Teatro
Rubini e Lo Cascio nell’inferno della natura umana di “Delitto e Castigo”
Attraverso la riscrittura e l’ausilio di un rumorista, Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio ci conducono in un viaggio tra i capitoli di una delle più grandi opere mai scritte, facendoci rivivere l’epico romanzo dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij: “Delitto e Castigo”, in scena al Bellini di Napoli dal 27 febbraio al 4 marzo
Per la prima volta a teatro insieme, Rubini che dello stesso spettacolo è interprete e regista spiega che “l’ approccio è quello dello studio, non della riproposizione di un romanzo che ritengo attualissimo”. Rubini e Lo Cascio ci conducono in questo viaggio negli inferi di una coscienza dilaniata in una società di miserabili dove alla povertà economica si affianca la miseria morale presente soprattutto nell’ambiente benestante.
Precedenti illustri che fotografavano il compiersi del male li troviamo nelle tragedie di Seneca in cui si assiste ad atrocità d’ogni genere. Medea, più delle altre, rappresenta il prototipo del male per antonomasia. E’ lei che reagisce al ripudio di Giasone invocando le forze del Male perché si compia giustizia. Salomè è un altro archetipo femminile capace di azioni spregevoli per aver ricevuto un rifiuto da parte del suo amato di cui oltraggerà il cadavere con la sua perversione necrofila.
Ciò nonostante “Delitto e Castigo” si colloca fra quei romanzi che, seppur nati nella dimensione letteraria russa, sono riusciti ad assumere i caratteri dell’ universalità e della trasversalità a livello internazionale in quanto, superando i confini dello spazio e del tempo, affrontano temi che riguardano l’uomo e il rischio di perdere il suo tratto di umanità. L’uccisione del piccolo cavallo nella memoria di un Raskolnikov bambino non diverge poi tanto dall’ uccisione dell’usuraia. L’ascia trancia la vita di entrambi.
La storia è più o meno nota a tutti: Raskolnikov, interpretato splendidamente da Luigi Lo Cascio, è un aspirante avvocato, di levatura intellettuale considerevole, di bell’aspetto e condizioni economiche non agiate che decide di abbandonare il suo percorso di studi in legge più per pigrizia che per mancanza di capacità. Seppur interiormente propenso al bene e vicino alla dimensione cristiana, è dominato da una rabbia tale nei confronti della società che lo circonda da condizionare la sua vita, le sue abitudini e le sue convinzioni, in senso negativo, e arrivare a compiere un gesto inconsulto e totalmente privo di logica: l’omicidio premeditato di Alëna Ivanovna la vecchia usuraia, proprietaria fra le altre cose, della stanza in cui Raskolnikov vive
La condizioni fisica, economica e sociale del protagonista risulta determinante per comprendere, nel corso dell’intero romanzo, i motivi che lo portano a compiere il terribile gesto che rappresenta il motore narrativo del libro.
Diversamente da Amleto, il grande procrastinatore anch’egli in cerca di giustizia, la meticolosa preparazione dell’omicidio ci presenta un Raskol’nikov sicuro, intenzionato a compiere il reato e, soprattutto, motivato da ragioni etiche e di giustizia sociale che, egli ne è convinto, gli permetteranno di riuscire a sopportare le conseguenze delle sue azioni.
Diversamente da Medea o Salomé, Raskolnikov, però, successivamente all’evento, avverte il suo animo oppresso dall’atto compiuto, giunge anche a stati di allucinazioni, si sente braccato, perseguitato, come se tutti sapessero ogni cosa, come se conoscessero l’orribile gesto che ha commesso e fossero pronti a tendergli da un momento all’altro una trappola fatale
La dignità, compromessa in quasi tutti i personaggi, è quella che Raskolnikov vorrà conservare fino alla fine, nonostante abbia compiuto un atto riprovevole di cui confesserà di essere l’autore grazie all’amore di Sonia.
Delitto e riscatto di una natura compromessa dal male compiuto, conferiscono all’opera quella natura bitonale che ben si presta alla lettura a due voci di Rubini e Lo Cascio, voci che si sovrappongono per poi lasciare spazio al prevalere di una sola. Lo Cascio si muove velocemente sulla scena, la mimica di un orrore che si impossessa di lui sotto forma di febbre è perfetta e grazie ad un sapiente gioco di luci e di voci, realtà e allucinazioni sia alternano mescolandosi
Diventato, insomma, vittima di se stesso, Raskolnikov somatizza il suo senso di colpa mentre i due attori ci fanno, così, strada in una condizione psicologica devastante caratterizzata da angoscia, rimorsi, paure, pentimento, tormenti e continue turbe mentali. É proprio questo complesso dinamismo psicologico che domina la vita del protagonista, le sue emozioni, la sua passione e il senso di colpa che gli faranno perdere il controllo, a rendere questo romanzo universale.
Universale, ancora, perché disegna lo sdoppiamento dell’essere umano che si configura con la rottura dell’integrità della persona e l’analisi esistenziale che ne consegue. Oltre il valore storico letterario, l’attualità del libro la si ritrova, in ultimo, nei fatti di cronaca che riempiono le pagine dei giornali, nelle storie di violenza inaudita e che ricordano l’espressionismo tedesco, vicende che sconvolgono perché è dalla nostra intimità che prorompono.
All’origine delle dinamiche interne al romanzo non vi è quindi la “semplice” ricostruzione di un delitto e delle sue conseguenze ma, più in generale, la ricostruzione di un evento peccaminoso in grado di generare riflessioni e pensieri estendibili a livello esistenziale, religioso, morale, giuridico, psicologico. L’analisi di questa storia, potrebbe essere la nostra storia fatta di comprensione, metabolizzazione dei propri sbagli, dei propri errori; storia come bilancio di quello che si è, di quello che si è stati, di quello che si è fatto o meno, di quello che non si è.
Se è vero che i dettagli fanno la perfezione, è altrettanto vero che la perfezione non è un dettaglio.
Rubini è narratore della storia nonché interprete eccelso di molteplici personaggi, Lo Cascio è pienamente calato nel ruolo di Raskolnikov, ne incarna a perfezione la sofferenza, gli stati di allucinazione
Pur mantenendosi fedele all’originale, la loro interpretazione rivendica una forma di autonomia. Ci si aspetta, infatti, di assistere ad una reading classico, ma siamo di fronte a una forma specifica di spettacolo in cui se la potenza della mimica e della recitazione rendono chiare e vivide le immagini, queste sarebbero perfettamente visibili anche ad occhi chiusi. La presenza di una scenografia essenziale non fa che aumentare la capacità di quelle voci di accompagnarci per mano nella stanza di Raskolnikov, all’osteria o al commissariato.
È un’opera in cui tanto è magistrale la sonorità da aumentarne la potenza scenica, da stimolare il pubblico alla partecipazione fantastica, lo guida all’ascolto di voci, musiche, rumori tali da evocare un mondo verosimile. La messinscena della parola è affidata alla voce recitante dei due attori che appare strumento sonoro sapiente, dialogo teso a definire i rapporti psicologici e i confronti intellettuali più che le azioni. La bravura di Rubini, inoltre, sta nell’ aver saputo dare una forma più compressa all’immenso romanzo di Dostoevskij, riuscendo,così, in un’operazione complessa e composta, priva della minima sbavatura tanto da creare un capolavoro di ingegneria estetica
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