Teatro
Metastasio, tra la quarta dimensione di Ahlbom e la follia di “Zucco”
PRATO _ Slittamenti progressivi di tempo e spazio. Entrando da un pertugio scoperto chissà come Jakop Ahlbom, regista olandese e la sua troupe, hanno violato la quarta dimensione mostrando le contraddizioni, le situazioni più grottesche e incredibili nel ben levigato “Strangely Familiar” spettacolo d’apertura della stagione del Teatro Metastasio e in prima assoluta per l’Italia. Metastasio, uno dei più bei teatri d’Italia. Ma non per via di lustrini e arabeschi. E non solo per i dipinti di Antonio Marini che affrescano la volta della sala, o per la sua buona acustica. Ma, soprattutto per l’attenzione data allo spettatore, che in sala si può dedicare anima e corpo a quello che accade sulla scena senza stress: fatto di teste troppo alte che impediscono una piena visione, vicinanze quasi intime con lo spettatore di lato. Niente di tutto ciò. La disposizione a raggiera delle poltrone si rivela geniale perchè collocate in diagonale con un comodissimo e ampio sgabello accanto di modo che lo spettatore può lasciare giacca ed effetti personali. Tutto pensato insomma per concentrarsi sul palcoscenico. E quindi, tornando all’oggetto del reportage, perfetto per accogliere uno spettacolo fuori dalle consuetudini, che permette di diffondere modi diversi nel fare teatro altrove. Senza fronzoli e primedonne, ma con un gusto della macchina artistica, il gioco a perdersi dentro scatole che una volta aperte rivelano altri universi. Massimiliano Civica che dirige con il sano intento di sperimentare novità, dice che l’attuale stagione del Met si chiama “Libera” invitando gli spettatori “a liberare la parte migliore di noi, a non avere paura di dichiararsi umani, ad avere il coraggio di accettare e confrontarsi con la complessità paralizzante del mondo di oggi, a schierarsi per i valori, contro la legge del più forte”.
Parole che sembrano ben adattarsi all’arte del geniale un po’ folle Jakop Ahlbom, che come altri suoi connazionali contemporanei -ma anche più lontani nel tempo- raduna in sé molti saperi e techniche. E’ regista e autore, ma anche acrobata e attore. Nei suoi allestimenti mette un pizzico di magia di illusionista, arte circense, danza e tanta musica. Esattamente come fa in “Strangely Familiar”, un meccanismo che incanta, avvincente e unico anche se alla fine non riesce completamente a “sfondare” ma regala momenti di alto, raffinato divertissment, grazie a un cast strepitoso. Una perfetta macchina di ritmo (Erwin Boschmans, Yannick Greweldinger, Silke Hundertmark/Inez Almeida, Fabio Maniglio, Luca Maniglio, Daphne Masé) e un gioco teatrale incredibilmente preciso nel costruire a tempi elevati momenti paradossali al limite dell’assurdo.
Al centro di questo spettacolo domina il gioco ad incastri e movimenti della scenografia firmata da Marlies Schot e Dowe Hibma con le precise luci di Yuri Schreuders che ai meno giovani immediatamente suggerisce uno spettacolo straordinario dell’avanguardia teatrale italiana quale fu negli Ottanta “Cuori strappati” della Gaia Scienza, alias Giorgio Barberio Corsetti, Alessandra Vanzi e Marco Solari. Non a caso un lavoro dominato da un forte sentimento e idea di “Gesamtukunstwerk”, che in tedesco si traduce in “opera d’arte totale”. Il riferimento è in pieno alle avanguardie storiche che poi proprio nei Paesi Bassi, patria di Jakop Ahlbom, lasciarono i segni più consistenti di una elaborazione di idee giunta fino ai giorni nostri. E comunque una linea di ricerca artistica nata da idee romantiche che da Wagner attraverserà poi tanta parte dell’architettura contemporanea fino a giungere a Walter Gropius e alla Bauhaus e che investe naturalmente anche le arti sceniche. Per quanto riguarda lo spettacolo in questione, “Strangely Familiar” possiamo riferirci ad una esperienza di arte immersiva. Che è poi quanto accade in scena.
Il plot è decisamente semplice e si riferisce a una grigia quotidianeità da “Les Temps modernes”, del lavoro di un travet di una grande azienda. Un impiegato, un numero. Senza lode e senza considerazione. Fino al giorno in cui assumono un suo sosia. Un alter ego che va esattamente in direzione contraria. Gode di lodi e interesse. Quanto cioè il nostro eroe avrebbe voluto ma non è accaduto. Da qui lo slittamento continuo di mondi paralleli che si sfiorano, entrano anche pericolosamente in competizione fino a sfiorare il non ritorno della catastrofe. La macchina scenica è il cuore di questo movimento obliquo di ufficio grigio dipinto con tinte verdastre anni cinquanta: ora è appartamento trasandato e un po’ squallido, in un attimo giardino gotico ed ufficio con scrivania e finestra sul vuoto. Il protagonista è diviso in due. Due gemelli danno spessore al protagonista e sono Fabio e Luca Maniglio. Il primo è oggetto di derisione da parte dei suoi compagni. Gli portano via la sedia, sottraggono i suoi lavori etc… Il resto degli attori è un corpo autonomo e solidale che tende a schiacciare il protagonista e togliergli identità, compiendo azioni di contemporary dance e mimo. In modo veloce e quasi parossistico. Nel frattempo, uno dietro l’altro, si sommano i cambiamenti di spazio e azione, un gioco da far meraviglia. Un ascensore al centro della scena si apre e simula il saliscendi. I sosia si incontrano e riconoscono, lavorano uno di fronte all’altro fino a guardarsi in fondo agli occhi.
Filo conduttore di tutto l’evento teatrale una colonna sonora elettro “umorale” curata da Leonard Lucieer, Jaïm Sahuleka e Teun Beumer, assolutamente incollata ai movimenti dei danzatori-attori fotografa quello che appare il passaggio da una dimensione all’altra. Una illusione del nostro mondo. Si riconoscono brani iconici come “Time Lapse” di Michael Nyman, “Sheep in Black and White” da “Music for animals” di Nils Frahm… Ma chi è il Grande Fratello che manovra tutto questo? Uno, nessuno, centomila.
Dal 21 di novembre e fino al 24 novembre. Un altro spettacolo da non perdere al Met. Si tratta di “Roberto Zucco” di Koltès ispirato alla vera storia di Roberto Succo che a soli 18 anni uccide i genitori. Rinchiuso in carcere scappa e fugge inseguito dalle polizie di tre stati diversi fino a morire suicida. L’allestimento di Bluemotion è firmato da Giorgina Pi, una delle più interessanti registe e teatranti a tutto tondo operanti in Italia. Protagonista principale è Valentino Mannias in scena con Andrea Argentieri, Flavia Bakiu, Monica Demuru, Gaia Insenga, Giampiero Judica, Dimitrios Papavasilìu, Aurora Peres, Alessandro Riceci, Kevin Manuel. Colonna sonora di Valerio Vigliar, luci di Andrea Gallo. Lo spettacolo è prodotto dal Teatro Nazionale di Genova, Teatro Metastasio di Prato e RomaEuropa Festival.
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