Teatro
Orfeo danza un rave
È interessante notare quanto tutta Europa, o quasi, si sia accorta del momento particolarmente felice della nuova danza italiana. Coreografi e danzatori viaggiano nel vecchio continente e nel mondo riscuotendo successi – sia nei territori del “balletto” propriamente detto, sia in quelli più vari e aperti del contemporaneo. A mettere in fila i nomi si farebbe un lungo elenco. E non mancano, poi, produzioni e co-produzioni internazionali, o comunque sostegni da parte di strutture e città d’oltralpe che spesso arrivano a compensare la scarsa o nulla attenzione che troppo spesso la danza riscuote nel Belpaese. È un fatto che nella coreografia si intrecciano indagini di primo piano su temi esistenziali, artistici, estetici, politici con codici immediatamente aperti, internazionali, multisegnici e multidisciplinari.
È il caso, ad esempio, di Balletto Civile, ormai storica compagine italiana guidata con passione e lungimiranza dalla coreografa Michela Lucenti. Esponente di spicco della danzateatro europea, Balletto Civile ha all’attivo un lungo e complesso percorso che affonda nella contaminazione tra gesto, parola, canto per esplodere in stilemi narrativi coinvolgenti e comunicativi. A Genova, ad esempio, all’interno dell’imponente e suggestivo padiglione firmato da Jean Nouvel per la Fiera – in mezzo a tanti casermoni dismessi – la compagnia ha presentato una opera-evento, o forse una opera/contenitore, che integra mito, leggenda, cronaca, declinata in un percorso itinerante di grande fascinazione. Il lavoro è frutto di una bella collaborazione tra Balletto Civile e il genovese Teatro della Tosse, e sono proprio Lucenti ed Emanuele Conte (anima della Tosse) a condividere la firma dell’esito scenico.
Orfeo Rave, questo il titolo, è un’invasione di quello spazio anomalo, è un viaggio agli inferi imponente e disturbante: venti persone in scena, musiche dal vivo (di Tiziano Scali e Federico Fantuz), una grande visionarietà nell’allestimento scenico (dello stesso Conte) e una poeticità che vibra e cresce di stazione in stazione. Il popolo degli spettatori attraversa, infatti, tutte le tappe del triste viaggio di Orfeo che insegue la sua Euridice sino agli inferi. Lui, il poeta, il cantore, segue l’amore – per la donna o per se stesso? – e commetterà il fatale errore.
Perché Orfeo si volta? Sa bene lui, gli è stato raccomandato di non voltarsi – da una curiosa, anziana e borghese Proserpina – gli era stato detto di non guardare Euridice sino a che non sarebbero stati di nuovo fuori dai gironi infernali. Ma lui si volta. Dopo aver incontrato Caronte, dopo aver superato Cerbero, e dopo uno struggente passo a due ambientato in una gelida morgue (mentre sul fondo, oltre le ampie vetrate, con un effetto inatteso ma bellissimo, si vede passare una enorme nave cargo che rientra al porto: ed è un attimo pensare alla nave delle anime perse, o salve), dopo quel passo a due, dicevo, ecco lo sguardo. È un istante, un cedimento. Ma tanto basta: Euridice scapperà lontana, via in una corsa che si perde nell’abisso di quell’enorme spazio vuoto. Arriveranno le Baccanti a chiudere brutalmente la storia, a far piazza pulita della sconsiderata leggerezza di Orfeo. E viene, allora, da chiedersi perché, davvero, ancora una volta, Orfeo abbia guardato. La curiosità, forse: una curiosità che va punita sempre. O l’amore: difficile resistere agli occhi dell’amata.
Orfeo Rave, nelle belle luci di Christian Zucaro, con i costumi di Daniela De Blasio e Bruno Cereseto, è una invenzione continua, una bellezza che si protrae in ogni capitolo, un romantico racconto che ha ridà forza al mito. Coniugando mirabilmente solisti, coro, musiche, Balletto Civile e Tosse propongono una strada contemporanea alla tragedia classica. Chissà, forse il rito dell’Atene di Pericle potrebbe essere una specie di rave di oggi: fattostà che non vedrei affatto male una regia-coreografia di Balletto Civile ad esempio a Siracusa o là dove si cerca di riprodurre la tragedia greca “come era dove era” (a volte con effetti risibili). In Orfeo Rave, allora, il coro è possente e presente, ricco di senso, e canta e balla come (non) sappiamo faceva il coro dei tragici del V Secolo. Così, spinto a un immaginario contemporaneo – sospeso tra MadMax e un visionario concerto di Capossela – la tragedia di Orfeo ha tutta la sua inquietudine e la sua forza. E il poeta, sbranato per il suo gesto d’amore, ancora commuove.
Mi piace, in chiusura, citare tutti i partecipanti al lavoro: oltre alla citata Michela Lucenti, un bravo Maurizio Camilli, poi Enrico Campanati, Pietro Fabbri, Susanna Gozzetti, Demian Troiano e ancora Fabio Bergaglio, Ambra Chiarello, Paolo Rosini, Alessandro Pallecchi, Emanuela Serra, Giulia Spattini, Natalia Vallebona, Jaskaran Anand, Simone Zambelli, Giuseppe Claudio Insalaco, Antonio Marino, Francesca Antonino, Arabella Scalisi, Maurizio Lucenti.
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