Teatro
Miracoli metropolitani: Carrozzeria Orfeo al Napoli Teatro Festival
Debutto il prima nazionale al Napoli Teatro Festival Italia per la nuova creazione di Carrozzeria Orfeo: Miracoli Metropolitani. La pièce, per drammaturgia e regia di Gabriele Di Luca con Alessandro Tedeschi e Massimiliano Setti, si sviluppa su un piano politico sociale a partire dal rapporto con il cibo, inteso come compensazione al dolore, alienazione di un Occidente sovralimentato e ripiegato su passatempi superflui. La solitudine degli individui, incapaci di relazionarsi in modo sano all’interno della comunità, il tema ambientale, affrontato con la consapevolezza della progressiva e inarrestabile decadenza a cui stiamo sottoponendo il pianeta, la disincantata visione di un universo popolato di meschinità, bassezze e intolleranze sono alcuni degli elementi che concorrono a costruire il piano grottesco del mondo stupido in cui si muovono i protagonisti: un mondo dove si ride tanto per non ridere affatto.
La scena si svolge in una vecchia officina riadatta a cucina per un ristorante d’asporto specializzato in alimentazione per intolleranti. Fuori, in quel mondo pieno di caos e contraddizioni, si scatena il panico per l’imminente esplosione delle fogne, ormai sature di rifiuti e inquinanti. L’umanità che sta per essere sepolta dai suoi stessi escrementi, non riesce a soffermarsi sui suoi pensieri e azioni malate e la fine di un mondo dominato dal capitalismo culturale e dal consumismo appare imminente.
Abbiamo intervistato il regista Gabriele Di Luca per avere qualche spunto in più su questo spettacolo che segna il ritorno della compagnia in scena dopo la pausa forzata del periodo di chiusura dei teatri.
Parto dalla domanda più banale: come e quando nasce l’idea di Miracoli metropolitani?
Miracoli metropolitani nasce in realtà in tempi non sospetti, a settembre, in “epoca pre virus”. L’idea era quella di sviluppare ancora di più la nostra drammaturgia, con più attori in scena, con una modalità, da tempo assente in Italia, di teatro contemporaneo di prosa fatto di tante voci, con una scenografia importante. Dando alla scena di oggi la dignità dei classici, cercando di intercettare un pubblico sempre più ampio. Allo stesso tempo l’idea si sviluppa a partire anche dal libro La sincronicità di Jung, il teorizzatore dell’esistenza degli eventi acausali, che non sottostanno alla rigida regola del rapporto causa/effetto. Le coincidenze noumeniche, che noi chiamiamo – e viviamo come – miracoli.
Quindi che rapporto c’è (se c’è) fra il clima di catastrofe imminente nel quale si sviluppa lo spettacolo e il nostro presente/passato recente, che ha visto messe in discussione in modo drastico le incrollabili certezze del mondo che “progredisce costantemente”?
Miracoli metropolitani nasce prima della pandemia, ma con un’inconsapevole preveggenza. Prima del tempo ho immaginato un mondo chiuso in casa, con una disoccupazione al 62% e un unico settore in forte sviluppo, quello del cibo d’asporto. Su questo si possono innestare e si sono innestati tanti ragionamenti, come quello dei riders quali nuovi schiavi di oggi, o il principio dell’ “alimentazione reality”, emblema del consumismo e dell’opulenza malata di una società decadente. Una malattia che si manifesta anche nelle intolleranze alimentari vissute come mode: l’Organizzazione mondiale della Sanità ha denunciato che più del 50% dei test per le intolleranze sono in realtà fasulli, ad esempio. Con il lock down chiaramente l’urgenza dello spettacolo si è fatta più pressante, in particolare rispetto al tema della solitudine che esiste da molto prima dei buoni propositi dei balconi e gli slogan “andrà tutto bene”.
La società di oggi rischia davvero di finire travolta dalle fogne? In molti si sono chiesti se dalla “clausura pandemica” saremmo usciti migliorati, con una nuova visione rispetto alla società e una più giusta ripartizione del peso dei rapporti umani. Non sembra però che molto sia cambiato in questo senso…
Il nostro modello sociale destinato alla catastrofe. Non esiste più un modello di virtù, di trascendenza, di sana socialità. È un mondo che è destinato a crollare. Questo mondo è andato oltre alle sue possibilità e dovrà rinascere da capo. Non c’è un elemento che faccia pensare ad una reale speranza, a un cambiamento che non sia solo di formule, di parole o di singole persone. Possiamo solo arginare la vita in questo momento.
La solitudine ancora una volta al centro della scena. I personaggi che non riescono a relazionarsi in modo “sano” fra loro raccontano molto del nostro modo di vivere oggi: l’ansia per la solitudine e allo stesso tempo l’incapacità di costruire delle vere relazioni… Può essere il teatro uno spazio capace di essere antidoto o parziale cura a questo?
Non so, il teatro può essere ancora un elemento virtuoso della società? Forse. Sicuramente prova almeno a creare una comunione, però è un semplice tentativo. Dobbiamo ricordarci sempre che anche il teatro non sempre è mosso da buona fede e onestà. Ci si riempie la bocca di parole sulla cultura, ma come tutte le cose della vita la cultura non è né giusta né ingiusta, utile o dannosa per la società. Esiste e si declina a seconda di ciò che si sceglie di fare.
Poi dobbiamo domandarci: chi viene a teatro oggi? Non è più un luogo di comunione sociale, di rito pubblico come nei tempi antichi. Il pubblico che viene a vedere i nostri spettacoli è già “d’accordo” con me e si può permettere il costo di un ingresso in sala. Anche questo conta. Parliamo a una medio borghesia alla quale posso proporre una visione che magari migliorerà le loro vite, li aiuterà ad esercitare pensiero. Parliamo a colleghi artisti, a persone che si possono permettere la cultura. Fuori la situazione è diversa. Quindi no, nella decadenza generale credo che nemmeno il teatro possa salvarci. Stiamo andando verso una fine irreversibile, continuando però a eludere i veri temi di possibile cambiamento. Comunque il mondo andrà avanti anche senza di noi.
Lo spettacolo è una coproduzione Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli-Teatro Bellini
Drammaturgia Gabriele Di Luca, regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi, con (in o. a.): Ambra Chiarello (Hope), Federico Gatti (Igor), Pier Luigi Pasino (Mosquito/Mohamed), Daniela Piperno (Patty), Beatrice Schiros (Clara), Massimiliano Setti (Cesare), Federico Vanni (Plinio). Le musiche originali sono di Massimiliano Setti, scenografia e luci sono di Lucio Diana, costumi Stefania Cempini.
Lo spettacolo è co-prodotto da MARCHE TEATRO, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli-Teatro Bellini, in collaborazione con il Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale”.
Ph. Laila Pozzo
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