Teatro

Scratching Macbeth

4 Maggio 2016

E se Macbeth non fosse morto sotto i colpi di MacDuff? Se fosse invecchiato, rintanato da qualche parte, in uno di quei bunker dove di tanto in tanto trovano boss mafiosi e latitanti in fuga? E se Lady coltivasse ancora l’ossessione del potere, della conquista a tutti i costi della corona?

È una bella suggestione quella da cui parte Macbeth remix, testo lirico di Edoardo Sanguineti – peraltro ancora inedito, che attinge non solo all’originale ma anche al librettista di Giuseppe Verdi, Francesco Maria Piave – e con regia e musiche di Andrea Liberovici.

Opera noir, decisamente cupa nella sua immaginata disfatta, Macbeth remix non è certo l’ennesima variazione né attualizzazione sul tema shakesperiano, ma è quello che il poeta genovese chiamava un “travestimento”, che è sottile invenzione, divertito mascheramento e geniale svelamento di verità e profondità altre, di possibilità ulteriori.

Lo spettacolo di Sanguineti/Liberovici andò in scena, in una prima rutilante edizione, al Festival di Spoleto nel 1998. Ora torna sul palcoscenico del Duse di Genova, complice il ricordo dovuto al poeta e le celebrazioni shakespeariane.

Certo che l’apporto intellettuale, poetico, politico di Sanguineti alla scena e alla cultura italiana è stato troppo in fretta archiviato: vale la pena, invece, tornare alla scomoda e mai complice scrittura di questo grande del Novecento che ha prestato la sua arguta penna a Nono e Berio, a Ronconi e Tiezzi, a Squarzina, Besson, a Liberovici padre e altri, anche in termini di traduzioni, suggestioni, saggi.

Ben ha fatto, dunque, Andrea Liberovici a riprendere la partitura e il libretto di Macbeth remix.

Che è uno spettacolo ovviamente diverso dalla prima edizione, più conciso, stringente, tagliente come non mai. A interpretarlo sono due sontuosi attori: Elisabetta Pozzi e Paolo Bonacelli. Sono loro i Macbeth invecchiati, incarogniti, resi essenziali dal tempo e dal ricordo. Li cogliamo in una specie di sottoscala, un bunker appunto, in cui la Lady cala dall’alto. Lui, il despota, giace in canottiera e pigiama su una poltrona rivestita di cellophan. Si alza per andare a squartare un maiale, carne da mettere in frigo e conservare. Lei porta un dolcetto, si dà da fare con lo spazzolone, rassetta e ascolta la radio, canticchiando sulla falsariga di celebri motivetti, le sue maledizioni. Sono una coppia sfranta, amareggiata, eppure non in disarmo. Tornano sempre di nuovo a quella notte di massacro: ricordi, forse, oppure un ennesimo, inarrestabile tentativo di riscatto.

Poi ci sono le apparizioni (proiezioni stranianti su un soffitto obliquo e opprimente) del re Duncan, di Banquo, di una strega…

Elisabetta Pozzi e Paolo Bonacelli
Elisabetta Pozzi e Paolo Bonacelli

Macbeth remix è un concerto live per voci soliste e nastro magnetico, è una follia registrata e campionata da un dj che fa scratch sul verso poetico, è un “concept album” a tratti aspro e respingente su temi shakespeariani che Andrea Liberovici, con la consueta ordinatissima follia, allestisce avvalendosi e sfruttando al meglio le virtù dei suoi attori.

Elisabetta Pozzi dà l’ennesima graffiata di assoluto livello: attrice raffinata, qui gioca nel mascherarsi da vecchia (come fu, magistrale, per Max Gericke), e tratteggia una delle Lady più feroci viste recentemente proprio per la sua aria da soave “signora”. Nel lucido straniamento del personaggio, Pozzi compone una partitura essenziale, efficacissima. Altrettanto fa Paolo Bonacelli, il cui distillato di gesti e toni dà a Macbeth risvolti di macabra attualità: boss di ottusa violenza, attaccato alla bombola dell’ossigeno eppure capace di tutto, affaticato da se stesso e dal proprio passato. Nei camei video, a dar voce ai vari personaggi della tragedia, appaiono Eros Pagni, Marco Sciaccaluga, la compianta Dely De Maio, e poi Sierha Bonnette e Daniele Maddeddu, ma c’è spazio anche per l’inconfondibile voce della grande Judith Malina che dà alle streghe toni da brivido.

Suggestioni pinteriane di non-detto aleggiano sul testo, tutto in sottrazione, delegando alla partitura musicale il piano emotivo forte, diretto, con un incipit divampante che si dipana, poi, in una musicalità e in sonorità mai consolatorie.

Resta, poi, la straziante solitudine di quei due vecchi criminali, resi folli dalla bramosia del potere e dalla incapacità di raggiungerlo. Due solitudini, due fallimenti, due vite che sbriciolano ricordi e illusioni di un passato che forse non è mai stato.

Canto metateatrale di personaggi tragici forse impossibili oramai da far rivivere tali e quali, nell’eterna ripetizione di se stessi, se non in un “travestimento” (appunto) che ne è ironica e disincantata parodia.

Prodotto dallo Stabile di Genova, è in scena al Teatro Duse fino a domenica.

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