Teatro

“Orestea” di Livermore, una ideologia del potere da Omero alla polis

29 Marzo 2023

Pier Paolo Pasolini ne rivelò il carattere squisitamente politico. Incaricato da Vittorio Gassman di tradurre dal greco la trilogia di Eschilo, miracolosamente giunta intatta ai giorni nostri, l’intellettuale e cineasta bolognese non ebbe dubbi. “Orestea” e i suoi personaggi, da Clitemnestra ad Agamennone, da Egisto ad Oreste, da Apollo ad Atena sono soprattutto “dei simboli: o degli strumenti per rappresentare scenicamente delle idee, dei concetti: insomma, in una parola, per esprimere quella che oggi chiamiamo una ideologia” (così appare nelle note del traduttore nei “Quaderni del Teatro popolare Italiano” nel 1960, anno dell’allestimento gassmaniano a Siracusa). E, questa, innegabilmente, è la chiave alla quale si sono affidati molti degli allestimenti nell’ultimo spazio della modernità e del contemporaneo. Ma non è la sola di questo importante reperto letterario. “Orestea” nell’insieme, articolata negli episodi di “Agamennone”, “Coefore” e “Eumenidi” così come si è potuto vedere, tutto di un fiato nelle maratone di Genova al Teatro Ivo Chiesa e quelle di Torino, il 1 e 2 aprile al Teatro Carignano, spettacolo monstre di oltre quattro ore prodotto dal Teatro Nazionale di Genova e Inda (e che ha avuto una sua prima la scorsa estate nel teatro greco di Siracusa) con la regia del visionario Davide Livermore -un allestimento possente e immaginifico con un cast stellare- suggerisce che anche altri sono gli strati da scavare e riconoscere in questo gioiello che, dall’alto della sua rispettabile età, continua a indicare le questioni da affrontare e risolvere pure nella nostra epoca. Almeno dal punto di vista occidentale. Livermore lascia che tutto emerga da quell’apparente e gigantesco caos della scenografia che sembra contenere il mondo. Quasi al centro di un praticabile ingombro di poltrone, divani, specchi, c’è persino un’auto d’epoca, una Fiat Balilla nera fiammante, troneggia una enorme sfera che non smette mai di ruotare: specchio e replica della nostra Terra, punto di proiezione di galassie e fuochi fatui, immagini d’astri, liquide e colorate. Un ideale stargate dove, senza limiti, nello spazio si potrebbe entrare e uscire rischiando di finire tutti risucchiati dentro un tourbillon, attori e pubblico, musicisti e coro.

La scenografia di “Agamennone”, da “Orestea” di Eschilo, regia di David Livermore al teatro Ivo Chiesa di Genova (foto di Michele Pantano)

Il potere, la giustizia, la religione e il Fato, gli Dei e le vicende familiari degli Atridi dentro una catena di vendette e sangue, ecco i temi turbolenti che Eschilo evoca e Livermore rilancia senza nulla togliere all’originale, arricchendo di immagini pop un’opera complessa di suo e che già ai contemporanei del V secolo a.C. provocava più di uno spunto di riflessione. Allora gli Ateniesi erano freschi reduci dalle Guerre Persiane ma circolavano già i germi di una nuova guerra civile (quanti punti in comune! Ora si combatte nel cuore dell’Europa, in Ucraina a causa di un’aggressione perseguita dalla Russia governata dal despota Putin). E poi c’è anche quell’Aeropago che, esautorato dai suoi poteri politici dalla riforma di Efialte verrà limitato in modo esclusivo ai delitti di sangue. E’ il primo tribunale della Storia, lo stesso dove tutto avrà una fine apparente con il giudizio su Oreste macchiatosi di matricidio; ritenuto infine non colpevole grazie al voto decisivo di Atena. E’ comunque sempre la giustizia il filo che avvolge e tiene legati assieme i tre episodi solleticando anche noi contemporanei. Non è forse attorno a questa che continua a girare anche la nostra storia? Ma quale giustizia? E per chi? Sempre esorcizzata e sempre fuggente. “Orestea” o della giustizia impossibile. “Orestea”, dell’inutile complessità del male. La tragedia di Eschilo a distanza di migliaia d’anni continua a sollevare dubbi e quesiti. Si sta così vicini al nostro presente che quasi confondiamo. L’ieri è simile all’oggi. E il domani? Non è dato sapere. O, forse, come aveva intuito Pasolini nel suo “Pilade”, atto teatrale impossibile _ che Giorgina Pi ha, con efficacia, allestito settimane fa all’Arena del Sole di Bologna per conto di ERT, riuscendo a soffiargli vita e drammaticità teatrale laddove era impensabile _ sta nel continuare ad allungare quella scia di sangue e vendette che forse non si esaurirà mai?

Agamennone (Sax Nicosia) al rientro da Troia incontra ad Argo la moglie Clitemnestra interpretata da Laura Marinoni (foto di Tommaso Le Pera)

D’altronde, tutto è già dato ed è stato detto nel primo dei suoi atti, “Agamennone”, a sua volta conseguenza e frutto del male piantato in precedenza. E’ il sacrificio della figlia Ifigenia che il re Atride ha compiuto in nome della Ragion di Stato: ingraziarsi cioè gli Dei nella missione degli Achei alla conquista della città di Priamo. Questo sarà l’inizio della faida familiare. Il marchio indelebile da cui non si può fuggire.

“Das Musikalische Opfer” di Bach diventa così la colonna sonora di un’allucinazione: due figure spettrali di Ifigenia (Aurora Trovatello e Ludovica Iannetti) uscite da un film di Tim Burton appaiono e scompaiono improvvise, vagando per la scena come un tragico memento. Sarà proprio il fantasma di Ifigenia a ricordare il vulnus alla madre Clitemnestra (una epica, magnifica e tragica Laura Marinoni) spingendola all’uxoricidio, quando da Troia, Agamennone (Sax Nicosia) tornerà vincitore nella patria Argo portando seco, come concubina, la bella e terribile Cassandra (una ispirata Linda Gennari) condannata a essere profetessa non creduta di sventure:

Cassandra (Linda Gennari) mentre profetizza la sua fine per mano di Clitemnestra in “Agamennone” da “Orestea” (foto Federico Pitto)

“Ahimè, c’è un fuoco che mi viene addosso, ahi, Apollo Liceo, la leonessa con due piedi che dormiva col lupo, quando il nobile leone era assente. E’ da lei, dunque, che uccisa sarò: misera me che sta già preparando il veleno che per me ha destinato, mentre affila il pugnale con il quale trafiggerà il suo uomo, per la colpa di avermi dato asilo in questa casa. Via questo scettro e questi da profeta, nastri che mi ricadono sul collo: oggetti ormai sol di derisione, vi accompagni la mia maledizione…”

E‘ Clitemnestra, l’autrice del misfatto, in complicità con l’amante Egisto (Stefano Santospago). Uccide il marito, l’eroe di Troia, dopo averlo imprigionato nella vasca da bagno, avvolgendolo in una rete e scannandolo con un coltellaccio. Dopo sarà la volta di Cassandra stessa. La profezia è compiuta. Perfetto nel suo esser tragico, “Agamennone”, è il momento centrale dell’intera “Orestea”. Eliminato il consorte Clitemnestra ne rivendica il gesto come atto di vendetta e liberazione dovuto alla figlia Ifigenia.

Il primo tempo è così volato in un baleno, grazie al ritmo preciso di coro e attori. Un melodramma sostenuto in modo originale e stimolante dalle musiche originali di Mario Conte eseguite dal vivo. Un puzzle congegnato di suoni e rumori, di note frantumate, voci registrate e loop elettronici che costruiscono il climax giusto di sospensione e accelerazione del dramma.

Clitemnestra (Laura Marinoni) uccide Agamennone (Sax Nicosia) nella trilogia di “Orestea”, regia di Davide Livermore (Foto di Federico Pitto)

La fine è una caduta rovinosa, di quelle che fanno rumore e mostrano un mondo capovolto al proprio interno. C’è qualcosa di cupo e sinistro nella resa dei conti tra Clitemnestra e Agamennone. Come se ci fosse non solo la vendetta attesa in nome di una figlia uccisa dal padre ma qualcosa di più ampio, riguardante le radici stesse di una collettività che vede una società matriarcale sola al comando. Guarda caso Agamennone sarà eliminato dopo il suo tronfio discorso, andando ignaro verso la fine come un agnello sacrificale, rassicurato dalla sposa che, professando amore, ha già ordito l’inganno.

Tutto poi verrà rivoltato, ancora una volta -seguendo un destino scritto nel sangue-nelle successive stazioni “Coefore” e “Eumenidi” rappresentate assieme senza soluzione di continuità: sono gli atti forse più squisitamente politici dell’opera. Il primo dei due colloca al centro Oreste il vendicatore (Giovanni Sartori), colui che è giunto in Argo con l’amico Pilade (Gabriele Crisafulli) destinato a riscattare il padre, raccoglierne l’eredità e il bastone di comando, ripristinando il dominio patriarcale. “Coefore” , tragedia di mezzo avanza veloce e insinuante. Attorno al tumulo di Agamennone, le Coefore, portatrici di libagioni per i defunti raccontano come è cambiata Argo da quando non c’è più il suo re. Qui avviene la rivelazione e il riconoscimento, tra Elettra e il fratello Oreste, proprio dove giace il loro padre. Alla sorella rivela di essere stato spedito lì da Apollo (Giancarlo Judica Cordiglia). Ha vissuto dieci anni lontano da Argo e ora, ormai adulto, è tornato in abiti da pistolero per fare giustizia come un angelo vendicatore. Il primo della lista sarà il tiranno Egisto, amante di Clitemnestra che, come nel selvaggio West, cadrà stecchito dal colpo di una Colt. Poi sarà la volta della madre.

Oreste (Giuseppe Sartori) incontra la sorella Elettra (Anna Della Rosa) in le “Coefore” da “Orestea” (Foto Maria Pia Ballarino)

La scena è invasa dal ghiaccio quasi a voler congelare il momento finale. Clitemnestra scende dalla elegante automobile nera _ costumi e decor occhieggiano gli anni Trenta _ indossando un abito che ha i colori della rugiada mattutina e dei fiocchi di neve, brillanti che le illuminano il viso candido e smunto. E’ una ideale parete di ghiaccio anche quella che divide il figlio e la madre che tenta di salvarsi confondendo Oreste, mostrandogli il seno che l’ha nutrito. Il matricida ha un attimo di sbandamento e, rivolgendosi all’amico Pilade chiede: “Cosa devo fare? Non posso a questo punto uccidere mia madre”. L’amico, pronunciando le uniche sue battute nel dramma dirà : “Dove mettiam gli oracoli d’Apollo, e dove i vaticini della Pizia, e i giuramenti sacri, dimmi dove? Guai all’inimicizia con gli dèi, è meglio aver nemici fra gli umani”.

Il destino di Clitemnestra è segnato. Non prima di aver evocato le Erinni, le terribili Furie che da subito perseguiteranno Oreste fino al Tempio di Apollo a Delfi, dove Oreste cercherà protezione, purificazione e assoluzione per il suo matricidio e poi ad Atene sull’Acropoli, davanti al tempio di Atena. E questo è già il cuore dell’ultimo pezzo della tragedia.

“Eumenidi” vedrà un totale corpo a corpo tra le aggressive Furie abbigliate in tuniche di lamè dorato (Maria Lalla Fernandez, Marcello Gravina e Turi Moricca), Apollo in vesti di avvocato e la Dea Atena (una autorevole Olivia Manescalchi) che affida il destino di Oreste alla nuova istituzione: un tribunale dove i giudici dovranno discutere e decidere la sorte dell’imputato. Sarà proprio grazie al voto della Dea, quello che farà la differenza a salvare Oreste e trasformare le Erinni in “Eumenidi” o le benevole.

Clitemnestra (Laura Marinoni) qualche attimo prima di andare incontro al suo destino in “Coefore/Eumenidi”(Foto Maria Pia Ballarino)

In questi ultimi passaggi c’è la registrazione en passant della nascita dell’assemblea e del giudizio democratico. Due atti fortemente politici che in controluce indicano la crescita della società civile, l’evoluzione della “polis” e l’inizio della decadenza degli stessi dei, come d’altronde è mostrato anche nell’allestimento di Livermore (vedi il confronto delle differenti concezioni di giustizia nello scontro Erinni-Apollo). E che suggerisce, per quando riguarda la figura di Oreste, un deciso cambio di status. Prima, giovane appartenente esule di una famiglia in via di disfacimento (addirittura “venduto”: questa è stata la sua accusa a Clitemnestra) poi, vendicatore e, pure, erede che reclama per sé il diritto alla proprietà e ai beni paterni e familiari. In questa decisione c’è condivisione con la sorella Elettra (anche lei in un certo senso esule come Oreste, ma in patria). E c’è persino Agamennone il cui spettro si materializza attraverso il filmato proiettato nella sfera al centro della scena. In questo punto si innesta il lungo “commos” delle Coefore che mettono in sintonia la Terra con il Cielo: la vendetta, presagita già nel sogno di Clitemnestra, è giusta e ineluttabile. Oreste, diventato matricida, ma anche colui che la famiglia l’ha definitivamente azzerata, come un qualsiasi abitante della polis, ora non può far altro che sottoporsi al rito processuale e al giudizio. Il salto antropologico è consistente: si passa dal mondo mitologico di Omero alla democrazia. La percezione netta è che la tragedia familiare non possa restare confinata a fatto privato all’interno di un clan ma debba investire direttamente la comunità nel suo complesso. A partire dal tema dell’esercizio del potere il dramma privato è quindi intimamente connesso a quello della città dove si vive, ad Argo come ad Atene. Democrazia sì, ma imperfetta. Quando il tribunale che deve processare il matricida Oreste si mette di lato per il doppio voto di una Dea mostra per intero la sua fragile inadeguatezza. Difficile giustizia, spesso non realizzata che lascia tante pagine aperte anche in Italia, come suggeriscono i filmati che vengono rilanciati verso la fine dal globo che gira: da Moby Prince alle stragi di Falcone e Borsellino, da Ustica al ponte Morandi. Difficile giustizia ma necessaria. Da coltivare e difendere a ogni costo, giorno per giorno.

Il teatro ha lanciato ancora una volta il suo monito rendendo esplicito un interrogativo che spetta alla società degli uomini risolvere. La parte più importante è la composizione delle azioni o dei fatti, come sosteneva Aristotele nella sua “Poetica”. La tragedia, scriveva il filosofo greco “è infatti imitazione non di uomini ma di azioni e modi di vita; non si agisce dunque per imitare i caratteri, ma si assumono i caratteri a motivo delle azioni; pertanto i fatti cioè il racconto sono il fine della tragedia, e il fine è di tutte le cose quella più importante.”

“Orestea” si replica al Teatro Carignano di Torino fino al 6 aprile. “Agamennone” sino al 2 aprile, “Coefore/Eumenidi” dal 1 al 6 aprile. Mentre la maratona completa delle tre opere si terrà il 1 e il 2 aprile.

Oreste (Giuseppe Sartori) circondato dalle Erinni in “Coefore/Eumenidi”. Dietro c’è (Olivia Manescalchi) Atena  (Foto di Federico Pitto)

 

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