Teatro
Pitecus di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, più di vent’anni di risate crudeli
Se uno spettacolo va in tournée ininterrottamente da più di vent’anni vuol dire solo una cosa: che funziona bene. E Pitecus di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, andato in scena venerdì scorso al Teatro Caffeina di Viterbo, è uno spettacolo che indubbiamente funziona davvero bene (e che gira i teatri italiani dal 1995).
Nato dalla geniale fantasia della coppia Rezza-Mastrella (senza dimenticare il loro “assistente alla creazione” Massimo Camilli), Pitecus è un’esperienza che non si scorda facilmente. Le abilità performative di Antonio Rezza e l'”habitat” scenografico concepito da Flavia Mastrella sono i pilastri sui quali si fonda questo spettacolo fatto di un susseguirsi di brevi scene, veri e propri sketches nei quali Rezza dà vita a una serie di personaggi bizzarri che dicono e fanno cose bizzarre: un padre insoddisfatto che si lamenta dei difetti del figlio (e della sua omosessualità), un certo Gidio che si lagna perché è sempre solo (e dopo che sono venuti a trovarlo si lagna dei suoi ospiti e della gente in generale), un tizio che su consiglio di un amico si fa tagliare a pezzi per vendere tutti i suoi organi fino a che non ne rimane solo la voce, un progettista specializzato nel progettare barriere architettoniche, e altri ancora. Queste figure prendono forma e voce grazie anche all’habitat della Mastrella, costituito da pezze di stoffa di vari materiali e colori – grandi come lenzuoli e appese a un filo come quello per asciugare la biancheria – che presentano tagli e buchi nei quali Rezza si infila per interpretare i vari personaggi.
Come si legge sul sito della coppia, Pitecus è uno spettacolo «che analizza il rapporto tra l’uomo e le sue perversioni: laureati, sfaticati, giovani e disperati alla ricerca di un’occasione che ne accresca le tasche e la fama, pluridecorati alla moralità che speculano sulle disgrazie altrui, vecchi in cerca di un’identità che li aiuti ad ammazzare il tempo prima che il tempo ammazzi loro, persone che tirano avanti una vita ormai abitudinaria, individui che vendono il proprio corpo in cambio di un benessere puramente materiale, esseri che viaggiano per arricchire competenze culturali esteriori e superficiali». Per analizzare il rapporto uomo-perversioni Rezza fa ricorso a un linguaggio performativo fatto di smorfie, cambi di voce (grandi sono le sue capacità mimiche e vocali) e di un umorismo lancinante, delirante e politicamente scorrettissimo: in Pitecus Rezza scherza (pesantemente) sia con i fanti sia con i santi (soprattutto con questi ultimi) e pure con il pubblico, subissandolo di improperi (a Viterbo ha letteralmente fatto a pezzi una ragazza colpevole di tenere lo smartphone acceso durante la performance) e al tempo stesso facendolo morire dal ridere; non si tratta di una comicità banalmente greve e pecoreccia, ma piuttosto di una comicità crudele e agghiacciante che non ha paura di prendere di petto e (mal)trattare temi importanti e delicati (come la religione e la disabilità) per riflettere sulle nostre contraddizioni, le nostre ipocrisie e i nostri qualunquismi. Nella follia di Rezza e nel suo umorismo assurdo, feroce e destabilizzante c’è innegabilmente un metodo molto ben oliato che funziona come un orologio e che “cattura” gli spettatori non lasciandoli indifferenti, suscitando un mare di risate in tutti quelli che riescono a lasciarsi andare alla comicità abrasiva e spietata di quel grande performer che è Antonio Rezza.
(Nella foto di copertina: Antonio Rezza in Pitecus)
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