Teatro

Racine, nostro contemporaneo

15 Dicembre 2022

Una recensione di quattro anni fa, e da una visione sullo schermo della televisione. Ma la rilettura mi ha coinvolto come fosse un’esperienza di oggi. Provo a sollecitare quella del lettore, di esperienza.

Ho fatto le due di notte per assistere, in diretta, a una rappresentazione dell’Ifigénie di Racine, da Avignone (la Grecia, dove ora mi trovo, è un fuso orario indietro rispetto a Parigi e due rispetto a Londra). Regia, splendida, di Chloé Dabert. Scene, scarne, di Pierre Nouvel., nel chiostro del convento delle carmelitane, luogo pieno di un fascino duro, tagliente. Come la tragedia di Racine. Tutto il festival, quest’anno, ruota intorno alla tragedia, all’eterna attualità della tragedia, Tieste di Seneca, Oresteia di Eschilo. E adesso questa bellissima Iphigénie, di Racine, non Euripide, e nemmeno Goethe (che però mette in sena il seguito della vicenda, tra i Tauri), o il nostro contemporaneo, immenso poeta greco Ritsós. Racine, come aveva bene intuito Barthes, sotto la maschera del paludamento classico, porta in scena un mondo ferino, selvaggio, violento, spietato. I personaggi sono esseri primitivi, che esplodono in passioni estreme. La violenza di tali passioni si fa tanto più evidente quanto più armoniosa è la scansione del verso, più alto, e convenzionale, il linguaggio: i personaggi si danno del voi, Agamennone chiama la moglie Clitennestra “Madame”.

Dabert ha detto, intervistata prima dello spettacolo, di avere voluto mettere in rilievo, più che la musicalità, eccelsa, del verso di Racine, il suo ritmo, spesso duro, ostico, irto di ostacoli sonori. Ne guadagna, per esempio, la figura di Clitennestra, un’eccelsa Servane Ducorps. Lo scontro tra affetti familiari e ragione di stato non può essere più feroce. Più illusoria la salvezza finale: sappiamo che conseguenze avrà il rancore di Clitennestra. La débacle di Iphigenia – una vera sconfitta degli affetti più intimi – non nasce dall’amore per il padre, ma dalla consapevolezza che opporsi alla ragione di stato, alla volontà popolare, nel senso peggiore del termine, in questo caso la brama di conquista di un esercito, è inutile, è destinato al fallimento. E allora tanto vale seguire la corrente, lasciarsi annientare. Tanto, sopravvivere nel mondo dei vincitori è peggio che scomparire prima che essi siano riusciti a omologare tutto il mondo. Finale amarissimo, già nel testo raciniano (ed è probabile che anche in Euripide la resa della ragazza vada interpretata in questo modo, invece che come un appello patriottico alla superiorità del greco. L’ombra del finale delle Troiane – Ecuba che dice ai vincitori: i veri barbari siete voi – getta un’ombra sinistra anche sul finale dell’Ifigenia).

Si assiste a uno spettacolo profondo, che riflette sull’oggi. E si resta commossi, turbati. Oltre che, naturalmente, conquistati dalla sovrana bellezza degli alessandrini raciniani, qui reinventati con una forza ritmica selvaggia, un furore passionale che scardina tutte le certezze di un mondo migliore, di un mondo in armonia con sé stesso: questo è un mondo lacerato, sconquassato da conflitti insanabili, un mondo in cui un popolo sacrifica, per il proprio predominio, una ragazza incolpevole, non il migliore dei mondi possibili, dunque, ma certamente il mondo dell’ingiustizia. Uno dei sostantivi che ricorre più spesso nella tragedia è “crime”, insieme all’attributo che ne deriva, “criminel”. E poi c’è ancora chi pensa che i classici vadano riposti in un museo ammuffito, chi ritiene che la ridrammatizzazione moderna di un classico sia un delitto di lesa maestà. Quando l’Iphigénie fu rappresentata per la prima volta a Parigi, era un dramma contemporaneo, le stragi delle guerre passate e future dell’Europa tutt’altro che un ricordo da dimenticare o una previsione da smentire. E questo fa Chloé Dabert, restituisce la contemporaneità di Racine. Ecco qualche fotografia dello spettacolo. Che voglia di esserci stati! Un tempo, Avignone fu per me meta obbligata dei miei viaggi tra i festival. Là vidi l’Amleto messo in scena da Chéreau, e la definitiva realizzazione, in una cava di marmo, di Répons, che Boulez dirigeva per una delle sue ultime volte (ce ne fu una ripresa nel cortile di Palazzo Farnese a Roma). Oltre al fantastico Mahabharata messo in scena da Peter Brook.

Tholaria, Amorgós, Cicladi, Grecia, 15 luglio 2018

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.