Teatro
Oriente Occidente: vola la danza a Rovereto
Ma che bel clima al festival Oriente Occidente di Rovereto! Non solo per l’aria pura del Trentino, ma per le creazioni, l’allegria, gli incontri, i progetti: in una città accogliente e curiosa, il cui pubblico volentieri si muove, si sposta seguendo acrobazie circensi in piazza o affollando platee per coreografie ipercontemporanee in teatro. Peraltro, la città che è stata di quel geniaccio di Fortunato Depero ed è oggi segnata dalla vibrante presenza del Museo Mart (all’avanguardia non solo per la collezione contemporanea, ma per le politiche di accoglienza, accessibilità, apertura) sembra naturale scenario per investigare tendenze e possibilità della danza d’oggi, spingendosi anche ai terreni estremi di coreografie inclusive e di meticciati culturali sulla “via della seta” – come una ironica apertura alla coreografie “paramilitari” delle due Coree.
Nella bellezza di corpi “conformi” e non, di giocolerie spettacolari, di super raffinate tecniche coreutiche, di workshop di qualità, si è dipanato dunque il Festival che, giunto alla sua 39esima edizione si conferma sempre più come un punto di riferimento europeo. Allora il ricco programma diventa spunto per ipotesi, verifiche, anche confronti internazionali, vera sonda di eclettiche visioni, legate dal filo rosso della qualità e del rischio, della proposta innovativa e della scoperta sorprendente di stili e linguaggi diversi.
Nelle giornate che mi sono capitate in sorte, ad esempio ho avuto il piacere di godere, con gli occhi all’insù, delle acrobazie goliardiche del franco-svizzero Cirque La Compagnie: quattro guasconi, irriverenti peterpan, usano tavola basculante, palo verticale e dei bidoni di plastica tessendo un gioco di virtuosismi segnati da un vago gusto retrò anni Cinquanta. Sono bravi e simpatici, Zachary Arnaud, Baptiste Clerc, Charlie Mache Doris Fodella: si divertono loro, prendendosi anche un po’ in giro, e ci divertiamo noi, accompagnati in un crescendo di prestazioni spettacolari, condite da canti dal vivo e musichette d’antan.
Non va, invece, oltre le buone intenzioni, l’attesissimo #Frontiera del coreografo brasiliano Claudio Bernardo. Si tratta di un progetto belga, ancora in fase di studio, ma articolato e sostenuto da vari coproduttori, che affronta Le Troiane di Euripide nella prospettiva di un sentito, sincero omaggio a Thierry Salmon, il regista belga scomparso prematuramente nel 1998, che proprio con la tragedia di Euripide aveva toccato uno dei suoi apici creativi. Bernardo ritrova alcune delle interpreti di allora (come la straordinaria Maria Grazia Mandruzzato), rievoca i canti che furono scritti da Giovanna Marini, spiega al pubblico di Rovereto – prima dello spettacolo – ragioni e radici del suo allestimento.
Ma poi quel che si vede in scena ha ancora il sapore di un work in progress molto da definire, da approfondire, da connotare. Il tragico, insomma, è ancora piuttosto lontano, e nonostante l’ottimo cast, non bastano pose ieratiche o l’uso del greco antico, né qualche blando richiamo all’attualità per dare una scossa a un lavoro che coreograficamente e registicamente sembra ancora piuttosto piatto. Ci sono istanti in cui tutto sembra decollare, in cui quelle fiere figure femminili che evocano il mito prendono davvero possesso dello spazio, ma sono singulti, barlumi, in un “troppo di senso”, che invece rende ancora faticosa l’opera. Lo slancio nel voler omaggiare Salmon potrebbe diventare un boomerang e tornare scomodo e bollente nelle mani di Bernardo: certo, il lavoro è ancora nella sua fase embrionale, istruttoria, dunque ha tutte le possibilità di svilupparsi e crescere al meglio. Attendiamo fiduciosi.
Formalmente impeccabile, al contrario, il millimetrico lavoro compositivo di Aurélien Prost e del suo Cirque Rouages, dal titolo Sodade. Musica dal vivo (voce femminile e contrabbasso), una incombente struttura rotante, semplicissima ma di grande suggestione, e un manipolo di interpreti di straordinaria preparazione che con leggerezza e funambolico virtuosismo creano composizioni di netta spettacolarità. Insomma, uno spettacolo che non ha nulla da invidiare a certi numeri del Cirque du Soleil. E se pure, dopo dieci minuti, tutto sembra ripetersi – le possibilità di camminare, saltare, correre sul filo non sono poi infinite – Sodade regala il brivido dell’esercizio difficile, condito da una poetica visiva elegante, tanto da colpire anche con il gioco di ombre dei funamboli sulle mura della storica Manifattura Tabacchi dove il lavoro ha preso vita. Il numerosissimo pubblico ha tributato un lungo, convinto applauso ai performer.
Si impossessano della piazza pubblica gli inglesi della Stopgap Dance Company, guidata da Lucy Bennett: arioso, aperto, energico frutto di un workshop inclusivo, il lavoro degli inglesi mostra quanto e come l’accessibilità non sia una questione vuota, ma possibile, concreta, artistica. Un impegno realizzabile senza timore anche tra amatorialità e professionismo. Bellissimo vedere un anziano signore, inizialmente intimidito, lasciare il bastone che accompagna il suo faticoso deambulare e trovarsi, in chiusura, protagonista di un duetto: serissimo e impegnato, si lascia andare a un modestissimo e commovente sorriso agli applausi finali.
Ultimo spettacolo del mio programma di visione era Madre di Balletto Civile, presentato in prima assoluta a Oriente Occidente. Michela Lucenti, coreografa e interprete assieme ad altri nove danzatori e danzatrici, affronta la scrittura di Heiner Müller (in particolare i Materiali su Medea e Descrizione di un quadro): proprio come dalle “rovine” del Novecento, care allo scrittore tedesco, nascevano frammenti di esistenze, immagini, riflessioni, così, in Madre si intrecciano temi diversi: dal mito tragico di Medea, all’evocazione del Paradiso terrestre; dalle ironiche analisi di goffe paternità alle partecipi, aguzze, umanissime considerazioni sulla maternità, sulla coppia, sul rapporto madre-figlio, appunto, investigato in diverse possibili e contraddittori sviluppi. Come sempre aperto al canto (con momenti bellissimi) alla “prosa” in lingue diverse, e alla coreografia pura, Madre è un intreccio di codici e situazioni, un coacervo di citazioni e rimandi, di quadri che si sviluppano su temi musicali diversi – dal barocco all’ipercontemporaneo – con slanci individuali e collettivi che non escludono prese di posizione politica.
C’è tanto, forse troppo, nella drammaturgia di Carlo Galiero e Attilio Caffarena per Madre: sfrondare un po’ non farebbe male, anche per dare maggiore intensità alle classiche, intense “zampate” d’autrice cui Michela Lucenti ci ha abituato nel suo ricco percorso. Sul mutevole fondale creato da Keiko Shirashi, sfumano le luci di Stefano Mazzanti, si muovono le forti individualità e il compattissimo gruppo, garantendo comunque lo spessore e l’esito dello spettacolo fino all’esplosiva sequenza di chiusura, vera dichiarazione d’intenti poetica-politica, che invita, senza mezzi termini alla militanza, a “stare nella storia”. Non ci si può più tirare indietro, il passato è passato, si tratta di combattere oggi: anche per questo, per quest’ostinato impegno, ribadito in ogni creazione sino all’evidenza, Balletto civile è una delle nostre eccellenze.
(la foto di copertina è di Sarah Melchiori)
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