Teatro

Pippo Soffiavento e l’impraticabilità della scena: intervista a Paolo Mazzarelli

28 Febbraio 2022

Pippo Soffiavento è un attore immaginario in crisi professionale ed esistenziale. Dovrebbe andare in scena con il suo ultimo lavoro, sul Macbeth di Shakespeare, ma qualcosa lo frena: Pippo non riesce a interpretare il suo re di Scozia, non trova – o forse non ritrova – gli strumenti del mestiere, il senso di praticare teatro. La rappresentazione della pièce dunque non avviene e sul palcoscenico assistiamo alla tragicomica incarnazione di dubbi, domande, arrovellamenti dell’attore che, privato della capacità di recitare un personaggio, diventa personaggio di sé stesso, avviluppato nelle sue problematiche senza soluzione. Soffiavento, primo lavoro da solista del regista e attore Paolo Mazzarelli, interroga lo spettatore, a partire dal confronto con l’immortale opera shakespeariana, sul senso dell’agire contemporaneo, sull’identità personale e la possibilità di dare espressione vera di ciò che si è attraverso il ruolo che scegliamo di interpretare ogni giorno.

Mescolando tragedia e commedia, con forti spunti di autoironia che avvicinano l’esperienza in scena al quotidiano, smitizzando il ruolo sacrale dell’attore, anche e soprattutto nella sua versione di “eroe tragico”, Mazzarelli affronta il tema dell’impossibilità, del “fermo forzato” nel quale ciascuno di noi si è trovato almeno una volta nel corso della sua vita.

Abbiamo parlato con il regista di questo suo lavoro in una breve intervista.

Come nasce questo lavoro e quali sono gli spunti che hanno portato a lavorare, in modo fortemente introspettivo, sul Macbeth di Shakesperare? Che influenza ha avuto il periodo pandemico sulla gestazione dell’opera?

Questo lavoro nasce prima della pandemia nel suo nucleo originale. Dico originale perché, dopo la prima messa in scena a inizio 2020, Soffiavento non è stato più rappresentato a causa del fermo forzato dei teatri e, nel corso di questi due anni, è stato rivisitato, anzi, riscritto in modo sostanziale. Data la situazione contingente mi sono dovuto confrontare ancora più a fondo con il tema dell’irrappresentabilità, del senso dell’essere attore fuori dalla scena, dell’azione bloccata e l’ho fatto in solitaria, lavorando sull’opera che in assoluto (e da sempre) interroga lo spettatore sui fantasmi, sulle guerre esteriori e interiori, sul conflitto agito e subito. Così si è sviluppato un nuovo percorso rispetto al protagonista Soffiavento, antieroe e alterego, che si trova a combattere con i suoi demoni in scena.

Quindi ci sono differenze forti rispetto al testo e alla prima rappresentazione?

Si, anche di tipo strutturale. Nella prima versione Soffiavento tentava d’iniziare la recita, per poi ritrovarsi bloccato in un secondo momento, mentre oggi il protagonista dichiara da subito l’impossibilità di agire: il dramma non accenna neppure ad andare in scena. Si entra quindi da subito nel vortice della narrazione di crisi dell’artista che viene meno e, da lì, si vira sul quinto atto del Macbeth, nel momento in cui il Re si trova ad affrontare la crisi del suo potere, assediato dai fantasmi.

Un tema estremamente attuale quello del blocco, della perdita di identità data dall’impossibilità di agire, di esercitare il proprio ruolo nella società. Si tratta di qualcosa che abbiamo tutti vissuto nei mesi di chiusura pandemica. Oggi viviamo una lenta e timida ripresa: una domanda di questo tipo, legata alla possibilità di fare teatro, si lega quindi fortemente sul senso di fare spettacolo, di recuperare questo momento collettivo…

Ovviamente questo spettacolo interroga anche sul senso del mestiere di attore, del rito della scena, come momento di comunità. Mi sono chiesto spesso che bisogni potesse avere oggi il pubblico, quale funzione poter esercitare per la comunità, se lo spettacolo avesse ancora lo stesso valore. Quello che posso dire per ora, data la mia esperienza, è che il pubblico ha voglia di tornare, di riprendere il contatto con la scena, con gli altri spettatori, con quanto suggerito durante le performance. Le persone mostrano un grande bisogno di “senso” e questo dà speranza.

In questo Shakespeare è un buon viatico…

Shakespeare è immortale, contemporaneo, attualissimo perché parla di sensazioni, pensieri, emozioni universali. I conflitti e i fantasmi sono sempre gli stessi. Cambiano forse le logiche, ma non quello che di umano può essere trasmesso e testimoniato. Con Lino Musella ci siamo spesso confrontati con la sua opera: ora, obbligato anche dalla condizione di “solitudine forzata”, ho provato a misurarmi in solitaria con il cuore pensiero shakespeariano, elaborando un percorso più strettamente personale. Non a caso Soffiavento è un po’ un alterego, che guardo con bonaria ironia, prendendo in giro i suoi tratti più autoreferenziali. L’artista che non esercita la sua funzione, l’attore senza scena, che si ripiega in sé stesso è comico e tragico. In fondo non esiste… E su questo, anche come comunità teatrale, abbiamo molto di cui riflettere e ho provato a farlo mescolando le mie riflessioni al riso. Sperando di rispondere al bisogno di senso della scena e del pubblico.

 

SOFFIAVENTO

UNA NAVIGAZIONE SOLITARIA CON ROTTA SU MACBETH

uno spettacolo di e con Paolo Mazzarelli

scene Paola Castrignanò

sound design e musiche originali Luca Canciello

disegno luci Luigi Biondi

immagine locandina GIPI

produzione Theatron Produzioni

con il supporto di Centro Teatrale Umbro | Angelo M

In scena dal 9 al 13 marzo al Teatro Fontana di Milano

Ph. Simone Galli

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