Teatro
Pippo Delbono a teatro, “Il Risveglio” di un’aquila
MODENA _ Gli anni avanzano e la giovinezza non torna più. Come le persone perdute per sempre. La madre, Bobó, l’afghano, Pina Bausch. Ed è per loro il suo ultimo spettacolo. Un tango danzato da solo: dopo anni di solitudine e sofferenza certifica il ritorno alla vita. È anche per questo che il nuovo spettacolo “Il Risveglio” di Pippo Delbono, si apre simbolicamente con la proiezione di un video che ritrae Ornella Vanoni mentre interpreta dal vivo il brano “Domani è un altro giorno”. E’ il punto di partenza di uno struggente atto unico che Pippo e la sua compagnia hanno mostrato nei giorni scorsi in prima nazionale, davanti ad un pubblico caloroso e affettuoso al Teatro Storchi di Modena.
Teatro come viaggio della memoria. Teatro come medicina. Cura gli affanni e soccorre nel momento degli incubi. Lenisce le ferite che tornano dolorose nel momento del ricordo. Ma per andare oltre occorre compiere uno sforzo estremo, e rinascere. Almeno per quanto è possibile.Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, ricordava cinque secoli fa Eraclito. Il fiume scorre e pure noi cambiamo; tanto più questo vale di questi tempi in cui siamo immersi in uno stato di continua mutazione. Il Tempo, lo spazio, le cose che ci circondano, stanno dentro un frullatore che non smette di girare costringendoci a cambiare. Anche quando la nostra vita è triste. Anestetizzati dal dolore non si percepisce il cambiamento. Come è accaduto a Pippo Delbono: si trascorrono anni, come quelli del Covid, avulsi nel tempo, rinchiusi dentro spazi fisici e mentali che non prevedono interconnessione temporanea con il mondo. Il rifugio è nell’esercizio del ricordo che esorcizza e riporta al passato come atto di nostalgia.
Pippo Delbono riparte dove aveva lasciato l’ultimo “Amore”. Sta in una sedia nel lato sinistro della scena accudito dai suoi, microfono in mano arringa dolcemente ma in modo determinato il pubblico. la voce roca e di velluto, morbidamente sinuosa, carezzevole persino. Ristabilendo il contatto con il suo pubblico, ritrova il filo di un discorso mai interrotto. D’altra parte tutta la sua vita, sin dal “Tempo degli Assassini” del 1987, è dentro i suoi spettacoli. Ne mostra con lucida sincerità le trame mettendo a nudo emozioni e sentimenti come può fare un fratello o l’amico più caro. E il suo eloquio diventa così, sì personale, ma anche collettivo, riguarda tutto un Paese, questa malandata Italia preda di paure e angosce. Fantasmi nascosti che Pippo nomina con poche ma chiare parole. Questi fantasmi sono anche “le cose che non ci sono più, le musiche che non si sentono più, le rivoluzioni, gli anni Settanta quando si andava ai concerti dove c’erano gli artisti che parlavano di rivoluzioni e ora non più. Tutto quello che c’era di rivolta in questo momento non esiste più”. Chiuso in casa dalla malattia e anche dal Covid, Delbono è come un viaggiatore del tempo tornato dopo una breve assenza per scoprire nuovamente le guerre alle porte di casa. Ci ritroviamo ancora a che fare con ideologie pericolose e reazionarie che minano la convivenza e uccidono le possibilità di essere felici.
“… Hey now it’s time for you and me.
Got a revolution Got to revolution
Come on now we’re marching to the sea
Got a revolution Got to revolution
Who will take it from you
We will and who are we
We are volunteers of America”
(“È giunto il momento per te e per me/C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione/
Forza adesso stiamo avanzando verso il mare/C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione/
Chi continuerà (la rivoluzione)?/ Lo faremo noi, e noi chi siamo?/Siamo i volontari d’America”)
Così cantano i Jefferson Airplane al celebre festival di Woodstock nel 1969. Paul Kantner, aggrappato alla chitarra urla con forza queste rime al microfono, mentre la bellissima Acid Queen, Grace Slick, entra in scena vestita di bianco, portando in dono una voce leggendaria. Le immagini scorrono a tutto schermo sul palcoscenico ed è un bel colpo teatrale vedere quelle iconiche sequenze – ormai si smanettano su YouTube e proiettati nei piccoli monitor di cellulari- finalmente proiettate in grande, enormi. Trasmettono energia e forza straordinarie. Formidabili quegli anni, testimonia Delbono. Ed è ancora da quelle tre epiche giornate di musica che lo schermo viene conquistato subito dopo dalla potenza della musica rock degli Who che eseguono proprio nell’ultima serata del festival una versione al cardiopalmo di “See me, Feel me”:
“Listening to you, I get music/ Gazing at you, I get the heat/ Following you, I climb the mountain/ I get excitement at your feet/ Right behind you, I see the millions/ On you, I see the glory…”
(“Ascoltandoti, ricevo la musica/Seguendoti, scalo le montagne/ Sono eccitato ai tuoi piedi/ Proprio dietro di te vedo milioni/ Su di te vedo la gloria…”).
Da generazionale il ricordo diventa quindi intimo, personale. Pippo parla del suo amato Bobò, amico per vent’anni, protagonista di spettacoli e film. Ed è pure all’altra grande amica, la geniale coreografa di Wuppertal, Pina Bausch, che Delbono pensa. Due persone legate a doppio filo nei ricordi. E’ un attimo di melanconica poesia, come una brezza che s’infila al mattino, leggera tra gli alberi, quando salgono le note al violoncello di uno straordinario solista qual’è Giovanni Ricciardi: dà il suono giusto all’anima delle parole di Delbono che srotola il suo blues : “Ho paura della vita … senza amore, senza Bobò”.. “paura di perdere la leggerezza…”.
Il teatrante e il poeta, l’uomo disarmato davanti al cielo svela tutta la sua fragilità. “Ho paura del cielo. Ho paura della luce. Sono stato a lungo nella penombra..”. Le parole risuonano come colpi di gong. Aprono e chiudono capitoli di esistenza.
Un attore vuota sul palcoscenico sacchi di sabbia, formando monticelli nelle cui sommità vengono collocate delle croci e la scena si colora di arancio. Uno dopo l’altro entrano ed escono gli attori della compagnia. Un campionario di diversità e abiti colorati, di attitudini teatrali differenti. Ciascuno regala un gesto, un ammiccamento, una danza, un sorriso di complicità. Amati compagni di viaggio di Delbono che con lui volta per volta partecipano alla creazione degli spettacoli. Sono: Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Ilaria Distante, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Grazia Spinella e l’inseparabile Pepe Robledo. Segmenti diversi della stessa storia. Fanno da corona a Pippo e lo sostengono delicatamente, con fili invisibili. Pezzi di una grande famiglia aperta di girovaghi e attori, singolari entertainer, satelliti di una poetica che ha sempre vissuto nel mondo immersa fino nel profondo. Dal bianco al nero più scuro.
L’atmosfera nel palcoscenico diventa sempre più leggera, pur mantenendo una sua composta austerità come in un cabaret sfuggito a Beckett. I fogli da cui Delbono legge il suo tempo perduto perdono la presa della mano e cadono sparpagliandosi sul palcoscenico, come petali di rosa… intanto rimuove le croci dalla sabbia: il ricordo è dentro il cuore. Le immagini nell’aria. La poetessa Wislawa Szymborska ha scritto :
“… Anche agli alunni più ottusi
Della scuola del pianeta
Di ripeter non è dato
Le stagioni del passato.
Non c’è giorno che ritorni,
Non due notti uguali uguali,
né due baci somiglianti,
né due sguardi tali e quali…” (da “Nulla due volte”)
Torna in mente Eraclito: “negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo”. Quello che è stato vissuto con chi si è amato resterà unico, sigillato per sempre nella memoria. Delbono muove le braccia verso il cielo accennando passi di danza. E’ giunto il momento di alzarsi da soli e ritrovare il coraggio, la forza e la fiducia in se stessi. Delbono: “E’ passato il tempo di soffrire, ora aspetto il tempo di rinascere senza più paura, come un’aquila che sta a lungo nel nido e poi finalmente spicca il volo”.
Risvegliati.
Devi sentire l’odore rosso del mattino.
Non avere paura.
È il tempo di parlare sul mistero della vita.
Io sono sempre stato attirato,
rapito e impaurito dal nero della notte.
Ora vorrei di nuovo andare.
Di nuovo correre. Di nuovo volare.
Con la voce che canta e urla
come un uccello impazzito.
È un risveglio dopo la tempesta.
Tutta la compagnia sale e avanza sul proscenio mentre in sottofondo i Kolectivo suonano “Triste condiciòn” una musica leggera e orecchiabile giusta per ballare… così fa Bobò nel film proiettato sul fondo.
“Il risveglio”, produzione di ERT con Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Metastasio di Prato, Théâtre de Liège,
Sibiu International Theatre Festival/Teatrul Național “Radu Stanca” Sibiu, Teatrul Național “Mihai Eminescu” Timisoara, Istituto Italiano di Cultura di Bucarest, TPE – Teatro Piemonte Europa/Festival delle Colline Torinesi, Théâtre Gymnase-Bernardines Marseille. Dopo Modena sarà rappresentato a Prato, Torino, Savona, Milano, Bolzano, Maubeuge, Cattolica e Cascina.
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