Teatro
Rigoletto in drag, Rigoletto anyways
“Verdi come il padre”, scriveva Massimo Mila con tutta la sua autorevolezza, ma anche come la madre, aggiunge oggi Gianmaria Aliverta con un po’ di sana irriverenza, dopo aver messo in scena un “Rigoletto” molto queer allo Spazio Teatro 89 di Milano (in via Fratelli Zoia, ancora domani alle 15), ultima produzione di VoceAllOpera con protagonista in tacchi, gonna e gli stessi ben noti istinti paterni, riletti in chiave “transverdiana” – battutaccia –, tra Almodóvar e Dolan. Insomma Rigoletto anyways, qui baritono-maîtresse con l’incarico di procurare droga, olgettine e altri prevedibili giochi dei potenti al Duca di Mantova, che resta il dissoluto impunito di sempre. Quanto a Gilda, rinchiusa in una casa di bambola tutta orsetti e fiocchetti, guardata a vista da un’allegra governante non tanto affidabile, è ignara della vita segreta dell’amato genitore fino a che rapimenti, delusioni e promesse di vendetta non la catapultano in una realtà senza più speranze né palloncini rosa da video teen pop.
Aliverta sfida il pubblico benpensante con l’idea di un Rigoletto in drag e riesce a ritradurre per il presente la diversità del personaggio, il suo isolamento da una società che non lo accetta e lo esclude. Non si tratta di trasgressione gratuita, ma di una sensata lettura drammaturgica, che per di più resta coerente con lo sviluppo dell’opera: Gilda non sa niente del lavoro del padre perché non deve sorprenderlo in abito color prugna e caschetto Anna Wintour mentre passa cocaina al Duca, che la snifferà dall’ombelico di una squillo. Ecco un modo per ritornare, in senso teatrale, alle intenzioni dell’autore, allo scandalo che Verdi cercava mettendo in scena nella Venezia ottocentesca un buffone di corte gobbo e meschino ma di buoni sentimenti. Peccato solo che si perda il momento clou del rapporto Rigoletto-Gilda, quando i due si incontrano a Palazzo Ducale e la figlia scopre tutto su suo padre (va bene anche madre), e non sembra nemmeno notarne il look. Allora meglio la cruda verità di un terzo atto molto curato, che si direbbe più “tradizionale” se questa parola avesse senso, con Rigoletto in abiti maschili, e poi lo squallore della scena, i soldi, il sacco, le luci del temporale, “la donna è mobile” eccetera eccetera.
Molto buono il livello di un cast di debuttanti, che funzionano in periferia ma funzionerebbero anche in centro storico. Rigoletto è Alessio Verna, interprete sicuro e intenso, con movimenti un po’ rigidi; Sabrina Sanza fa una Gilda bambina molto graziosa, ottimo il Duca di Davide Tuscano, come lo Sparafucile di Carlo Andrea Masciadri; Camilla Antonini interpreta Maddalena e Giovanna con la stessa spiritosa impertinenza. Il giovane Nicolò Jacopo Suppa dirige diligentemente i quarantuno elementi degli archi dell’Ensemble Testori uniti alla Civica Orchestra di Fiati di Milano. In sostanza operazione da premiare e associazione da seguire, soprattutto per l’energia che riesce a sprigionare su questo piccolo palco suburbano in cui le roi s’amuse, la reine s’amuse, e anche il pubblico non è da meno.
Foto di Gianpaolo Parodi.
Video di Ludovica Lopetti.
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