Teatro

Prove teatrali di anno nuovo

6 Gennaio 2018

A fine anno si elaborano bilanci e consuntivi, a inizio anno si fanno i buoni propositi che poi, sistematicamente, disattendiamo.

È un gran leggere oroscopi, in questi giorni: speriamo che Rob Brezsny ci spieghi qualcosa mentre combattiamo con influenze refrattarie e fatichiamo in digestioni lente. Attendiamo fiduciosi, insomma: almeno quest’anno ci sono le elezioni, ed è già una bella novità.

Peraltro il teatro continua a vivere, a produrre, ad attrarre pubblico. Ha del miracoloso. E mi pare altrettanto fantastico che in tanti vogliano farlo, il teatro, viverlo, metterlo in scena: le scuole brulicano di talenti, i palcoscenici sono vivaci spazi di sperimentazione poetica, politica, sociale. 

 

 

Ethica, di Romeo Castellucci, foto di Guido Mencari

La scena italiana ha superato anni complicati e faticosi, ora le cose sembra si stiano sistemando. E siamo felici di aprire l’anno con una legge delega in materia (il codice dello spettacolo), che ha novità importanti: bella vittoria da assegnare al ministro uscente Dario Franceschini e allo staff Mibact. E attendiamo i nomi della nuova commissione prosa che darà il proprio contributo alla valutazione delle domande Fus. Sta iniziando, infatti, il nuovo “triennio” (un po’ come per i piani quinquennali, si può finalmente programmare con largo anticipo), e entro la fine di questo mese occorre presentare un progetto al Mibact per chiedere il finanziamento statale, peraltro il Fus è aumentato per l’anno in corso e per il prossimo.

A vederla in generale, però, forse non c’è molto da festeggiare: come Madre Coraggio i nostri teatranti continuano a tirare il carretto sotto le bombe del presente. Chi si ferma è perduto: c’è da far progetti, rispondere ai bandi, gareggiare ai premi, provare a distribuire spettacoli, intercettare gli amministratori di turno, provare a coniugare fantasia con economia.

Un pupo della Collezione Giacomo Cuticchio a Palazzo Branciforte, Palermo

E, così, a naso, mi sembra di poter dire, citando Flaiano, “coraggio, il meglio è passato”. Nella guerra di tutti contro tutti, soprattutto di poveri contro poveri, a me sembra sempre un po’ mortificante, per un lavoratore – qualsiasi lavoratore –  dover dipendere dal “bando”, ma tant’è: hic rhodus hic salta. Troveremo una normalità in questa perenne frenesia?

C’è da augurarselo, soprattutto per quanti, ed è il caso di chi il teatro realmente lo fa (attori, attrici, registi, scenografi, tecnici, danzatori, coreografi, costumisti…) devono per forza rispondere ai criteri ormai sacri del botteghino. La commercializzazione del teatro non è un male assoluto, figuriamoci: siamo d’accordo, senza pubblico non c’è scena, senza prodotto i progetti sono evanescenti.

Ma non possiamo non registrare una eccessiva corsa verso la “managerialità”, verso il “sold out”, verso valori economici che non sempre si confanno alle dinamiche creative e poetiche del teatro. Vado ripetendolo spesso: l’Ernani di Hugo fu un grande successo di botteghino; gli spettacoli di Grotowski prendevano vita in un teatrino di appena 13 file. Del primo non si ha più notizia, i secondi hanno cambiato la storia del teatro. I numeri, insomma, non sempre fanno la qualità. Anzi. E sarebbe molto bello se, per il prossimo triennio, la “valorizzazione” di dati quantitativi come le “alzate di sipario” o simili, non penalizzasse la necessaria, furiosa iconoclastia di tanto teatro, emergente o emerso. Oggi, ormai, i giovani artisti non si presentano parlando di poetiche ma in quanto “under 35”. Il teatro italiano ha talmente introiettato i parametri ministeriali, regionali o comunali che le proposte di declinano in base a meritorie “formazioni del pubblico”, “promozioni turistiche”, “multidisciplinarietà” e via così. Va tutto bene, per carità: sono certo stimoli, indicazioni preziose, limiti e prospettive necessarie. Ma sarebbe così triste ridurre il Teatro a un fatto di commercio, no? Staremo a vedere quel che accadrà.

All’esterno dell’ex Teatro dell’Orologio, Roma

In tutto ciò, poi, mi par chiaro che ormai non “giri” più nessuno, che regni un certo, conclamato immobilismo. Quella che era la caratteristica del teatro italiano, il nomadismo degli “scavalcamontagne” è ormai in netto declino, basti pensare che – simbolicamente – la grande novità di sistema sono le “residenze”. Gli spettacoli si muovono poco: nascono, tengono per un paio di settimane la scena (quando va bene, altrimenti sono solo poche repliche), e poi si archiviano. Male? Bene?  Era quel che si voleva?

Sono gli spettatori, di fatto, a doversi muovere per vedere gli spettacoli: e chi li ha visti li ha visti, con buona pace di tutti gli altri. La qual cosa implica, per noi “spettatori di professione”, una duplice conseguenza. La prima è che dobbiamo riprendere a viaggiare come matti se vogliamo, come dovremmo, dar conto di quanto accade. La seconda è che, ad esempio, quel che “passa” in scena a Milano non si vede a Roma e viceversa, ossia che certi spettacoli, anche importanti, rischiano di passare inosservati ai più oppure di essere visti (e recensiti) con tempi alquanto diversi. Il che non può non riflettersi, ad esempio, nei premi teatrali – ma questa è un’altra storia.

Ecco, mi sono trovato anche io a fare un bilancio del 2017 e invece avrei voluto, fare come Rob Brezsny e dare uno sguardo a quanto accadrà in futuro, nei prossimi giorni e mesi del nuovo anno. Perché sono tante le proposte che mi incuriosiscono, e che celebrano, ancora e sempre, la “disperata vitalità” dei nostri teatranti.

A me piace andare a teatro, ancora ho voglia di sedermi in platea, sera dopo sera, e accogliere il mondo della scena. Ancora mi emoziona, mi commuove, mi indigna, mi sveglia, mi diverte, mi stanca, mi dà gioia, mi eccita, mi interroga, mi destabilizza… Vorrei poter vedere tutto, ma non è possibile. Allora è difficile fare un “carnet”, citare tutti gli spettacoli che mi affascinano. Ci provo, immaginando un viaggio giù per l’Italia, seguendo l’unica bussola della curiosità. Un viaggio da Nord a Sud, che invita a fare certe soste ma con l’avvertenza di essere sempre pronti a ripartire, a cambiare traiettoria, a scoprire altri percorsi e altre proposte.

Vorrei andare al Piccolo di Milano per Freud o l’interpretazione dei sogni, di Stefano Massini, con adattamento di Fabrizio Sinisi e del regista Federico Tiezzi, e un cast stellare.

Sicuramente ci sarò, il 20 febbraio alla prima de Il Teatro Comico, testo di Carlo Goldoni che segna il debutto al Piccolo di un artista come Roberto Latini. Con lui in scena, tra gli altri, Elena Bucci, Marco Manchisi, Marco Sgrosso, Savino Paparella, con le musiche dell’Ubu Gianluca Misiti e le scene di Marco Rossi. È forse l’evento dell’anno, certo uno dei segnali più importante, dal punto di vista simbolico, di quest’anno. La troupe di Monsieur Leo De Berardinis intercettata da Latini, già allievo di Perla Peragallo, in un classico di Goldoni nel maggior teatro d’Italia: è il tempo che cambia, è un riconoscimento importante di un percorso che intreccia classico e innovazione, ricerca e tradizione.

Nella ricca e varia proposta milanese sarebbero da vedere almeno L’acrobata di Laura Forti, all’Elfo, con la regia di De Capitani (fino al 4 febbraio) e l’atteso Lunga giornata verso la notte di Eugene O’Neill, dal 25 gennaio al Menotti: regia di Arturo Cirillo, ormai magistrale nell’affrontare la drammaturgia statunitense contemporanea. In scena con lui Milvia Marigliano, Rosario Lisma, Riccardo Buffonini.

Pubblico al teatro Carignano di Torino

Vorrei andare più spesso a Torino, dove lo Stabile si è aperto a una nuova Troika artistica: al direttore Filippo Fonsatti, si affiancano il consulente Valerio Binasco, il dramaturg Fausto Paravidino e a dirigere la scuola è stato chiamato un Maestro come Gabriele Vacis. C’è da attendersi grandi cose da questo teatro, che pure sta lanciando alcuni giovani registi: tra poco in scena, ad esempio, L’Illusion comique, di Corneille, con la regia di un attore come Fabrizio Falco. E certo a Torino non perderei, ad aprile, il Don Giovanni diretto da Binasco, che intanto, allo Stabile di Genova, dal 20 febbraio, affronta quattro storie di Harold Pinter, con Arianna Scommegna, Nicola Pannelli e Sergio Romano (spettacolo coprodotto con il Metastasio di Prato).

A Modena vorrei vedere La classe operaia va in paradiso, versione teatrale dell’omonimo film di Elio Petri, con drammaturgia di Paolo di Paolo e regia di Claudio Longhi. Un cast motivato e giovane per questo spettacolo che segna il debutto del regista come direttore di Ert-Teatro Nazionale: un altro luogo produttivo e di pensiero che potrebbe segnare una svolta nella vita teatrale italiana. Mi incuriosisce, in questa prospettiva, Il Giardino dei Ciliegi affidato al giovane Nicola Borghesi e alla compagnia Kepler 452. Stando in Emilia, mi fermerei a vedere Va Pensiero, il nuovo spettacolo del Teatro delle Albe di Ravenna, ideazione regia di Marco Martinelli e Ermanna Montanari, freschi vincitori dell’Ubu per il bellissimo progetto sull’Inferno di Dante.

Passando il crinale tosco-emiliano, vorrei andare a Prato, in aprile, per Belve, una farsa, testo di Armando Pirozzi – tra le penne più interessanti della nostra scena – e regia di Massimiliano Civica: dopo il bellissimo Un quaderno per l’inverno, mi aspetto molto. Se dovessi far tappa a Firenze, andrei a vedere Delitto e castigo, regia di Sergio Rubini con Luigi Lo Cascio, a Marzo alla Pergola.

Macbettu, regia di Alessandro Serra, foto di Alessandro Serra

Sempre a Marzo debutta una proposta curiosissima:a Cagliari, Sardegnateatro – già artefice di tre notevolissimi lavori come Macbettu di Alessandro Serra (il regista della compagnia TeatroPersona è in tournée anche con Frame, prodotto da Koreja di Lecce) e Il cielo non è un fondale di Deflorian/Tagliarini (da non perdere) e La vita ferma di Calamaro – produce infatti Urania d’agosto. È il nuovo testo di Lucia Calamaro, drammaturga e regista di straordinaria intensità, scritto per un’attrice come Maria Grazia Sughi (affiancata in scena da Michela Atzeni) e messo in scena da un regista come Davide Iodice. Mi sembra un’idea bellissima che conferma il momento particolarmente felice del teatro sardo.

A Roma, tra le mille proposte di una città sempre in bilico tra esplosione e implosione, in attesa dell’ormai mitica riapertura del Teatro Valle, saranno tra poco in scena Pierfrancesco Favino in La notte poco prima delle foreste, bellissimo testo di Koltes diretto da Lorenzo Gioielli e il nuovo lavoro di un gruppo spavaldo come Teatrodilina, Quasi Natale di Francesco Lagi. In città attendiamo anche l’Antigone di Sofocle diretta da Tiezzi per il Teatro di Roma, a fine febbraio, con Lucrezia Guidone e un bel cast.

A Napoli, debutta tra qualche giorno Il servo dal romanzo omonimo di Robin Maugham, nella traduzione di Lorenzo Pavolini e la regia di Pierpaolo Sepe e Andrea Renzi. In scena Lino Musella, Andrea Renzi, Tony Laudadio, Maria Laila Fernandez, Emilia Scarpati Fanetti. Mentre a fine mese è in scena Desideri Mortali Oratorio profano per Giuseppe Tomasi di Lampedusa, testo e testo e regia di Ruggero Cappuccio, con Claudio Di Palma.

Al redivivo Teatro Stabile di Catania dal 9 al 14 gennaio, Fausto Russo Alesi e Filippo Luna sono in scena in due testi affiancati a comporre un dittico: È una commedia? È una tragedia? di Thomas Bernhard e In attesa di giudizio di Roberto Andò, anche regista. Mentre a Palermo, nella vivace programmazione del Teatro Stabile diretto da Roberto Alajmo, segnalo almeno, dal 9 febbraio, il Tamerlano scritto e diretto da Luigi Lo Cascio a partire dal Tamerlano il Grande di Christopher Marlowe, con Vincenzo Pirrotta. By the way: Emma Dante, che dello Stabile palermitano è regista, debutta (finalmente!!!) al Teatro Greco di Siracusa con Eracle di Euripide, dal 10 maggio.

Basta? Macché! C’è ancora tanto da vedere!

Vorrei vedere Il padre, con Haber, che ho perso, e vorrei rivedere in scena due maestri come Glauco Mauri e Giulia Lazzarini. Ci sono poi artisti da seguire sempre con attenzione. Tanto per citarne alcuni, senza la pretesa di dirli tutti: Romeo Castellucci, Jurij Ferrini, Musella/Mazzarelli, Andrea De Rosa, Saverio La Ruina e Scena Verticale, Gianpiero Borgia, Michele Sinisi, Andrea Baracco, Danio Manfredini, Timpano/Frosini, Dante Antonelli, Chiara Guidi, Giuliano Scarpinato, Fabiana Iacozzilli, Giuseppe Provinzano, Motus, Andrea Pennacchi, Carmelo Rifici, Punta Corsara, Mariano Dammacco, Vinicio Marchioni, Jacopo Gassmann, Ascanio Celestini, Peppino Mazzotta, Alfonso Postiglione, Riccardo Festa, Silvia Costa, Industria Indipendente, Lisa Natoli, Giorgio Sangati, Vico Quarto Mazzini, Marco Lorenzi, Amor Vacui…

La morte e la fanciulla, di Abbondanza/Bertoni, foto di Simone Cargnoni

E ci sono i tanti spettacoli di danza. Da Virgilio Sieni (ha appena fatto un lavoro che mi dicono bellissimo con Mimmo Cuticchio) a Roberto Castello, sempre vivacissimo con il suo Aldes; da Abbondanza/Bertoni, che hanno firmato uno straordinario La morte e la fanciulla, interpretato dalle bravissime Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas e Claudia Rossi Valli; a Enzo Cosimi, in tournée con l’intenso tributo postumo a Kafka dal titolo Thanks for hurting me, passando per i più strutturati Ater o Balletto di Roma, MK, Balletto Civile, Silvia Gribaudi, fino ai più giovani o emergenti, la danza italiana sta vivendo un momento di grande e felice creatività.

E poi? E poi ancora e ancora. Bisognerà vedere gli esiti dei vari premi: Migrarti, Dante Cappelletti, Scenario, Hystrio, Rete Critica, Riccione, Giovani Realtà… Vedere come crescono i neo diplomati delle Scuole o d’Accademia, vedere come si evolvono progetti importanti come Dominio Pubblico o Fabula Mundi; capire cosa si sta muovendo nel Teatro Ragazzi e in quel settore ampio e complesso che è il Teatro Sociale d’Arte; scoprire cosa proporranno spazi vivaci come La Corte Ospitale, Fuori Luogo o Carrozzerie Not. E aspettare con pazienza per vedere quel che offriranno i tanti Festival: ma allora saremo già in primavera…

 

(In copertina: l’immagine manifesto de Il Teatro Comico, regia Roberto Latini, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano. Foto di Masiar Pasquali)

 

 

 

 

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