Clima
Shakespeare ecologico
Una bella occasione per rileggere (e rimeditare) le più importanti opere shakespeariane ci viene offerta dall’interessante volume di Shaul Bassi, docente di Letteratura inglese a Ca’ Foscari, Pianeta Ofelia, che audacemente propone un’interpretazione ambientalistica di sei testi chiave del Bardo: Amleto, Sogno di una notte di mezza estate, La tempesta, Re Lear, Il mercante di Venezia e Otello.
Perché offrire un’ipotesi critica tanto attuale e insolita prendendo in esame capolavori scritti più di quattro secoli fa? Ma perché Shakespeare non solo possedeva un’eccezionale potenza immaginativa, in grado di illuminare passato e futuro, ma sapeva penetrare con particolare acutezza nella psicologia dei suoi personaggi, inserendoli in strutture sociali e ambientali puntualmente analizzate. Aveva inoltre una spiccata sensibilità verso il mondo naturale, con profonde conoscenze della botanica e della zoologia, e una giusta diffidenza verso la capacità umana di comprendere, rispettare e sfruttare positivamente la ricchezza del mondo non-umano: “Ma l’uomo, l’uomo superbo, rivestito di una piccola e breve autorità, del tutto ignaro di ciò di cui più dovrebbe essere sicuro – la sua specchiata essenza – si esibisce come una rabbiosa scimmia in tali trucchetti stravaganti davanti all’alto cielo da far piangere gli angeli; i quali, se avessero la nostra milza, morirebbero dal ridere” (Misura per misura 3.1.78-80).
Queste caratteristiche del genio di Stratford ce lo rendono contemporaneo, e incoraggiano un dialogo con le sue opere per ripensare noi stessi e le nostre relazioni col mondo, oggi pericolosamente minacciato sia dagli squilibri climatici sia dalla crisi della cultura antropocentrica. Shakespeare infatti da un lato affronta esplicitamente problemi ambientali del suo tempo (deforestazione ed eventi meteorologici estremi) che nella nostra epoca si sono esacerbati; dall’altro crea situazioni e personaggi che si prestano a nuove e stimolanti interpretazioni ecologiche. Bassi non individua il teatro shakespeariano come precursore dell’ambientalismo o profeta della fine dei tempi, ma invita ad approfondire tracce e suggerimenti per ripensare alla radice i comportamenti distruttivi dell’umanità, utilizzando riferimenti critici tratti dall’arte, dal cinema, dalla letteratura di tutti i tempi. Troviamo nelle pagine citazioni di filosofi contemporanei (Cacciari, Cavarero, Agamben, Derrida, Braidotti, Coccia) e antichi (Giordano Bruno); di poeti e scrittori come Leopardi, Primo Levi e Cormac McCarthy; di ecologisti come A. Ghosh, B. Latour, S. Iovino, D. Haraway, J.J. Cohen, O. Laing. Lasciamoci quindi condurre da questo fil rouge che attraversa epoche e luoghi, per sottrarci alla provocatoria ammonizione di Re Lear: “È la piaga dei tempi quando i pazzi guidano i ciechi” (4.1.46), cercando di aprire gli occhi sul domani che ci aspetta, anche con l’aiuto della letteratura.
Nella tragedia di Amleto, da secoli simbolo della condizione umana, possiamo riscontrare due concetti contrapposti di ecofobia ed ecofilia: il primo incarnato dal protagonista, ossessionato dall’idea di marciume e putrefazione del mondo naturale (l’aria è “una immonda e pestilenziale congregazione di vapori”, “il sole genera vermi in un cane morto”, “la marcia corruzione, che tutto mina dentro, infetta non veduta”). Risponde in controcanto l’ecofilia di Ofelia, immersa in un paesaggio floreale e in visioni acquatiche, capaci di conciliare cielo terso e terra fertilmente produttiva.
Il rapporto tra natura e cultura balza in primo piano soprattutto nel Sogno di una notte di mezza estate, dove la simbiosi tra umano e non umano crea combinazioni impreviste tra luoghi magici e boscosi, ambienti popolari, specie sovrannaturali e ceti aristocratici, in una continua metamorfosi il cui principale interprete è Puck, folletto che varca e intreccia i domini umano, animale e vegetale. L’elogio della biodiversità implicito in questa commedia suggerisce anche una celebrazione del polimorfismo sessuale, che ha offerto l’estro a recenti ambientazioni teatrali basate su nuove versioni queer, e riflessioni sulla coesistenza, interdipendenza, ibridazione degli umani e delle creature più-che-umane, aldilà di ogni rigida schematizzazione.
La tempesta, unica opera di Shakespeare che prende il titolo da un fenomeno atmosferico, è la più carica di significati politici, poiché testimonia un momento di passaggio da un oceano mitologico, divino e ostile, a un oceano reale che spiana la strada ai commerci transatlantici e alla conquista di nuove terre. Ambientata tra il mare minaccioso e sconfinato e la misteriosa segregazione di un’isola, si situa in un orizzonte lontano dallo spazio urbano e civile, evidenziando le potenzialità mai del tutto conosciute e dominabili degli elementi naturali, ben presenti nell’immaginario dell’uomo dell’Antropocene, consapevole degli stravolgimenti climatici provocati dalle attività industriali ed economiche prive di controllo.
Re Lear è l’opera di Shakespeare in cui ricorre con maggior frequenza la parola ‘natura’ con i suoi derivati (34 occorrenze), pur in una molteplicità di significati: carattere, destino, vita, età, paesaggio. Solo in questa tragedia un personaggio shakespeariano si rivolge direttamente alle forze atmosferiche, in termini di incontenibile furore, quasi augurando una sorte di apocalisse vendicativa: “Soffiate, venti, e spaccatevi le guance! Infuriate! Soffiate! Voi, cateratte e trombe marine, sgorgate finché non avrete infradiciato i nostri campanili e annegato i galli segnavento! Voi fuochi sulfurei e rapidi come il pensiero, avanguardie dei fulmini che spaccano le querce, strinate la mia testa bianca! E tu, tuono che tutto scuoti, spiana la spessa rotondità del mondo, schianta gli stampi della natura, distruggi d’un colpo tutti i semi che fanno l’uomo ingrato” (3.2.1-9).
La Venezia di Shakespeare si ripete due volte, la prima come commedia e la seconda come tragedia, ne Il mercante di Venezia e in Otello, due opere sensibili a tematiche attuali, in quanto mettono in luce il rapporto necessario che intercorre tra ecologia, spazi urbani e comunità. Il capoluogo veneto è città cosmopolita, esattamente come nel 1600: multirazziale e multiculturale, epicentro mondiale del turismo, del commercio, dei trasporti e delle comunicazioni, ricco di esperienze artistiche ma segnato pure da sentimenti xenofobi e dall’ansia per i mutamenti climatici, che lo vedono spesso protagonista in negativo di inondazioni, inquinamento delle acque, abusivismo edilizio.
Ecco dunque che, seguendo i suggerimenti di Shaul Bassi, anche Shakespeare (“prospettiva e rifugio, monito e speranza, angoscia e consolazione”), può essere letto da noi abitanti dell’Antropocene riattualizzandolo con gli occhi del presente, alla luce delle trasformazioni che ci spaventano, per aiutarci a immaginare un futuro migliore.
SHAUL BASSI, PIANETA OFELIA: FARE SHAKESPEARE NELL’ANTROPOCENE
BOLLATI BORINGHIERI, TORINO 2024 – Prefazione di Stephen Greenblatt – p.125
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