Teatro

Richard Schechner, la performance e il coinvolgimento del pubblico

23 Maggio 2018

Per gli appassionati di teatro il suo nome è quasi leggenda: Richard Schechner, studioso, regista, inventore dei performance studies (e forse della performance) nell’immaginario è più un libro che non una persona. È “lo Schechner”,  è quel libro – anzi, quei libri – su cui si sono formati molti studenti e altrettanti docenti e che hanno cambiato la storia del teatro. Ebbene, questo vivacissimo signore newyorchese di 84 anni è apparso all’università la Sapienza di Roma, al Dipartimento Storia dell’Arte e dello Spettacolo che lo ha omaggiato e insignito di un dottorato di ricerca ad honorem. Introdotto dalla storica del teatro Alexsandra Jovicevic e dal critico Sergio Lo Gatto, di fronte a un pubblico di studenti e studiosi, con ironia e eleganza Schechner ha ripercorso alcune tappe fondamentali della sua carriera, partendo proprio dallo spettacolo che fu uno spartiacque nella pratica teatrale, quel Dionysus in 69, trasposizione delle Baccanti in versione decisamente off. Quel lavoro fu un evento per tanti aspetti, ma ciò che mi preme sottolineare, adesso, è un elemento molto particolare. Durante il lavoro, ricorda il regista, appariva la nudità: non solo il nudo femminile, cui il pubblico era più o meno abituato (non fosse altro per la pratica diffusa dello streap-tease), ma anche il nudo maschile.

Nella New York sessantottina, questo fu – come sarà Paradise Now del Living Theatre – qualcosa di travolgente. La danza bacchica, il baccanale coinvolgeva non solo attori e attrici ma, gradualmente, anche gli spettatori. Nella grande prossimità tra performer e spettatori – lo spettacolo si svolgeva in un garage dell’off broadway – il pubblico, insomma, si lasciava davvero coinvolgere con esiti inattesi: chi si spogliava, chi faceva l’amore, chi danzava e partecipava realmente al “rito” delle Baccanti. Schechner ha mostrato delle foto dello spettacolo: non ci sono video, se non un film “censurato” diretto da Brian De Palma nel 1970 (ma gli attori non si spogliano del tutto) che testimonia del lavoro ma non del clima che effettivamente si creava. Attori, attrici, spettatori, si amalgamavano, sfiorandosi, toccandosi, abbracciandosi, amandosi.

A fronte di quelle esperienze teatrali, penso al “coinvolgimento” che va tanto di moda nel teatro d’oggi, allo “spettatore emancipato” teorizzato anche dal filosofo francese Jacques Rancière, penso ai giochi collettivi elaborati dal catalano Roger Bernat, dai berlinesi Rimini Protokoll, da tanti gruppi italiani. Bravi, bravissimi tutti: ma mi pare che, rispetto ad allora, a quegli anni turbolenti e liberi, rispetto cioè alle esplosioni orgiastiche del Performance Group di Schechner o del Living Theatre (per quanto diversissimi tra loro per tanti aspetti), rispetto alle parate di strada del primo Odin Teatret di Eugenio Barba, questi “coinvolgimenti” postmoderni abbiano il sapore dei giochi organizzati dell’animazione nei villaggi turistici o nei campi dei boy scout. Non c’è più la partecipazione di una volta, signora mia!

Adesso siamo tutti solerti, pronti a farci protagonisti della situazione teatrale, ma troppo spesso tutto è edulcorato, previsto e prevedibile – tant’è che se qualcuno si azzarda ad andare oltre lo schema, oltre i limiti consentiti, spesso gli attori si trovano impreparati a gestire le situazioni. Oggi che siamo abituati a tutto, che siamo assuefatti a tutto, siamo invece diventati troppo buoni e pudichi, ingenui e consapevoli della finzione teatrale: sappiamo i nostri limiti di spettatori corretti, ci autocensuriamo, stiamo al gioco, sapendo bene che il gioco ha delle regole. Allora il clima è quello del “vorrei ma non posso”, del “facciamo finta che”, accettato con la serietà grave dei bambini quando dicono “facciamo che io ero”.

Chissà quanti, oggi, sarebbero disposti a alzarsi dal proprio posto, spogliarsi completamente e abbracciare un attore altrettanto nudo; chissà quanti danzerebbero davvero il sabba di Agave e delle sue Baccanti. Oggi ci accontentiamo, mesti, dei karaoke, dei dilettanti allo sbaraglio nei vari contest; ci appaghiamo del brividino borghesuccio della “provocazione”, mentre tutto intorno cresce la reazione, il bigottismo, l’oscurantismo religioso, il perbenismo ottuso, il “buon senso” che fa “buon gusto” e fa tornare in auge tabù che pensavamo sconfitti, in un opportunismo occhiuto e censorio.

Lui, Schechner, sorride sornione: sa bene di essere andato molto oltre, molto avanti rispetto i suoi pallidi epigoni. La libertà è una cosina delicata, da trattare con cura, e serve molta forza per rivendicarla, per proteggerla, per difenderla.

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