Teatro

Primavera dei teatri, Calabria: la comunità che verrà?

14 Giugno 2016

Sono passati giorni dal Festival Primavera dei Teatri. In mezzo ci sono stati altri spettacoli, altri festival, altri viaggi. In questo nostro pellegrinare-peregrinare di qua e di là, nella ricerca (utopica?) del teatro, ci mettiamo in gioco. Uso il plurale, certo non maiestatis, ma plurale perché indica una devota, agguerrita comunità composta da operatori e critici: che si muovono e si spostano cercando, sempre inseguendo “buon” teatro.

Per questo si torna volentieri, ogni anno, a Castrovillari, in Calabria, superando la difficoltà di collegamenti non efficienti e di distanze profonde: perché là, alle pendici del Monte Pollino, c’è una comunità che ha dato senso ulteriore alla pratica teatrale.

Saverio La Ruina, Dario De Luca, Settimio Pisano e con loro uno staff sempre pieno di energie e di gentilezza, di professionalità e disponibilità sono il “braccio armato” festivaliero della compagnia Scena Verticale: sono loro che hanno inventato, curato e fatto crescere il festival, giunto alla diciassettesima edizione. Nonostante le difficoltà, le sciatterie della politica, la disattenzione, hanno creato comunità.

Adesso, sembra questo l’elemento più importante da sottolineare, a Castrovillari come altrove: ossia la capacità che ha il teatro (tutto il teatro! Anche quello “commerciale”, dai!) di creare una comunità.

Ne parlava Simone Nebbia su Teatro e Critica, chiamando in causa “il teatro, quindi il mondo, di domani”. L’impeto comunitario del teatro, questo bene prezioso e sottovalutato, appare oggi più che mai un elemento di dirompente urgenza e necessità, tanto da superare, o da far passare in secondo piano, la stessa pratica scenica.

Per dirla in termini pseudo-economici, vale quasi più l’indotto del prodotto. Strano paradosso: la scena, ossia lo spettacolo, la creazione artistica è il motore, quel che muove tutto, l’obiettivo e l’oggetto di analisi; ma è accerchiato e incalzato dal resto, tutto il resto. Che è fatto da persone, sentimenti, parole, incontri, dibattiti, musica, vino, cibo. Da una relazione più umana con gli altri e con il mondo, capace di far distendere nervi e al tempo stesso di provocare domande impellenti, di suscitare reazioni e scatenare domande. E di tratteggiare – ognuno per quel che può – un’altra società. Sono parole grosse, eccessive, lo so.

Ma a Castrovillari, nel 2016 più che altre volte, ho avvertito questa prospettiva.

Così, provo a mettere in fila qualche fatto.

L’altro giorno, quando a Roma si parlava, con rinnovato livore, del Teatro Valle “occupato”, ero a Porto, a un convegno dedicato proprio a “teatro, critica e città”. Alla notizia della nuova, breve occupazione, presto sgomberata, gli operatori internazionali, incuriositi e perplessi, chiedevano notizie, non comprendendo le ragioni di quelle immagini che giravano già in rete, con i poliziotti a pressare e gli occupanti a difendersi.

In tutta Europa c’è la percezione chiara che le istituzioni culturali, e teatrali in particolare, anziché far vetrine scintillanti nel loro splendido e decadente isolamento, debbano porsi come laboratori di cittadinanza attiva, come modelli intermedi tra cittadino e Stato. Da noi (nonostante alcuni lavorino da tempo in quella direzione) la percezione è ancora attutita, distante.

Sarà possibile un cambiamento?

Mentre Orlando piange i suoi morti, mentre Il Giornale “azzecca” una grottesca campagna promozionale, mentre i candidati sindaci si esprimono a fatica su temi legati alla cultura e allo spettacolo dal vivo, a me sembra che una preziosa manifestazione come Primavera dei Teatri sia da assumere, e sostenere, come modello.

E la comunità appassionata degli operatori e dei critici giustamente vi si ritrova: spostandoci per le strade di Castrovillari a cavallo di Lambrette d’epoca messe a disposizione dal Club Lambretta calabrese (con modelli degli anni 50 e 60 davvero eccezionali); correndo dal chiostro dello storico Protoconvento al nuovo spazio funzionalissimo ricavato da un capannone dell’Autostazione, tra laboratori, incontri, ambienti dedicati ai bambini.

Valentina Valsania
Valentina Valsania

Arriviamo anche agli spettacoli. Tra quanti ho visto ne ricordo, passati questi giorni, con piacere alcuni. A partire da Giovanna d’Arco-La rivolta, di Carolyn Gage, messo in scena da Luchino Giordana e Ester Tatangelo, affidato alla vibrante presenza di Valentina Valsania: una feroce requisitoria, non priva di caustica ironia, sulla condizione femminile passata e presente, tra documentazione e informazione. In fondo, Giovanna, ci dice l’autrice americana e militante femminista, al di là della retorica della “santa”, era una donna che è stata bruciata viva. Drammaticamente e tristemente attuale.

Vania, della compagnia Oyes
Vania, della compagnia Oyes; foto di Angelo Maggio

Poi mi piace condividere l’ottima impressione già suscitata su molti critici dallo spettacolo Vania. È, parafrasando Louis Malle, un Vanja sulla via Gluck: insomma un Cechov impastato alla milanese che il gruppo Oyes ha allestito su ideazione e regia di Stefano Cordella, con empatica partecipazione scenica di Francesca Gemma, Vanessa Korn, Umberto Terruso e Fabio Zulli. Sono minimali, gentili e semplici nel rendere lo spirito, la sostanza, più che il dettato del testo originale (materia forse troppo ingombrante). Dimostrano quanto e come quei temi eterni, quelle frustrazioni e quei desideri raccontati un secolo fa, siano ancora amaramente e ardentemente vivi. La piccola storia quotidiana e marginale di amori malcelati e malriusciti, le malattie e le sbronze, quella voglia di fuggire senza mai andare da nessuna parte, a vent’anni come a quaranta: c’è Cechov ancora, ma già non c’è più, vissuto e raccontato appena ieri o oggi, a Milano.

Marta e Diego Dalla Via
Marta e Diego Dalla Via; foto di Angelo Maggio

A Castrovillari erano anche i Fratelli Dalla Via, arruffata e tagliente coppia veneta che da qualche tempo imbastisce racconti e ritratti del nordest, sospesi tra il caustico, il surreale e l’iperrealistico. Funzionano benissimo, di solito, ma in Drammatica Elementare, Marta e Diego Dalla Via creano un gioco (di parole) che presto si svela un po’ sterile: è un divertente collage, degno di Esercizi di Stile di Queneau, ma le variazioni alfabetiche su temi vari rischiano la insistita reiterazione e, senza progressi significativi, la dadaista creazione rimane un po’ fine a se stessa. Prima un discorso fatto con parole che iniziano tutte con “a”, poi con “b”, poi con “c” e così procedendo. Poi frasi le cui parole iniziano, nell’ordine, in “a”, “b”, “c” eccetera: adesso brucano capre dolenti (per fare un esempio, mio non loro). Non aiutano le astratte azioni sceniche, per quanto ben studiate e si attende un cambiamento maggiore. I Dalla Via si aprono anche digressioni politiche, a commenti cinici d’attualità: è divertente, ma serve altro.

Insomma, l’impressione che ho ricavato, nelle giornate a mia disposizione, è di una generale, condivisa fragilità, di qualche bello slancio e di buoni spunti ma in una diffusa mancanza di ampio respiro sulla scena (ne ho scritto anche in precedenza, a proposito di altre manifestazioni).

Allora, per chiudere tutto questo ragionamento: mi pare che gli artisti del nostro giovane teatro stiano patendo non poco, dal punto di vista creativo, le conseguenze dello sbandamento socio-economico del Paese. Mi pare però, al tempo stesso, che il Teatro – se si può dire con la T maiuscola – o meglio i teatri, insomma la collettività che si riunisce attorno alla pratica scenica, stia sempre più rispondendo a domande primarie di incontro e confronto, di ragionamento e posizionamento. Se poi si riuscissero a superare gli eterni campanilismi, le consorterie, le piccole e grandi massonerie, le piccinerie, allora davvero il teatro potrebbe essere il laboratorio civile di cui abbiamo bisogno tutti.

Partendo anche da Castrovillari, Calabria, Italia

 

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