Teatro
“Misericordia” di Emma Dante, quasi un musical
Emma Dante torna con rinnovata energia ai luoghi già scardinati della famiglia, sua importante stazione di partenza, dal 2001 al 2004 (da “mPalermu” e “Carnezzeria” fino a “Vita mia”), avendo però alle spalle ormai un lavoro importante di scavo dentro il tragico contemporaneo che, dopo gli allestimenti de “Le Sorelle Macaluso” (premi Ubu per la regia e come miglior spettacolo 2014) e “Bestie di scena”, le consentono di avere uno sguardo più distaccato, non certo meno impegnato, ma compassionevole verso gli ultimi. Le donne, in questo caso tre femmine del Sud che di giorno sferruzzano la lana e la sera mettono in vendita i propri corpi marchiati dal tempo. Donne fragili e pure forti che si sobbarcano la fatica del vivere quotidiano segnate dall’impossibilità di conoscere l’amore. Quello vero e profondo che scassa l’anima e porta con sé una illusione di normalità, rendendo persino meno amaro sopravvivere capitò a una loro compagna, Lucia, che però d’amore morì. Ad ucciderla fu il suo abituale frequentatore del quale portava in grembo un figlio. Ammazzata dalle botte di un maschio che con violenza maledetta imprime il suo sigillo di dominio. Nessuno allora fermò la furia omicida. Nessuno chiamò soccorso. Immobilizzate dalla paura e una atavica sottomissione, nessuna delle tre compagne, testimoni mute fermò la violenza dell’uomo che lasciò il segno anche al figlio Arturo, nato settimino e autistico e che dal giorno in cui Lucia partorì e morì hanno tirato su nel loro tugurio.
E’ quindi una storia di “Misericordia”, quella che la compagnia di Emma Dante, Sud Costa Occidentale ha ripreso in questi giorni dopo il fortunato debutto di un anno fa al Piccolo Grassi di Milano (e la tournée interrotta dalla pandemia) ripartendo questi giorni con il suo giro di repliche dalla Sardegna, ospite del ciclo “La Grande Prosa” del Cedac con appuntamenti al teatro Massimo di Cagliari e al Comunale di Sassari. L’impianto drammaturgico della pièce, agile e intensa, attorno all’ora di durata, segnata come al solito da un alto ritmo è di tipo favolistico, assai consono a questa regista e autrice siciliana che guarda a Basile piuttosto che a un Andersen. Ambientato in un vicolo palermitano, che potrebbe essere nel quartiere di Sant’Oliva (lo stesso di “Mischelle” del 2006) è ricalcato sul “Pinocchio” di Collodi che richiama crudelmente già nel nome del padre assassino, Geppetto, di mestiere falegname. Arturo è un ragazzo magrissimo e asciutto, stralunato e ignaro Peter Pan che esplode a tratti con esuberantejoie de vivre: si muove e si agita in una danza aerea quasi fosse un uccello che apprende a battere le ali. E’ uno scoordinato Pinocchio, marionetta futuristica in cerca dell’ispirazione giusta per spiccare il volo (interpretato splendidamente dal danzatore Simone Zambelli). Vestito sommariamente dentro una tunichetta femminile, vecchia e stropicciata apre le braccia e le rinchiude sul petto, quasi a simulare un gesto di difesa ma anche voglia di abbracciare.
Su di Arturo, il volto incorniciato dentro una espressione di continuo stupore, vigilano le tre fatine, che sedute una accanto all’altra sferruzzano senza fermarsi. Nuzza (Manuela Lo Sicco), Anna (Leonarda Saffi) e Bettina (Italia Carroccio), quando non sono impegnate a litigare tra loro in un grammelot tra pugliese e palermitano, osservano inquiete e un po’ rapite quella danza che è come un movimento di liberazione interrotto o messo in pausa dai ritmi amari di un quotidiano poco indulgente alla gioia. Ed è una catena di flash back, piccole fulminanti di visioni che alternano ricordi con rabbia a struggenti ninne nanna, illuminate efficacemente da Cristiano Zucaro che, lasciato il fondo nel buio assoluto modella invece luci morbide sul centro del palcoscenico assai povero di ingombri, immergendo le attrici in una atmosfera onirica dai toni pastello dove il colore della carne si impasta con quello delle vesti. Carne esibita e offerta in parata notturna. Corpi d’esposizione che la notte diventano oggetti di desiderio sessuale, provocanti immagini di piacere. Metamorfosi di corpi segnati dalla vita, che al calar del sole con un accorto maquillage diventano merce da mettere in vendita in un siparietto che è quasi uno storto musical.
E’ un colpo allo stomaco invece il racconto di Anna che vide in diretta la furia di Geppetto abbattersi sul corpo di Lucia: lo racconta in un doloroso e veloce concatenarsi di parole che con il flusso di una gestualità rapida e nervosa diventa parossistica rappresentazione di amore e morte.Esplodono in aria i colori di balocchi lanciati verso il cielo da un Arturo festante nella confusione delle donne che rincorrono gli oggetti mentre sulla sequenza si spandono le note della colonna sonora scritta da Fiorenzo Carpi per il “Pinocchio” di Luigi Comencini.
Sono attimi di tenerezza materna che invadono tutte e tre le donne, il ricordo di un bambino che la sera, prima di dormire, vuole continuare a danzare, sino a prender sonno con il suono del carillon. Fate turchine, puttane e madri per misericordia. Con il cuore in gola assistono al momento dell’addio. Il giorno dell’ormai adolescente che dopo essersi abbigliato da sé si prepara a lasciare il tugurio per andare in un istituto che si occuperà di lui. Nuzza, Anna e Bettina gli affidano la valigia dei ricordi (dentro c’è una collana di Lucia, la madre scomparsa, un po’ di soldi e il carillon). Arriva il suono di una fanfara, per Arturo è giunto il momento di partire. E forse, non è un lieto fine.
“Misericordia” sarà di scena sino al 6 giugno al Metastasio di Prato, poi al Gustavo Modena di Genova (8-10 giugno), al teatro Fraschini di Pavia (!2 e 13 giugno), il 15 al Pergolesi di Jesi. Dal 16 al 23 luglio la compagnia si trasferisce al festival di Avignone in Francia, di scena al Gymnase Mistral e il 3 agosto al Castello di Tito Gobbi a Bassano del Grappa per il cartellone di Operaestate.
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