Teatro

Sansepolcro, a Kilowatt festival la maestria di Virgilio Sieni

19 Luglio 2023

Grande è la confusione sotto il cielo del teatro. Situazione poco eccellente, quindi. Parliamo di tecnologie e innovazione. Accade che in un dibattito qualcuno lanci l’allerta sui pericoli incombenti della Intelligenza Artificiale e non si capisce quali sfracelli possa combinare ad una scena già malconcia di suo. Si mette in guardia sull’uso del chatbot a teatro ignorando come la grammatica teatrale venga già ampiamente utilizzata dagli scienziati nella confezione degli alias. I rischi reali al limite potrebbero essere che scriva meglio di qualche supposto drammaturgo! A considerare la latitanza di idee in giro non sarebbe poi una così grave sciagura. A proposito, drammaturgo o dramaturg? This is the problem. Altra annosa questione. In tanti confondono e pensano sia la stessa figura. Il meccanismo è lo stesso dell’AI di cui nulla conoscono e poco studiano. Ignoranza totale. Si segna il passo mentre il mondo cambia e la società attorno non è più la stessa di dieci anni fa. Però l’andazzo sì, è sempre lo stesso: mancanza di coraggio, assenza di studio e ricerca, zero confronti. Sia che si confonda un gioco con la drammaturgia o si pensi che il teatro partecipato sarà la panacea per il nostro teatro. Ecco la contraddizione: si può criminalizzare l’arrivo di inediti supporti scientifici e allo stesso tempo scambiare per oro quello che invece è ottone. Considerazioni utili quando si analizza un allestimento come la “Scelta” programmato al Kilowatt festival, edizione lato Sansepolcro, dall’11 al 15 luglio che anticipa di una decina di giorni il secondo round di Cortona (dal 19 al 23 luglio). La produzione è di Qui e Ora, intraprendente e vivace compagnia bergamasca che ha all’attivo spettacoli interessanti come “La vertigine di Lista” .

Il momento finale de “La Scelta” dispositivo di Roger Bernat allestito a Kilowatt da Qui ed Ora (foto Luca del Pia)

Con una ottima organizzazione hanno dato vita a un esperimento ludico e divertente utilizzando il dispositivo messo a punto dal catalano Roger Bernat (drammaturgia di Roberto Fratini) con lo scopo di replicare l’attimo in cui degli spettacoli teatrali vengono selezionati per finire in festival o rassegne. Gli spettatori, al loro ingresso in sala, vengono selezionati per tre gruppi in luoghi dove, seduti in semicerchio, guidati da un operatore di Qui e Ora, assistono alla proiezione di tre pezzi di trailer di spettacoli teatrali. L’obiettivo è quello di scegliere uno tra questi da inserire nella lista unica di tutti gli altri gruppi per la scelta finale. Atmosfera rilassata e atteggiamento sornione delle operatrici che distribuiscono cartoline numerate e prestampate. L’operatore chiama il numero e lo spettatore legge, come se reazioni e commenti riferiti al trailer appena mostrato fossero suoi. Si giunge per voto alla scelta di uno spettacolo. Completato il primo round i gruppi vengono assemblati assieme con lo scopo di decidere democraticamente il prescelto. Spettacolo che, per pura coincidenza, era stato indicato preventivamente dai direttori artistici di Kilowatt Luca Ricci e Lucia Franchi. E’ stata, come a teatro, tutta una finzione. Un divertissement, un rilassante gioco di società, insomma. Chi per un attimo avesse pensato che ci fosse una velata critica per i modi in cui diversi direttori scelgano in questo modo superficiale la propria programmazione, si deve ritenere in errore. Lo chiamano teatro partecipato – e Bernat è considerato l’esponente di maggior spicco – e appare la moda del momento.

In “La Scelta”, ogni spettatore ha a disposizione delle cartoline con dei commenti da leggere a turno (Foto Luca del Pia)

Gli spettatori sono coprotagonisti e si recita a soggetto. Potrebbe essere un rinnovato patto tra teatranti e pubblico, scritto con nuove regole di partecipazione a cambiare la scena? Eventi ed happening in cui il pubblico è coinvolto in prima persona. Bernat ha passato diverso tempo a studiare e vedere come avviene la scelta di festival e rassegne, cosiddette partecipate e dentro la Rete di Risonanze. Sono esperienze copiate e gemmate proprio da Kilowatt, dove un gruppo di 45 persone di età diversa, battezzati appunto i Visionari, durante l’anno, dopo aver passato in rassegna decine e decine di ore di filmati e trailer decide la lista da inserire nel palinsesto. Che per Kilowatt si traduce in ben nove spettacoli. Il dispositivo di Bernat, utilizzato da Qui e Ora in qualche modo ne replica l’esperienza. Cioè vedere assieme, discutere e scegliere. Come dire: partecipazione del pubblico in prima persona. Ma è davvero così?

In realtà sembrerebbe piuttosto una illusione. E non si pensi che in questo modo si possa agevolmente stabilire un link con le avanguardie dei Sessanta/Settanta. Per stare al motto scelto questa edizione a Kilowatt, “Paradiso Adesso” , citazione omaggio di uno spettacolo famoso della compagnia di avanguardia, il Living Theatre, si ricorda come il suo fondatore Julian Beck su questi temi avesse idee chiare. Secondo il teatrante americano se lo spettatore si fosse reso conto che “sulla scena si può andare più lontano” allora avrebbe compreso “che può farlo ugualmente nella vita e viene quindi incoraggiato ad agire”. In realtà, nei loro spettacoli rivoluzionari il Living riusciva a fatica ad accogliervi dentro il pubblico, ma questo fatto, naturalmente, non modificava per niente il valore culturale e politico delle loro azioni teatrali.

Nella immagine il catalano Roger Bernat con la regista Licia Lanera e l’attrice Ermelinda Nasuto (foto di Luca Del Pia)

Tornando prosaicamente ai nostri giorni, proprio quel dispositivo lascia insinuare dubbi sui limiti evidenti di un approccio non professionale a scelte di programmazione. Si tratta spesso di opere avulse da un contesto pensato e organizzato dalla direzione artistica. Una sorta di zona franca che certifica di sicuro il coinvolgimento degli spettatori ma lascia ampi interrogativi sul risultato finale. E c’è anche chi immagina festival decisi in questo modo al cento per cento. Il risultato è che senza una approfondita cultura teatrale e una conoscenza diretta dei lavori delle compagnie, la scelta viene ridotta a un intreccio di sensazioni e simpatie. Ben vengano le associazioni di spettatori certamente, ma che si rivolgano a un’opera di formazione vera del pubblico, andando controcorrente nei confronti di una diffusa e pericolosa ignoranza e scarsa conoscenza del teatro. Confusione e approssimazione regnano anche nella performance, altra moda del momento (non costa molto e paga poco dazio) che in assenza di un rigore teatrale nella costruzione della drammaturgia vede anche le buone intenzioni ridursi spesso a balbettìo scenico. Molte delle attese del pubblico della prima parte di Kilowatt, organizzato come sempre con passione dai due direttori, erano infatti concentrate su “SPAfrica” , un progetto che esplora le connessioni tra capitalismo e razzismo.

Un momento della performance ideata da Julian Hetzel e Ntando Cele in “SPAfrica” (Foto Luca del Pia)

Performance ideata da Julian Hetzel e Ntando Cele, quest’ultima in scena a interpretare e guidare. L’idea iniziale è suggestiva e potrebbe essere foriera di possibili interessanti sviluppi. L’olandese Hetzel e la sudafricana Ntando Cele, residente da tempo a Berna, in Svizzera, inventano infatti la “SPAfrica” la prima bevanda empatica del mondo”. Si imbottiglia l’acqua in regioni subsahariane e si spedisce in Europa dove invece, si raccolgono le lacrime da rispedire in Africa. Forma di commercio improbabile, che sottolinea differenze e diseguaglianze. Da una parte l’acqua, dall’altra le lacrime, un modo di riscattare i sensi di colpa per le angherie imposte in anni di dominio colonialistico. E se a una persona le lacrime non vengono fuori? Nessun problema: Ntando mostra una sorta di maschera in plexiglas da indossare. Ed ecco uno del pubblico che risponde al suo invito e partecipa alla singolare raccolta. Sensazionale! Funziona. Ntando raccoglie le copiose lacrime e saluta il volontario. A seguire, la performer dà vita a una lunga e rabbiosa messa in scena di un antirazzismo militante che mette sotto accusa il bianco schiavista e colonialista. Lo fa con molta energia e sentimento, come furibondo segno di un’ira atavica e che esige riscatto immediato. Politically correct, ma teatralmente confuso e senza una drammaturgia, con i classici limiti delle performance che -anche se vogliono mettere insieme, musica, canto e danza- si trasformano in loop di un azioni irate, ma solitarie.

La performer sudafricana Ntando Cele in azione in “SPAfrica” scritto con Julian Hetzel (Foto Luca Del Pia)

Dopo “I 7 contro Tebe” I Sacchi di Sabbia, sono tornati a Kilowatt con la nuova messinscena di “Pluto” da Aristofane con la collaborazione di Francesco Morosi con Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri ed Enzo Iliano. Quattro attori alle prese con il dio della ricchezza e un interrogativo grande come una casa di Cremilo, ateniese comune: come mai chi è persona ingiusta si arricchisce e invece chi è un giusto versa in povertà? Questo è l’interrogativo che tormenta l’anziano Cremilo che con il suo servo Carione si è recato all’oracolo di Delfi per avere una illuminazione e sapere se pure il figlio dovrà restare povero tutta la vita. La risposta è chiara: deve seguire la prima persona che incontra. All’uscita dal tempio i due si imbattono su di un cieco che si rivelerà essere Pluto il dio della ricchezza. Cremilo riuscirà grazie ad Asclepio a far ritrovare la vista a Pluto. Ma così arriveranno anche i dolori. La chiave interpretativa dei Sacchi di Sabbia è di leggere Aristofane con quella consueta della comicità utilizzando una recitazione brillante, particolarmente efficace nella prima parte di un allestimento che ha ancora bisogno di ulteriore rodaggio per crescere.

I Sacchi di Sabbia in”Pluto” di Aristofane, andato in scena a Kilowatt Festival (Foto Luca Del Pia)

Come sempre affollato di spettacoli di danza, Kilowatt, edizione Sansepolcro, ha tenuto fede alla tradizione con diversi ospiti. Da “Under the influence” di Gianmaria Borzillo a “Bach à la carte” di Marco Augusto Chenevier, compagnie Les 3 Plumes, quest’ultimo particolarmente atteso presentava in prima nazionale la sua ultima creazione. Il giovane coreografo e danzatore valdostano che in passato ha mostrato interessanti qualità coreografiche e una spiccata capacità di lavorare con ironia è rimasto anch’egli vittima del virus del gioco e di una bella confusione immaginando una sorta di allestimento gourmet. Ossia spettacolo come un pranzo di gala, dove ogni numero è chiamato con un titolo di alta cucina. Ecco ad esempio un antipasto dello chef: “Corrente in tre maniere con salsa magnetica su letto a incandescenza” seguito come primo servizio da “Preludio goloso in crosta di (a vostra scelta) al sapore di (a cura dello chef).

La compagnia di Marco Augusto Chenevier in “Bach à la carte” al festival di Sansepolcro (Foto Luca Del Pia)

E così via discorrendo fino al sesto, settimo servizio e dessert. Si tratta di numeri coreografici di pochi minuti, da danzare in solo o in trio (oltre a Chenevier anche Nitsan Margaliot e Alessia Pinto sostenuti quasi sempre da una brava violoncellista, Serena Costenaro e dalla musica elettronica in diretta di Péyur-Sophie Schnell). “Bach à la carte” vorrebbe essere insieme “un concerto, uno spettacolo di danza, uno di teatro, un esercizio di democrazia” dice Chenevier: in realtà si rivela una sequenza di azione coreografiche senza collegamento tra loro. Esercizi di stile dei danzatori singoli o in formazione. Quando poi anche loro presi dal gioco iniziano a chiamare il pubblico a votare su durata, intensità della danza e se avere “più o meno pelle” da mostrare o no si scivola in modo rovinoso nel dance cabaret senza vie di uscita. Fortunatamente a risollevare morale e teatro ci sono i maestri che continuano a mostrare la strada della ricerca e dello studio, il rigore e la disciplina del lavoro quotidiano (tra l’altro, a proposito di maestri, Kilowatt ha chiamato come padrino di questa edizione iil regista Antonio Latella).

Il pubblico di “Bach à la carte” vota secondo le richieste della compagnia di danza (Foto di Luca Del Pia)

Tutto questo si rintraccia in “Satiri” del fiorentino Virgilio Sieni. Un lavoro di felice maestria coreografica che intesse assieme amore per il classico e curiosità per l’arte. In scena due danzatori di bella precisione come Jari Boldrini e Maurizio Giunti accompagnati dalle musiche di Johann Sebastian Bach eseguite dal vivo dalla violoncellista Naomi Berrill. Punto di nascita creativa le figure di Apollo e Dioniso. La bellezza e il teatro. Così come sono state descritte da Nietzsche (“la nascita della Tragedia”) e Giorgio Colli (“La nascita della filosofia”). A creare una liquida ambientazione sonora la musica di Bach eseguita splendidamente al violoncello da Berril che si esibirà anche in penetranti vocalizzazioni. Sarà la Suite n.3 in Do maggiore a introdurre l’incontro tra un satiro e un capro dalla testa così ben costruita da parere autentica. E’ una danza fatta di progressivi avvicinamenti che mette in mostra un rapporto solidale ed empatico tra i due, costruito per piccoli scarti di movimento. Sono attimi di studio e lasciva attrazione. Si sfiorano. Si toccano e si abbracciano, spostamenti armonici e all’unisono di corpi perfetti che emergono dalla penombra, guadagnando la luce fino a diventare una danza in completa sintonia con la musica. Quasi selvaggia. Dal forte richiamo arcaico e iniziatico. Qualcosa che viene da lontano eppure ha un cuore contemporaneo. Una struttura di elegante semplicità eppure di straordinaria vis espressiva che sembra svelare pagine dimenticate di una storia misteriosa e comune.

Un’immagine dalla coreografia “Satiri” di Virgilio Sieni presentata dalla compagnia fiorentina a Kilowatt (Foto Luca Del Pia)
Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.