOLÒ VALANDRO
PRODUZIONE ELSINOR CENTRO DI PRODUZIONE TEATRALE, TEATRO METASTASIO DI PRATO
Ph. Luca del Pia
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