Teatro
Parma (e po pu). Una “lettura” di Giancarlo Ilari e Paolo Nori
C’è un gran bisogno di memoria a Parma e di identità, di recupero di una storia recente fatta di ricordi personali e racconti del dopocena. Così si esce anche in una fredda sera di nebbia, quando tutto porterebbe a chiudersi in casa, e andare in Oltretorrente, quello raccontato da Cacucci, quello di un piccolo teatro covato fra i palazzi. Si va ad ascoltare una storia a due voci, quelle dello scrittore Paolo Nori e dell’attore Giancarlo Ilari, la storia di Parma e delle sue trasformazioni, una storia si passato e presente, di lingua e dialetto.
Parma (e po pu) è una lunga e affettuosa lettera alla città, un omaggio, un monito, un abbraccio. Nessun tono celebrativo o retorico, nessuna traccia di autocompiacimento, soltanto il desiderio di “non perdersi di vista”, di non dimenticare – nel continuo sorgere di nuovi centri commerciali e catene dalle vetrine uguali in ogni parte del paese – che Parma è stata qualcos’altro, che la sua anima, per quanto assopita, rimane quella della provincia innamorata della libertà e del bel canto.
Nori ricorda il passato recente, tratteggia spunti di riflessione sull’attualità parmigiana, scherza con ironia sulle piccole grandi manie del “ducato”, Ilari racconta una Parma che non c’è più, quella del loggione del teatro Regio e delle osterie dove gli spazzini cantavano le arie verdiane, quella di padre Lino, dei borghi delle barricate e della Resistenza. Nori avvolge le parole nell’ampia cadenza parmigiana, Ilari restituisce al pubblico tutto il sapore di un dialetto che i più giovani ormai faticano a capire. Alto e basso si inseguono in un continuo affettuoso battibecco perfettamente incarnato dalla grazia misurata delle poesie di Zerbini e Pezzani .
Chi è di casa riconosce le sue strade, alcuni rivedono personaggi conosciuti o di cui hanno sentito raccontare infinite volte. Chi ascolta per la prima volta resta affascinato, assorbito da un turbinare di sensazioni: suoni, profumi, “quella certa luce che si vede a una data ora del giorno in via della Repubblica”, si riflettono in una percezione quasi tattile di abbraccio collettivo. Esci e sai qualcosa di più di Parma. Forse non l’hai capita, di sicuro senti di “tenerci un po’ di più”.
Ed è proprio sul finale che Nori ricorda, in un serrato elenco – rapido, quasi mitragliato, energico e al tempo stesso velatamente malinconico – che cos’è Parma: una sensazione, un modo di esistere, un’attitudine che potrebbe essere ben espressa dalla citazione “L’importante è essere vissuti invano”. La citazione è sbagliata, rimane il suo sapore e Ilari lo condisce con una risata finale, meno accorata, più distensiva. Si ride, si applaude, ma la sensazione agrodolce resta: ci siamo persi qualcosa. Parma ha perso qualcosa.
Parma (e po pu) è uno spettacolo in fieri, in continuo aggiornamento e rimaneggiamento. Si scrivono nuovi pezzi di storia nel presente, emerge qualche nuovo ricordo dal passato. In questo senso la lettura a due voci è anche un auspicio, un invito a fare memoria attiva, recuperando – senza facile spirito nostalgico – un senso di comunità che non può essere sancito (come ben puntualizza Nori) da una delibera comunale, né sciolto dal vincolo con la sua storia, quella che – grazie alle parole di Ilari – si universalizza, diventa nostra, si fa esperienza familiare collettiva.
Siamo a casa insomma. Dobbiamo averne cura.
Devi fare login per commentare
Accedi