Teatro
Se Don Chisciotte ci racconta il presente
Abbiamo rivisto dopo circa dieci anni la coreografia Don Quijote di Loris Petrillo, l’abbiamo rivista con un certo qual timore: è uno spettacolo di grande fascino e di piena densità emotiva e simbolica, uno spettacolo che arriva forte e diretto al pubblico. Dieci anni di repliche avrebbero potuto indebolirne la potenza e invece lo hanno consolidato e trasformato in un perfetto congegno di danza da attraversare e attivare. Forse la densità emotiva non ha resistito all’urto del tempo, ma questa volta è apparsa potente tutta la sua forza intellettuale, il concept che pone l’immortale personaggio di Cervantes come metafora chiave di quella dimensione di autenticità e integrità che è richiesta all’uomo contemporaneo per reagire e salvarsi da un definitivo percorso di alienazione. Lo spettacolo è andato in scena a Palermo dal 15 al 17 febbraio, nel contesto della stagione del Teatro Libero diretto da Luca Mazzone. Interpreti di grande solidità artistica sono Nicola Simone Cisternino, Yoris Petrillo, Ugne Kavaliauskaite. Dal canto suo Petrillo, di origini Siciliane ed Emiliane, ma di formazione internazionale come danzatore e coreografo, oggi vive, sviluppa la sua attività di didatta di danza ed elabora i suoi lavori a Tuscania nel Lazio e, soprattutto, sa presentare con acume e pacatezza il senso profondo, politico e morale, del suo lavoro artistico. Lo abbiamo incontrato.
Come sopravvive una coreografia al tempo? Cosa ha da dire di necessario – oggi – questo che hai concepito e creato nove/ dieci anni fa?
«A mio parere, la sopravvivenza di una coreografia o di una creazione dipende esclusivamente da sé stessa e finanche il coreografo non può deciderne le sorti. Ora, nel caso di Don Quijote, parliamo probabilmente di una creazione e di una figura che si mantiene estremamente attuale. Riflette infatti problematiche non solo sociali – vedi la lotta contro la società decadente – valide ancora oggi, ma anche quelle che sono le delusioni più personali, intime che toccano l’uomo nel profondo e lo costringono a fare i conti con la sua stessa vita, nel tentativo – folle – di salvare ciò che ha ancora la forza per sopravvivere. In un modo o nell’altro, queste sono tematiche che riguardano ognuno di noi. Don Quijote è per eccellenza un personaggio contemporaneo, e per questo resiste all’usura del tempo».
Questo personaggio si presenta come una metafora del danzatore che cerca la sua autenticità di vita e di espressione. Pensi che sia ancora possibile questa autenticità nel mondo della danza e soprattutto nel mondo della danza contemporanea in Italia?
«Non solo è possibile, ma soprattutto necessario. Ora, non sempre questa spinta all’autenticità viene valorizzata, anzi mi sembra che a un certo punto ci sia stata una corrente contraria, in favore diciamo pure di un’omologazione, di una conformità al diktat della maggioranza. Ma proprio per questo dobbiamo assolutamente ritrovarla. Anche perché ognuno di noi è autentico di per sé, si porta dentro una peculiarità che gli appartiene, quindi bisogna “solo” riscoprirla. Basta avere il coraggio e la forza di non rinunciarvi, di curarla; e bisogna anche aver avuto la fortuna, forse, di aver ricevuto una educazione che ti porta a resistere all’appiattimento, alla standardizzazione, alla massificazione della coscienza, del pensiero, dei linguaggi, dell’espressione. Poi è chiaro che sposare l’autenticità come modus vivendi può far paura, perché oltre che faticoso, può diventare pericoloso. In particolare, quando la tua autenticità viene percepita come un pericolo per il mantenimento dello status quo, il rischio è quello di essere isolato e finanche ostacolato. Per questo, parlo di coraggio, e forse anche di follia, che poi altro non sono che i tratti peculiari del Don Quijote».
Hai creato un repertorio di coreografie attive e disponibili con e per la tua compagnia. C’è in questo repertorio una consapevolezza relativa alla tua fisionomia artistica di danzatore e coreografo?
«Ciascuno dei miei lavori coreografici è tendenzialmente autobiografico, perché trae ispirazione vuoi da accadimenti personali, vuoi da una riflessione o da un parere politico-sociale di cui sento l’urgenza, o meglio, il bisogno di trattare. C’è poi sì una consapevolezza in ciò che riguarda la mia fisionomia artistica di danzatore e coreografo, ma nella sua evoluzione piuttosto che nella sua costante ripetitività. Probabilmente in ognuno dei miei spettacoli si può riconoscere un’impronta, credo anche abbastanza marcata, ma questa impronta soggiace a una fisionomia che si è senz’altro evoluta da quando ho iniziato a creare coreografie nel ‘92, e continua ad evolversi nel tempo, rispecchiando di certo quello che sono stato come danzatore e coreografo, ma anche quello che sono e sarò. In questo senso, non sono legato a questa o quell’estetica, ma sono costantemente attratto da ciò che si accorda con la mia visione e la mia identità. Quindi mi piace parlare più di un’impronta coreografica che resta costante e riconoscibile, mentre la fisionomia artistica è in costante ed evidente evoluzione».
In questa coreografia presenti inoltre una tua riflessione sul senso della contemporaneità quasi come una categoria esistenziale dello stare al mondo. Come si sta al mondo da contemporanei?
«Ti posso parlare della mia esperienza. Per quanto mi riguarda, la contemporaneità in fondo non mi appartiene. Le sopravvivo appartandomi, osservandola dal di fuori.
Come l’acqua e l’olio non si mescolano, mi relaziono con la contemporaneità senza fondermi del tutto con essa. È uno stare al mondo forse allora più ancestrale che contemporaneo, in cui mi nutro di silenzio, di riflessioni, di spiritualità, di bellezza che non viene sgualcita. Questo mi permette di stare al mondo da contemporaneo, senza esserlo davvero».
Mi pare che sia cresciuta anche la tua esperienza di didatta: in che cosa consiste il tuo metodo di insegnamento (Frames movement system)?
«Da più di 15 anni mi occupo di formazione. A oggi, il mio metodo di insegnamento è il cuore di “SPECIFIC, advanced dance program”, il percorso di perfezionamento che ogni anno accoglie danzatori da ogni parte del mondo, i quali giungono da noi in Italia proprio per arricchire il loro bagaglio tecnico e performativo e iniziare la loro carriera di danzatori. Il metodo prende il nome di Frames Movement System perché trae ispirazione da quella che è la mia visione del movimento e della sua origine: il frame, appunto, ciascuno dei fotogrammi di cui il movimento è composto. Lo studio del frame, che altro non è che la scoperta delle molteplici possibilità di movimento del corpo, crea condizioni tali da consentire al danzatore di ampliare in maniera esponenziale le proprie capacità prestazionali ed espressive, sviluppare le potenzialità inespresse di sé, dando vita ad una danza originale attraverso le risoluzioni tecniche, la sperimentazione personale e la propria partecipazione emotiva».
Cosa c’è al cuore del tuo insegnamento di danza? Al di là dell’esperienza estetica quali valori o punti di vista politici, morali, filosofici coltivi e condividi nel tuo lavoro di maestro.
«Per quanto mi riguarda, nell’insegnamento il tentativo, oltre quello di veicolare strumenti tecnici ed estetici, è anche quello di stimolare una riflessione rispetto al ruolo del danzatore, dell’artista oggi. Come dico sempre ai miei allievi, prima di tutto credo che il danzatore/artista debba godere di una positiva e sana follia, e in questo senso ha dei privilegi ma soprattutto dei doveri. L’artista, in senso lato, ha un ruolo fondamentale a livello sociale e politico: creare equilibrio e costantemente ristabilirlo. In questo senso, è l’ultimo baluardo della logica e della coscienza in uno scenario politico-sociale in cui regna il marasma, la confusione, il tramestio, l’ottundimento e la menzogna. L’artista è colui che ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, di non favorire il dilagare della menzogna, di professare il suo pensiero pur rischiando la diserzione altrui. Dal punto di vista filosofico, si tratta di sostenere e perseguire la logica, provando a distinguere ciò che è superfluo, dannoso perché impossibile da validare, da ciò che invece ha basi logiche e pertanto, coltivato, capace di produrre risultato. Dal punto di vista morale, di coltivare la coscienza, il senso critico, la capacità di saper valutare, discernere e mettere in discussione ciò che viene propinato per fatto indiscutibile o verità assoluta. In ultimo, alla base del mio insegnamento c’è la valorizzazione della diversità. In questo senso, non mi spaventa, anzi mi piace circondarmi di allievi danzatori profondamente differenti per provenienza geografica, bagaglio, esperienza e cultura. In linea con questo principio, ogni anno ci adoperiamo con ogni mezzo a nostra disposizione per fare in modo che chi si trova ad affrontare difficoltà nell’ottenimento del visto, per via di impedimenti legati ai propri paesi di origine, possa raggiungerci in Italia e studiare da noi. Credo fermamente che la diversità sia ricchezza e la crescita di ognuno avvenga in maniera molto più rapida ed efficace quando abbiamo la possibilità di incontrare e confrontarci con l’altro».
Don Quijote, dal 15 al 17 aprile a Palermo, Teatro Libero. Creazione per tre interpreti. Coreografia e regia di Loris Petrillo. Consulenza musicale di Pino Basile. Musiche Ludwig Minkus, sperimentazioni sonore Loris Petrillo, musica della tradizione tibetana e antica romana. Consulenza drammaturgica Massimiliano Burini. Interpreti Nicola Simone Cisternino, Yoris Petrillo, Ugne Kavaliauskaite. Disegno luci di Loris Petrillo. Produzione Twain, con il sostegno del MiBACT – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo – in collaborazione con TSI La Fabbrica dell’Attore/Teatro Vascello – Roma. Crediti fotografici di Valeria Tomasulo.
Don Quijote, dal 15 al 17 aprile a Palermo, Teatro Libero.
Creazione per tre interpreti. Coreografia e regia di Loris Petrillo. Consulenza musicale di Pino Basile. Musiche Ludwig Minkus, sperimentazioni sonore Loris Petrillo, musica della tradizione tibetana e antica romana. Consulenza drammaturgica Massimiliano Burini. Interpreti Nicola Simone Cisternino, Yoris Petrillo, Ugne Kavaliauskaite. Disegno luci di Loris Petrillo. Produzione Twain, con il sostegno del MiBACT – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo – in collaborazione con TSI La Fabbrica dell’Attore/Teatro Vascello – Roma. Crediti fotografici di Valeria Tomasulo.
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