Teatro
Sandro Berdini: in un libro la vita passata a teatro
Da tempo vado sostenendo che ci sono dei libri, dei racconti o romanzi, che spiegano il teatro quanto (e forse meglio) di tanti testi storici o scientifici. Il Wilhelm Meister di Goethe o il Romanzo teatrale di Bulgakov, per fare esempi eccellenti, dicono il teatro del proprio tempo quanto un saggio di Lessing o le note di Stanislavskij. Ma altrettanto bene riescono a fare, che so, Roberto De Monticelli ne L’educazione teatrale o una giovanissima Elena Stancanelli che in un suo romanzo di qualche anno fa evoca l’incontro con un maestro del teatro che ha i tratti inconfondibili di Carmelo Bene. Per non parlare poi delle autobiografie d’attore – a partire da quelle dei Comici dell’Arte – o dalle note di impresari e organizzatori di ieri e oggi, che svelano la “storia reale”, quella oltre o dopo il palcoscenico.
Allora accostarsi al corposo volume scritto da Alessandro Berdini, dal titolo Trasparenze, Diari teatrali 1972-2016, pubblicato da Editoria&Spettacolo, significa calarsi nella storia recente del teatro italiano e internazionale. Calarsi in un magma ribollente, in un vero e proprio “casino” fatto di creatività e emergenze, di nozze coi soliti fichi secchi e progettualità europea, trovando un racconto pieno di vita, ricco di spunti, di ricordi, di evocazioni.
Berdini, classe 1951, è regista e organizzatore teatrale di lungo corso. Ha attraversato la scena dell’avanguardia con momenti di eccellenza, con la sua compagnia Teatroinaria, salvo poi scegliere di dedicarsi alla direzione del circuito territoriale laziale con l’ATCL, Associazione Teatrale Comuni del Lazio da lui creata.
E il libro è specchio fedele del suo modo di essere e di vivere il teatro: instancabile, esagerato, sottile, inventivo, ma anche guascone, curioso, confuso, folle, caustico, dissacratore.
Un modo “all’antica italiana” direi – dove creatività e professionalità non escludono una nobile e storica “cialtronaggine” – grazie al quale, succeda quel che succeda, alle nove si va sempre e comunque in scena. Sogni, progetti, truffe, fallimenti, ipotesi, prospettive, compromessi, amori, passioni: tutto entra senza scandali in quel turbinio che consente, alla fine, la pratica teatrale.
Il libro in questione è un moloch di oltre 850 pagine, una specie di compendio enciclopedico scritto in stili e modalità diverse: l’autobiografia, il diario intimo, il racconto in terza persona, il carnet de voyage, l’analisi critica, lo zibaldone, la cronaca (anche nera), la narrazione di costume. Ecco, il volume labirintico di Sandro Berdini ha il pregio, originale, di mescolare tutto, di sommare, di scivolare da un piano all’altro, di mettere assieme Deep Purple e Molière, B.B. King e Tolstoj, le Kawasaki e l’estate romana, Mircea Eliade e il monte Soratte, la Grecia e Latina, Kantor e Herman Hesse, Celine e Cechov, Anouk Aimée e Dino Zoff, Carmelo Bene e John Cage…
Tutto e il contrario, insomma: mondi che fluttuano, si librano, volano via e poi tornano. Tutto torna, tutto si re-incontra, tutto scorre come un fluido ininterrotto.
In questo racconto si incrociano amici, colleghi, personalità, giganti del teatro di ieri e di oggi. Sono tanti, infatti, i protagonisti in questa storia personale e corale: a partire dalla moglie di Sandro, l’attrice Maria Teresa Imseng, incontrata nel 1967 e sposata nel 1978, festeggiando su un barcone al Tevere.
E tra i protagonisti ci sono certo i critici, con le loro recensioni e le loro azioni: Franco Cordelli, ovviamente, cui si devono mille idee e iniziative realizzate con Berdini; poi sin da subito Beppe Bartolucci, e ancora Nico Garrone, Rodolfo Di Giammarco, Dante Cappelletti, Giovanni Antonucci, Anna Bandettini, Titti Danese, Osvaldo Guerrieri, Paolo Fallai, Luca Archibugi e molti altri. Ci sono gli accademici come Maurizio Grande e Franco Ruffini. Ci sono naturalmente i grandi artisti della ricerca romana e non solo (oltre al citato Bene e a Leo De Berardinis, ecco Simone Carella, Pippo Di Marca, Memè Perlini, Giuliano Vasilicò, Rem e Cap, Giorgio Barberio Corsetti, Rossella Or, Marco Solari, per arrivare a Roberto Latini o Enzo Cosimi e molti altri…). C’è spazio per evocare i politici e gli amministratori, incrociati in oltre quaranta anni di teatro.
Infine ci sono non poche righe dedicate agli spettatori. Alessandro Berdini offre spesso un pensiero al pubblico, anzi ai pubblici, alla ricezione degli spettatori, alle reazioni per questo o quello spettacolo: è l’eterno confronto/scontro con il pubblico che Berdini ha affrontato come regista e come organizzatore spesso in “piazze” complicate come quelle del territorio regionale o di Roma.
L’autore ricorda ad esempio la stagione delle celebri “cantine romane”, che oggi non esistono più; evoca battaglie fatte per conquistare e aprire un nuovo teatro, snocciola cartelloni sorprendenti proposti in città sicuramente “difficili”.
A leggere quei titoli ci si accorge anche di quanto (e come) il canone teatrale si sia oggi ridotto. Ormai vediamo in scena sempre i soliti dieci titoli: 5 Shakespeare, 2 Pirandello, 1 Goldoni, 1 Molière e così via. Invece, a ripercorrere le “invenzioni” coraggiose delle stagioni passate, ci sorprendiamo a leggere, tanto per citare uno solo dei tanti esempi, che a Formello – piccolissimo centro a trenta chilometri da Roma oggi famoso solo perché ci si allena la squadra della Lazio – nel 1978 arrivavano Carmelo Bene, Leo De Berardinis, Perla Peragallo, Bruno Mazzali, Pippo Di Marca, Maricla Boggio, Marinella Manicardi, Valentino Orfeo. Finì a scazzottate, racconta Berdini, tanto che nel luglio di quell’anno Franco Cordelli, su Paese Sera, si chiedeva “A cosa serve l’avanguardia?”. Ed è, come noto, una domanda rimasta, da allora, ancora aperta.
Ma a leggere il fluviale libro di Alessandro Berdini si rimane spesso travolti da altre domande, da dubbi che sembrano risolversi solo grazie a una “devozione al teatro” che rasenta la follia, ancorché innocua. Lui, l’autore, chiede, interroga, travalica da tutte le parti, spinge, travolge, finge, si ritrae, scompare, esagera, seduce sornione. La lettura è a momenti faticosa, farraginosa, e non tutto è condivisibile; ma ci sono ampie pagine in cui brilla, altre dove fila via svelta, intensa, spesso divertente, addirittura comica.
Corredato da foto messe qua e là (ci sono anche io!), come in un album di famiglia, questo Trasparenze, Diari teatrali è dunque il resoconto, o forse il bilancio, di un professionista della scena italiana, ma anche una sottile storia recente d’Italia, uno spaccato del Paese visto dal palcoscenico. E forse, o soprattutto, è un libro che resta come sincero, appassionato omaggio alla vita di quanti, illustri o meno illustri, fanno vivere il teatro.
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