Teatro
Santarcangelo dei teatri, Infante svela il cuore nero delle “Metamorfosi”
Oltre Ovidio. Al di là della poesia e dei versi. Dentro il cuore nascosto della sua opera più celebre. Per leggere meglio, per capire quel tempo. E così il nostro. A Santarcangelo dei teatri arrivano le “Metamorfosi” rilette da Manuela Infante, drammaturga e regista fra le più interessanti della nuova scena internazionale, capofila di una ricerca molto avanzata sul fronte del teatro post antropocentrico che tre anni fa mostrò alla Biennale di Venezia diretta da Antonio Latella un capolavoro assoluto come “Estado Vegetal”. Manuela Infante arriva al festival romagnolo con un lavoro recentissimo che ha visto la collaborazione stretta tra l’artista cilena e Michael de Cock il direttore artistico del prestigioso Kvs di Bruxelles. Insieme hanno deciso di lavorare nel cuore dell’opera del poeta latino Publio Ovidio Nasone che per questa pubblicazione venne allontanato in esilio da Roma nell’anno 8 d.C. L’opera è una sfida notevole e si segnala come uno degli appuntamenti più attesi dal festival di Santarcangelo dei Teatri che ha aperto lo scorso 8 luglio il ricco e interessante programma messo a punto dai Motus Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande che hanno battezzato questa edizione “Futuro Fantastico” (Il Movimento),” festival cioè “mutaforme” così come lo hanno definito gli stessi direttori artistici, fatto cioè di meduse, cyborg e specie compagne. E quindi perfetto per “Metamorphoses” lo spettacolo diretto da Manuela Infante che si avvale della musica di Diego Noguera, light design di Andrés Poirot con Hannah Berrada, Luna de Boos e Jurgen Delnaet e sarà in scena il 17 e il 18 presso il parco Baden Powell. Rilettura poco convenzionale quella della regista e drammaturga cilena che metterà in rilievo gli elementi di una cultura profondamente maschilista e patriarcale come fu quella classica che alle donne attribuiva solamente ruoli di secondo piano e sottomissione. Un testo quello di “Metamorphoses” ricco di similitudini e un simbolismo profondamente complesso. Difficile da abbordare ma che può rivelare al suo interno delle interessanti scoperte.
“L’idea è stata di Michael de Cock, il direttore artistico del centro KVS di Bruxelles, il teatro che ha prodotto lo spettacolo. Michael _ racconta Manuela Infante _ aveva già programmato “Estado Vegetal” nel suo teatro e aveva già fatto diverse traduzioni e adattamenti del poema di Ovidio. Naturalmente, conoscevo le storie componenti quel libro, anche perché fanno parte dell’inconscio collettivo della storia dell’arte occidentale. Ovviamente trovai che l’idea di Michael era molto buona poiché è un testo che duemila anni fa metteva in discussione il confine tra umanità e non umanità, in molti modi diversi in tutte le sue pagine. Quindi sapevo che avrei trovato qualcosa di interessante per me. Ma quando ho ripreso in mano il volume sono rimasta sorpresa nello scoprire che molte delle storie di trasformazione degli umani in non-umani sono racconti in cui gli dei o gli uomini inseguono le donne o le ninfe per molestarle o violentarle. La metamorfosi avviene allora perché chiedono alle loro compagne ninfe di cambiare la forma (questa forma che le rende oggetto di predazione), oppure quando scappano gli stessi dei le trasformano in alberi, animali, ecc. come forma di punizione. Vale a dire che la trasformazione in entità non umane è intimamente legata alla violenza sessuale. Questa constatazione mi è sembrata centrale. E così ho iniziato a lavorare su quel punto in cui il pensiero post-umanista tocca il pensiero femminista. Come direbbe la grande Rosi Braidotti “le donne non sono mai state Umane””.
E in effetti, nella presentazione dell’opera si ricorda che il libro originale di Ovidio è sì un meraviglioso volume pieno di misteri, ma allo stesso tempo è “un libro in cui le donne e le ninfe sono perseguitate dagli uomini, perdono la voce e diventano pietre, acqua, animali ….”
“Il tema della voce è diventato molto importante in questo progetto. Da un lato perché è qualcosa su cui sto lavorando da molto tempo in collaborazione con il musicista Diego Noguera (anche in “Metamorphosis”), in lavori molto musicali dove elaboriamo le voci dal vivo. E d’altra parte perché, per una meravigliosa coincidenza, nei racconti di Ovidio c’è un accento importante su come gli umani che si trasformano in non-umani di solito riconoscono come prima cosa che hanno perso la loro capacità di parlare. Aprono la bocca per dire qualcosa e scoprono che ne escono solo suoni strani. La questione dei limiti del suono e del significato mi ha sempre affascinato. Nel caso di queste storie mi chiedo se non sia proprio che questi strani suoni possano diventare una nuova forma di linguaggio, una nuova eloquenza per coloro che sono stati espulsi dall’umanità”.
Cosa intende esattamente quando afferma che “dobbiamo decostruire il canone dall’interno”? Questo tipo di opere non si limita a infrangere il dogma; il bello è che “contengono al loro interno anche tutti gli ingredienti di cui abbiamo bisogno per avvicinarci al mondo in un modo completamente diverso. Ecco perché è così ricco e utile lavorare con uno scrittore come Ovidio”.
“Non lo penso in modo dogmatico. Ci sono opere e autori che non toccherei neanche con un bastone. Ma nel caso di Ovidio credo che ci siano elementi, come dicevo prima, l’accento sulla voce, che l’autore stesso mette lì, che ci permettono di ribaltare o violare quella barriera che sta cercando di stabilire tra umanità e non-umanità, tra natura e cultura. Ovidio esteriorizza la natura dalla cultura, stabilendo così una gerarchia della cultura (l’umano) sulla natura. E nello stesso gesto espelle le donne che sfuggono a questa “esteriorità”. Quella frontiera che lui sta creando per reiterazione io cerco di dissolverla con gli stessi elementi delle sue storie, intrecciati, rimasticati in altri modi”.
“Nella scena, noi attori facciamo il “gioco dei puntini” per trovare una figura nascosta dietro, seguiamo una direzione e troviamo un significato personale per quel transito. I punti sono le scene, la parola scritta sulla carta e il percorso è costruito, la storia è raccontata da tanti punti di vista quanti sono gli attori che la rappresentano. La drammaturgia di Manuela Infante non può essere compresa se la consideriamo come una scrittura da rappresentare”. Questo è stato scritto nel prologo di “Prat” e “Juana”, le prime due opere del Teatro de Chile, la compagnia di cui era la regista. È l’inizio di un viaggio. Hanno ancora valore?
“Sì, nel senso che non scrivo le opere prima di metterle in scena. La scrittura per me è nel ritmo, è nella composizione di tutti gli elementi della teatralità (uno di questi è la parola). E costruisco questa struttura insieme alle attrici durante le prove.”
Nella sua drammaturgia c’è un continuo attraversamento di territori e un lavoro con diversi media. Lo fa con parole che seguono un ritmo e un suono, lo fa con la musica e la colonna sonora.
“È la stessa cosa che ho detto in precedenza. Il teatro per me non è altro che un luogo in cui fare filosofia nel canto. Un pensiero con il corpo dove ciò che rimane nell’oscurità ha tanto o più valore di ciò che viene alla luce. Dove il suono è importante quanto o più del significato. O dove questa frontiera cessa di esistere.”
Suona in una band indie chiamata Bahía Inutil. La band ha pubblicato due album: “Stand Seared” nel 2011 e “Bahia Inutil” nel 2014. A quando l’uscita di un nuovo album? Riesce a trovare il tempo per suonare con il gruppo?
“Non lo trovo molto perché al momento sto producendo tanto in Europa e trascorro poco tempo in Cile. Anche se faccio uno sforzo sovrumano per rimanere qualcuno che ha sede in Cile: ci tengo molto a non perdere il punto di vista del Sud, e mi interessa molto quello che succede oggi nel mio Paese e nel Sud del mondo. Tuttavia il mio lavoro sta diventando sempre più musicale. Ho l’intenzione di suonare presto io stessa in scena: così le cose stanno evolvendo e i linguaggi si stanno unendo”.
Il festival “Futuro Fantastico” oltre al lavoro della Infante e di Michael De Cock ha altre freccia nel suo arco in questo ultimo scorcio. Negli stessi giorni delle “Metamorphoses” infatti la coreografa brasiliana Gabriela Carneiro da Cunha mescolerà umano, naturale e artificiale nello spettacolo “Altamira 2042”, in prima europea, in cui, attraverso protesi tecnologiche del proprio corpo, riflette sulla crisi idrica in Brasile (17 e1 8/07, al Teatro Petrella, Longiano). La greca Lenio Kaklea con “Ballad” presenta il terzo capitolo del progetto multidisciplinare “Practical Encyclopaedia” (17 e 18/07, Scuola Pascucci). L’artista queer Sophie Guisset (in collaborazione con Est Coulon) propone “Plus One”!, performance per una sola persona(16, 17 e 18/07, Scuola Pascucci). Nello Spazio di via Costa, Parco Baden Powell Romeo Castellucci della Raffaello Sanzio propone “Il Terzo Reich”, un’installazione filmica con la performance della danzatrice Gloria Dorliguzzo e le musiche di Scott Gibbons, darà vita a un’opera che è l’immagine di una comunicazione inculcata e obbligatoria, dove il linguaggio può essere strumento violento e totalitario e dove la parola esaurisce interi ambiti di realtà. Una sequenza della totalità dei sostantivi del vocabolario italiano viene proiettata su un mega schermo. Un nome dopo l’altro, a velocità crescente, fino a che la capacità retinica e mnemonica di trattenere una parola che appare nel baleno di un ventesimo di secondo inizia a vacillare. Lo spettatore, esposto a questo trattamento, subisce la parola umana sotto l’aspetto della quantità. Non il cosa, ma il quanto. Il nucleo del linguaggio ritorna al rumore bianco, che riporta al caos. Due repliche il 15 (21,30 e 23) e una il 16 alle 22. Il 15 e il 16 il collettivo belga Ghost (15 e 16/07) presenta uno spettacolo-concerto dedicato a Mad Max (film ambientato proprio nel 2021) realizzato nella storica comunità utopica di Mutonia, fondata a Santarcangelo 30 anni fa, che il 17 luglio ospiterà anche lo spettacolo “Leaps of fire” di Games With Flames da Mutonia. Muta Imago in “Sonora Deserts” sperimenta un’installazione performativa per pochi spettatori alla volta, un viaggio sensoriale tra sonno e veglia e in uno spazio tempo circolare ispirato alle teorie della neurobiologia e della fisica teorica (15, 16, 17e 18/07, Villa Torlonia, San Mauro Pascoli). L’artista svizzero Simon Senn presenterà invece il nuovo progetto “Simo” (17 e 18/07, Supercinema), costruito attorno a un’intelligenza artificiale. Emilia Verginelli e Muradif Hrustic con Michael Schermi presentano “Io non sono nessuno” al Lavatoio (17 e 18). Virtual Studies for a Dark Swan è il titolo della performance dell’etiope Selamawit Biruk, una coreografia di Nora Chipaumire rivisitata in forma di assolo (17 e 18/07, nello Spazio).
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