Teatro
Nel triangolo delle Bermuda, a Santarcangelo
Santarcangelo, vigilia di chiusura. Ultimi scampoli di un festival a un passo dal cinquantenario. Chiusura senza il glamour di una volta, che richiamava una partecipazione militante in virtù della fama di essere uno degli appuntamenti più amati e attesi della scena nazionale e internazionale. Adesso anche specchio riflettente di quello che l’italica scena riesce a trasmettere in termini di politiche culturali, capacità produttive e strategie di lungo respiro. Archiviate da tempo le stagioni del passato assolve alla funzione di essere uno dei luoghi di riferimento, soprattutto per le giovani compagnie e per chi ancora cerca emozioni e voglia avantgarde (ma di questa comunque ne esiste pochina in tutta la penisola dove, a parte i vecchi leoni, gli emergenti, nonostante la crescita di vetrine varie, fanno fatica a crescere e imporsi …). I luoghi “sacri” del festival sono più o meno sempre gli stessi _ dallo Sferisterio al Lavatoio, la grande piazza centrale e la mitica trattoria Zaghini celebre per la pasta lavorata a mano, ha sfamato intere generazioni di teatranti _ come lo struscio del fine settimana che qui inevitabilmente richiama gitanti dalla vicina riviera assieme a spettatori vaganti, catalogo in mano, alla ricerca degli eventi da seguire. I numeri diffusi a fine rassegna dimostrano che Santarcangelo dei Teatri continua a restare nel cuore di chi ama il teatro. Questo anno sono state _ dichiara l’organizzazione _ oltre 24 mila le presenze, dodicimila e più i biglietti venduti nell’arco di dieci giorni . Gli eventi programmati 251, di cui 111 gratuiti. Quarantaquattro le compagnie invitate, di cui 34 italiane per un totale di 152 repliche. Interessanti i dati diffusi dall’Osservatorio sullo spettacolo presso l’Università di Urbino (Discui) che, attraverso 823 questionari e interviste realizzate lo scorso anno ha verificato una crescita significativa dei giovani under 35, praticamente quasi la metà dell’audience totale.
Questa è l’ultima edizione firmata dalla direzione artistica di Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino che a pochi giorni di chiusura deve registrare un altro buon risultato. Si tratta della Comunità Europea che nell’ambito di Europa Creativa riconosce la linea di finanziamento per Be Part-Art beyond Participation,progetto di cooperazione quadriennale presentato dal festival di Santarcangelo capofila di un network di 10 partner. Il progetto, da ottobre 2019 a settembre 2023, porterà avanti una serie di attività dedicate alla partecipazione pubblica e alla pratica artistica nei 9 paesi coinvolti con un budget di quasi tre milioni di euro. Il progetto prevede, produzioni, workshops e ricerche finalizzate alla costruzione di un network internazionale.
Seguendo un trend ormai nazionale, anche nell’ultima parte del festival, prevale la danza, questi ultimi anni in clamorosa e positiva crescita in Italia, con alcune realtà davvero competitive anche a livello internazionale. E’ il caso dei romani Mk, diretti dal coreografo Michele Di Stefano che davanti alle tribune dello Sferisterio, stracolme di pubblico, ha presentato “Bermudas”, uno spettacolo di contagiosa freschezza creativa che unisce alta professionalità e padronanza tecnica a un interessante fluire coreografico. Sulla scena è un alternarsi ordinato ma frenetico di una decina di danzatori di diversa età e attitudine abbigliati con magliette e calze coloratissime, a suggerire l’idea di un altrove tropicale. I performer si sfiorano impercettibilmente, impegnati in una sequenza di un pugno di movimenti e passi fatti in solo e in figura di trio o quartetto che si uniscono e si disfano in modo dinamico. Accompagna questo singolare corpo ballettistico, all’interno del quale ci sono delle vere eccellenze, un amore viscerale per una musica calda ed energica, fatta di ritmi ben cadenzati e precisi . Una componente essenziale e strategica per il dispiegarsi sapiente dell’alfabeto messo in scena dai danzatori, quasi criptico e misterico. Come è il riferimento nel titolo al celebre triangolo delle Bermuda dove, la leggenda racconta, il mare ha inghiottito misteriosamente navi ed aerei.
Un arcipelago che fa scomparire e restituisce, trasformandole, le figure coreografiche in emozioni. A scandire come un orologio “Bermudas” sono i ritmi ipnotici di “Existence in The Unfurling” di Kaitlyn Aurelia Smith, “Trasnsport” di Juan Atkins e Moritz von Oswald remixato da Carl Craig, dj Deep e Roman Poncet, fino a “Second Hand” degli Underworld. E’ un intreccio stretto tra impulsi sonori e sciabolate di ritmo, corpi in movimento, a momenti quasi in trance (che richiamano alla memoria la danza dei dervisci) fino al climax finale, caldo e accogliente, che assume i colori di un’alba infuocata, con le silhouette dei danzatori in controluce. Un lavoro raffinato ed elegante con danzatori di bella classe, capace di trascinare ed emozionare: tra le cose migliori degli ultimi mesi della danza made in Italy.
Un altro giovane coreografo, Marco D’Agostin è autore del solo autobiografico “First Love”, dove il primo amore è quello di un adolescente che negli anni Novanta è diviso dalla passione per la danza e per lo sci di fondo. Sulla scena D’Agostin rivela i suoi sogni di ragazzo e li incastona con tenerezza nel ricordo, tradotto con sapienza da radiodramma, con alcuni convincenti momenti di reportage sportivo della impresa realizzata alle Olimpiadi di Salt Lake City nel 2002 dalla campionessa piemontese Stefania Belmondo. D’Agostin tesse così un racconto intimo e privato immerso nella pubblica risonanza dell’evento sportivo, cucendo in modo gentile e appropriato una trama affettuosa tra corpo e voce. Entrambi in un solidale abbraccio che fa allargare il cuore fino alla caduta leggera e soffice della prima neve.
Ispirato allo storico film “Kiss” realizzato da Andy Warhol cinquanta anni fa, nel 1963 è l’omonima performance ideata da Silvia Calderoni che ha voluto attorno a sé una dozzina tra ragazze e giovanotti in una palestra nella estrema periferia del paese a ripetere quei baci che allora andavano contro la morale comune e perbenista della società bigotta e puritana americana. E, soprattutto, contro quei pochi secondi con i quali la cinematografia di Hollywod liquidava la pratica di un bacio che non doveva urtare o provocare traumi. Warhol riprese tredici coppie che si baciavano: coppie etero, gay e anche un coloured e una donna bianca. Allora i baci potevano durare negli schermi 30 secondi, il geniale artista li filmò di tre minuti. Calderoni fa ripetere così quei baci in una sorta di loop continuo dove si alternano coppie omo ed etero, coloured etc.. Ma sono passati più di cinquanta anni e l’azione forse ha perso gran parte di quelle motivazioni politiche se non, forse, la voglia di fare un po’ di storia delle conquiste nel campo dei diritti civili. Va tutto bene, ma dal punto di vista teatrale sale la noia.
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