Teatro

Nel circo di Otello va in pista il sentimento

19 Ottobre 2019

È forse uno degli spettacoli più belli – per intensità, profondità, consapevole amarezza – che abbia visto negli ultimi tempi. È un Otello, particolare, anomalo e delicatissimo. Uno Shakespeare ambientato in un improbabile circo: che è circo dell’umano, giocoleria del cuore e dell’animo, con domatori di sogni e acrobati del sentimento. Uno di quei circhi con lo chapiteau un po’ rattoppato, semplice e bellissimo, che sarebbe certo piaciuto a Fellini.

È di Otello Circus che sto parlando, della compagnia La Ribalta diretta da Antonio Viganò: una compagnia che si direbbe oggi “inclusiva”, formata com’è da persone con disabilità, compagnia super-professionale, capace di spettacoli di grandissimo nitore e qualità, che qui tocca uno dei suoi vertici creativi e interpretativi.

Rodrigo Scaggiante in Otello, foto di Vasco Dell’Oro

Viganò ci ha abituato, da anni – sin da quel lontano Fratelli, o Da Nessuno sa di noi, o ancora Personnages, ispirato ai Sei Personaggi di Pirandello, fino al più recente Il Ballo – a un teatro immediato, popolare, e al tempo stesso raffinato, di struggente e lieve poeticità. La presenza in scena di attrici e attori che non esitano a mettere in gioco la loro “fisicità” così fortemente connotata, e dunque viva e vera come non mai, rende gli esiti scenici dei veri e propri motori di riflessioni che spalancano abissi sul senso della vita, dell’esistenza e della rappresentazione stessa. Il gioco metateatrale (o meta-circense) di questo Otello scava nei sotterranei dell’identità individuale, affonda in una spirale di tenerezze e amori, di parole non dette e di destini prestabiliti. Il dramma della gelosia, qua, è la rappresentazione eterna di uno stare al mondo con difficoltà, tra mille incomprensioni, è affrontare il rischio senza remore per l’ennesima replica di una storia che tutti conoscono e che amaramente si reitera nel tempo. È un affondo aguzzo e crudele sulla faticosa accettazione e costruzione del Sé.

Il pubblico è accolto in un’arena da circo, appunto: le tribunette tutto attorno, la pista tonda, e giù un lampadario di foggia antica, calato al centro della pista, illumina lui, Otello, seduto in terra, marionetta pasoliniana che non sa cosa siano le nuvole della gioia. Aspetta che si compia il rito, che inizi lo spettacolo. Rodrigo Scaggiante, Otello, è straordinario: è massa, è corpo impacciato, è parole che non vengono come dovrebbero. La sua difficoltà a dire è la stessa di un Otello che non sa destreggiarsi, che non sa liberarsi dal gioco di Jago. L’orchestra AllegroModerato (composta anch’essa da musicisti con disagio psicofisico e non, assieme a cantanti professionisti) suona dal vivo quell’Otello di Giuseppe Verdi che assume sonorità e ritmi più laschi, a volte volutamente sgraziati, tirati come in un vecchio grammofono che evoca, più che riprodurre.

 

Foto di Marzia Rizzo

C’è un imbonitore che dà il via alla storia: in gioco non c’è la promozione a Luogotenente, ma la direzione del circo stesso. E se pure in qualche passaggio (come quello del celebre fazzoletto) la drammaturgia è un po’ forzata, la vicenda comunque prende il volo, proprio come quella Desdemona acrobata, la bravissima Marika Johannes, che riesce a volteggiare leggiadra su una semplice riga di scotch piazzata a terra. Non c’è bisogno di un trapezio sospeso in cielo, quando basta una piccola altalena per svelare i pericoli del desiderio: si cade, senza rete, ogni volta.

Il piccolo popolo del circo recita per il pubblico: i bravi clown, il domatore, fanno egregiamente il loro mestiere e mentre Jago (Matteo Celiento) lanciatore di coltelli attenta alla vita del moro, una minuta e commovente Emilia partecipa al destino di tutti, nascondendosi in un mare di capelli che le impediscono di vedere.

Ma è sempre “Lo spettacolo d’arte varia di un uomo innamorato”, come cantava Paolo Conte: è sempre Otello, con la sua disperata incapacità a star solo, con quella sua timida forza, con quel suo ottuso, maschile, violento terrore di perdere l’amore.

E qui, come si diceva, c’è di più: ci sono vite, esistenze, corpi che svelano altro. Ci sono attori e attrici che sanno donare la grazia lieve del vero a una storia antica, senza retorica né facili sentimentalismi.

 

Foto di Marzia Rizzo

La metafora scenica ed esistenziale del circo coglie nel segno: lo “spettacolino” clownesco dell’esistenza cui tutti siamo chiamati – spettatori o attori – è impregnato di stupide fantasie, di amori non corrisposti, di desideri commoventi. “Un bacio, un altro bacio, un bacio ancor…”.

Guardiamo, desideriamo, sogniamo: sotto i riflettori facciamo numeri da veri giocolieri. La compagnia di circensi lo mostra con fredda adesione, con amara consapevolezza. Lo spettacolo gela il sangue.

Otello Circus – quante varianti, quante versioni di questo dramma? C’è un bel libro di qualche anno fa, “La ricezione di Otello”, di Shaul Bassi, che prova a darne conto – è dunque metafora che, sfrondata di tutto, svela l’essere umano per quel che è, ossia la nuda esistenza con tutte le sue contraddizioni.

E lo fa, nella bella regia di Antonio Viganò, proprio grazie al compatto gruppo di interpreti. Come scriveva Renato Palazzi, a proposito di un’altra esperienza: “Sono dei bravissimi attori perché recitano se stessi, ma per recitare se stessi devono essere dei bravissimi attori”…

Dunque mi piace nominarli. Oltre ai già citati Scaggiante, Johannes e Celiento, sono infatti da menzionare tutti i protagonisti del lavoro: Mirenia Lonardi (la raffinata e delicata Emilia), Jason De Majo (atletico e coreografico Cassio) in coppia comica con Michael Untertrifaller , Daniele Bonino (il domatore imbonitore) e Rocco Ventura (“oneman band” e inserviente del circo). Lo spettacolo, prodotto da La Ribalta assieme al Festival milanese “Da vicino nessuno è normale”, non è nuovissimo, ha mosso i primi passi nel 2017, ma l’ho visto solo qualche sera fa, a Bolzano, in mezzo a un pubblico partecipe, che ha tributato un lungo applauso a tutti, magari asciugandosi qualche lacrima. Io ci son caduto dentro, a questo circo, con tutto me stesso.

 

(L’immagine di copertina è di Vasco Dell’Oro)

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