Teatro
Oida, o della consapevolezza del perturbante
PALERMO. Baccanti di Euripide è un capolavoro assoluto e, in quanto tale, è un’opera che continua a colpire fortemente il pubblico e misteriosamente a parlarci: è l’alterità perturbante che viene a trovarci e no, non ci prende alle spalle, ma ci avvisa, ci chiede di stare attenti, di guardare bene. E poi ci strattona, afferra, divora. Per provare a metterlo in scena, ripensarlo, interpretarlo, riscriverlo, occorre essere forti e forse un po’ folli, sicuramente disponibili a farsi attraversare – qui e ora – da quell’alterità perturbante che è il dio Dioniso. Raccontiamo questa volta di Oida, una riscrittura di Baccanti operata a Palermo da Giuseppe Provinzano (regista) e da Sergio Beercook (drammaturgo, musicista e interprete). Uno spettacolo interessante, con una forte e giustificata sostanza musicale e condotto con la necessaria serietà che un’impresa del genere richiede. Lo si è visto sulla scena di Spazio Franco a Palermo il 25 marzo con in scena, oltre allo stesso Beercock (nel ruolo di Dioniso), quattro performer che si sono formati (teatro, canto, musica, danza) nel progetto d’inclusione sociale di giovani migranti “Amunì”, e che oggi dimostrano di aver raggiunto un’apprezzabile maturità artistica: Naomi Adeniji, Julia Jedlikowska, Jean-Mathieu Marie e Alfred Sobo Blay. La scelta del titolo di questa riscrittura è intelligente e indica il punto da cui partire per interpretare questo lavoro: oida è un perfetto greco, una forma verbale che significa “io so per (o dopo) aver visto”, “io sono consapevole perché ho visto”. Uno stato non un’azione. Penteo il re di Tebe, il tiranno, l’uomo d’armi e di potere, il politico demagogo, il maschio del branco, vorrebbe proibire, addirittura vietare con la forza il diffondersi del culto di Dioniso. Egli vede con gli occhi quel che accade nella sua città, ma in realtà non vede, non lo capisce: è accecato dalla sua ideologia autoritaria e normalizzatrice. La vista come fatto fisico però non basta. Dioniso è il dio dell’irrazionale, della natura selvaggia, del caos, del teatro e della danza, di una sessualità vitalistica che non si sottomette a nessun moralismo o autoritarismo di genere, il dio del vino ancora e dell’entusiasmo orgiastico e, proprio per tutte queste caratteristiche e attribuzioni, è il dio che maggiormente induce a vedere la realtà profonda dell’umano, oltre qualsiasi schermo culturale, normalizzante, castrante, consolatorio. È solo così che si vede e si capisce per davvero ciò che è umano. Ecco perché usare “oida”, il verbo della consapevolezza che indica il movimento chiave e il conflitto insanabile di questa tragedia ed ecco perché è giusto partire da qui per interpretare (anche) questo spettacolo. Questa è la dialettica del testo euripideo e Beercock e Provinzano si fanno attraversare da essa, la ripensano nel nostro difficile presente culturale e politico e la riscrivono per la scena in una forma che, oltre agli elementi di cui sopra include, giustamente, una forte presenza della tecnologia soprattutto nella dimensione musicale. Una scelta legittima e conducente? Sì, perché forse riesce a spiegare anche l’attuale torsione individualistica dell’esperienza dionisiaca: lo spettacolo inizia fuori dal teatro, con i performer che si muovono tra il pubblico e poi sulla scena, una danza ipnotica ma singolare, la musica non esce dalle cuffie che indossano. Quando anche il pubblico inizia a sentire la musica allora si è già in medias res, si è già operato il salto nella misteriosa e pervasiva ritualità dionisiaca che si confronta con il potere di Penteo ed è un confronto che finisce nel sangue. Si tratta di uno spettacolo interessante, già sul versante della costruzione formale, ma basato su una lettura che, al di là delle parole, privilegia la sostanza politica e culturale della vicenda tragica euripidea. Penteo in questa lettura/formalizzazione è una «personalità politica della città (come in tutte le città) che, nel goffo tentativo di ingraziarsi la popolazione, tenta di scoprire cosa stia succedendo, ordinando maldestri divieti, coprifuochi e violenze contro chiunque fosse ritenuto sospetto di star minando l’ordine costituito. Non ci riuscirà, peccherà di Ybris, perché incapace di vedere oltre: il suo interesse, il suo conoscere, il suo comprendere, il suo accettare». Vengono in mente esemplari di politici e politicanti troppo, veramente troppo poveri di spirito, scarsi (di risorse umane e culturali) si direbbe se si potesse usare un colloquialismo che però rende perfettamente l’idea, troppo miseri per essere messi in relazione con la sublime grandezza del dramma euripideo e anche con la serietà con cui questa prova viene affrontata. Laddove, al contrario, non è altrettanto sviscerata e meditata – e conseguentemente sviluppata – la dimensione sacra della violenza che segue al tentativo di divieto del dionisismo o meglio al rifiuto di quell’alterità perturbante (e viva ancora oggi) che appunto il dionisismo implica e simboleggia anche sul versante spirituale e religioso. È una perdita per questo spettacolo oppure, forse, un’importante eccedenza di senso di cui questo ensemble ha sufficienti risorse intellettuali e artistiche per occuparsi ancora in seguito.
OIDA
Palermo Spazio Franco 25 marzo 2023. Drammaturgia di Beercock (da “Le Baccanti” di Euripide). Regia di Giuseppe Provinzano. Interpreti: Sergio Beercock, Naomi Adeniji, Julia Jedlikowska, Jean-Mathieu Marie e Alfred Sobo Blay. Luci e suono di Gabriele Gugliara. Movimenti scenici di Simona Argentieri. Costumi: Silvia Pirrotta. Assistente alla regia: Rossella Guarneri. Tutor e coordinamento: Diana Turdo. Organizzazione: Agnese Gugliara Musiche di Beercock. Realizzato con il sostegno di Fondazione Altamane Italia Otto per Mille Valdese, la Regione Siciliana e in collaborazione con 800A Records. Produzione Amunì Babel e NutrimentINPeriferia. Crediti fotografici: Nayeli Salas.
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