Teatro

Meccanica della schiavitù moderna

9 Ottobre 2019

Ho assistito a due giornate di riprese del film di Milo Rau a Matera. Una esperienza da un lato entusiasmante dall’altro davvero dolorosa. Ne scriverò a parte. Qui Milo Rau racconta il percorso parallelo tra il film e la lotta politica contro il caporalato e le nuove schiavitù. L’uno si intreccia nell’altra: non sarebbe possibile altrimenti. Intanto cresce l’attesa per l’Assemblea Generale che si terrà domani sera al Teatro Argentina di Roma: Milo Rau ha convocato questo incontro, questa assemblea come tappa, prosecuzione naturale del lavoro fatto in Basilicata per Matera Capitale della Cultura 2019. Sarà una assemblea politica? una simbolica “resurrezione” dopo la crocifissione?

In molti vorrebbero partecipare: ma sembra che la sala sia già stracolma. Staremo a vedere. Intanto leggiamo, assieme, le considerazioni del diario di Milo Rau.

(Andrea Porcheddu)

 

San Severo: Yvan Sagnet e sulla destra l’attivista Mbaye Ndiaye. Foto di Armin Smailovic

 

Attualmente stiamo girando un film su Gesù a Matera con centinaia di attori. Allo stesso tempo stiamo mettendo in atto una rivolta politica contro lo sfruttamento dei lavoratori senza contratto nei campi di pomodori del sud Italia. Molte scene del Vangelo sono serali o notturne, mentre il lavoro nei campi comincia intorno alle 5 di mattina. Può succedere quindi che i nostri interpreti si ritrovino a comparire come personaggi biblici di notte, e che dopo giusto qualche ora di sonno ricomincino a prepararsi per una nuova protesta.

Ma la parte veramente logorante del progetto è un’altra: è nella complessità del lavoro politico nei campi profughi. L’economia agraria del sud Italia è nelle mani della mafia da generazioni. Un’armata di circa 500.000 lavoratori senza contratto è alla mercé dei cosiddetti caporali. Chi crea problemi non viene più ingaggiato, potendosi scordare pure quei ridicoli 30 euro giornalieri per 12 ore di lavoro nei campi, con il rischio di trovarsi sul lastrico in pochi giorni. È il capitalismo originario: conta solo la sopravvivenza individuale.

È proprio nella Capitale Europea della Cultura che ho imparato come funziona la schiavitù: non con la violenza, ma con l’isolamento di ogni singolo individuo. Il totale annientamento sociale e fisico alla luce del sole, l’uomo è solo in lotta per la sopravvivenza. Il filosofo Giorgio Agamben – che cinquant’anni fa ha interpretato uno degli apostoli nel film di Pasolini – parla di “Homo Sacer”: l’individuo senza diritti ridotto alla sua nuda esistenza.

Detenute dal Trattato di Dublino, sottomesse dalla mafia, le persone che vivono nei cosiddetti “ghetti” vivono il presente assoluto di chi non ha futuro. La differenza con la vecchia schiavitù sta tutta nel fatto che quella moderna ufficialmente non esiste. Negli anni ha preso corpo una totale de-solidarizzazione alimentata dal propagarsi di dicerie strategiche. Ad esempio, quando abbiamo organizzato una manifestazione per opporci alla chiusura annunciata di un ghetto, ha cominciato a girare voce che questo sarebbe stato sgomberato per colpa della nostra protesta.

La nostra “Rivolta della Dignità” è dunque, in un certo senso, la contro-immagine sottoproletaria della rivolta dei giovani borghesi di “Fridays for Future”: qui euforia, là paranoia, qui divertimento e assenze da scuola, là pericolo esistenziale per un solo giorno di lavoro saltato. Le categorie del lavoro politico si confondono sotto il diktat biopolitico della mafia: le ONG pagano un’indennità giornaliera ai dimostranti, farsi ritrarre in foto a una manifestazione può costare la vita. A maggior ragione credo sia incredibile l’energia con cui il nostro Gesù, l’attivista Yvan Sagnet, e i suoi apostoli portano avanti la lotta.

Creare continuamente nuova solidarietà in un clima depressivo: dopo due mesi di riprese mi chiedo ancora dove trovino le forze. La scorsa settimana è stato quindi un grande sollievo marciare finalmente nella Capitale della Cultura in un simbolico “Ingresso a Gerusalemme”. Alla fine della manifestazione, Gesù e i suoi apostoli, insieme ai cittadini di Matera, hanno calpestato un intero carico di pomodori frutto di sfruttamento: “Distruggi ciò che ti distrugge!

Allo stesso tempo, a Matera si scorgono i limiti di una rivolta postmoderna. Nelle scorse settimane si è creata una sorta di culto intorno al nostro novello Gesù, tutte le grandi testate hanno parlato di lui. La marcia si è conclusa in una tempesta di selfie, dal New York Times alla TV pubblica italiana corrispondenti ovunque. E dalla prossima settimana a Matera si potrà ammirare un enorme murales di Yvan Sagnet con la corona di spine, il cui artista ha già ritratto Che Guevara e Nelson Mandela.

Come scrisse Lenin nella prefazione a “Stato e rivoluzione”, una rivoluzione è in pericolo quando si erigono monumenti per le sue guide. Ma comunque vada, il primo Gesù nero cammina tra noi. Per dirla con Greta: “Change is coming, whether you like it or not”.

(Traduzione di Riccardo Benedy Raschi)

 

Nella foto di copertina: Yvan Sagnet  a San Severo, foto di Armin Smailovic

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