Teatro
Ostermeier, Louis, Kae Tempest: alla Biennale il teatro si fa politica
Nel giro di un paio di giorni, alla Biennale Teatro di Venezia, ho avuto il piacere e l’onore di incontrare e intervistare Thomas Ostermeier, Édouard Louis e Kae Tempest. Tre personalità straordinarie, evidentemente diversissime tra loro, eppure accomunate da visioni, tensioni, pensieri di grande nitore. Ed è stato estremamente interessante cogliere l’impegno e la determinazione con cui i tre si confrontano con il Teatro.
Per Ostermeier mi sembra di poter dire che sia in atto una svolta importante: dopo aver allestito testi teatrali classici e contemporanei, nel volgere di pochissimo tempo, ha affrontato gli scritti di Didier Eribon (Ritorno a Reims), di Virginie Despentes (Vernon Subutex) e dello stesso Louis. Quasi che abbia trovato, nella letteratura e nella nuova filosofia francese terreno fertile per le sue creazioni. Lavori diversi, peraltro, dallo stile cui ci ha abituato il maestro tedesco. Nella intervista, riflettendo sull’autobiografismo in scena (cosa in cui noi italiani eccelliamo da tempo, sin troppo) Ostermeier ha ribadito che in realtà l’importante è avere a che fare con qualcuno che abbia storie interessanti da raccontare. Ovviamente è il caso del giovanissimo Édouard Louis, astro nascente del pensiero filosofico e sociologico europeo, intellettuale engagé che non ha esitato a mettersi in gioco come attore.
Lo spettacolo si intitola Qui a tué mon père?, è un racconto in prima persona fatto di pochi, semplici elementi. Eppure è sorprendente e divertente vederlo ballare, con parrucca bionda, sulle note di Barbie Girl degli Aqua o un pezzo di Britney Spears, facendo uno smaccato e parossistico playback. Poi, nel racconto scabro eppure emotivo del conflittuale rapporto con il padre, ecco il radicale stacco verso la denuncia ampia, circostanziata, delle responsabilità della politica. Chirac, Hollande, Sarkozy, Macron, chiamati in causa e presenti in effige: sono loro i colpevoli, sono loro che hanno “ucciso” il padre, con implacabili politiche sempre più liberiste. Nella conversazione gli ho ricordato l’importanza che ha, in Italia, il famoso articolo “Io so i nomi” di Pier Paolo Pasolini: li sapeva, ma non aveva le prove, non poteva dirli, non li dice, se non quello del generale Miceli. Édouard Louis, invece, non ha dubbi: l’impegno è proprio questo, nel dire, senza remore.
Infine, last but not least, il Leone d’Argento Kae Tempest. Straordinaria figura di artista, persona di rara umanità e empatia, e di instancabile verve, poeta capace davvero di scrivere “con lettere di fuoco” il privato e il pubblico. Nell’incontro, si schiude a riflettere sul coraggio, sul coraggio che serve anche solo per respirare, per vivere, per amare, soprattutto per essere integri. Rende omaggio a Sarah Kane, e parla della bellezza, della speranza. Spiega la sua visione dei miti, di come si riverberino nella quotidianità. Racconta il suo lavoro, lo spokenword, la ricerca delle parole (selezionare continuamente, pulire, tagliare, tagliare e tagliare ancora), l’essenza della comunicazione che ritiene imprescindibile.
Quel che mi piace cogliere, tra le infinite suggestioni di queste conversazioni, è la nodale presenza del teatro. In particolare per Louis e Tempest: hanno ben altri strumenti comunicativi (letteratura, saggistica, poesia, musica…) eppure convergono sulla necessità del teatro come luogo nodale per l’incontro e il confronto, per la parola e l’ascolto. Nella Biennale diretta da Stefano Ricci e Gianni Forte non poteva mancare una simile suggestione. Nell’infilata di spettacoli, si impone questo tema.
La forza politica del Teatro è chiarissima – anche per rivendicare e ricostruire l’identità personale, individuale: dall’individuo nasce la comunità, dice Louis, che tra l’altro, nel 2015, aveva firmato con Geoffroy De Lagasnerie un significativo “Manifesto di controffensiva intellettuale e politica” (qui). Mi pare chiaro che una simile controffensiva passi anche – se non prevalentemente – attraverso la scena.
Pensiamo alle nostre platee sempre più come spazi in cui questi artisti (e questi intellettuali, non abbiamo paura di questa “categoria”, ne esistono ancora) possano davvero segnare la strada da percorrere, possano condividere i pensieri e le teorie, le esistenze e le esperienze. Oggi più che mai, i teatri sono baluardi di resistenza culturale. E mentre nel Bel Paese, bigotto e devoto, si discute – per modo di dire – del DDL Zan, con governo, parlamento e leader politici imbrigliati in posizioni retrive, impacciate, confessionali, la presenza a Venezia di Tempest e Louis ricorda, semmai ce ne fosse bisogno, che c’è ancora molto da rivendicare, da lottare, da scrivere e da dire. E ci invitano a farlo, assieme, subito.
Alla Biennale Teatro 2021 è attivo, assieme a molti altri, anche un workshop di scrittura critica, durante il quale proviamo – assieme a un manipolo di giovani e giovanissimi laboratoristi – a riflettere su alcuni dei temi che ho intrecciato anche per questo articolo. Gli esiti di scrittura si trovano qui.
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