Teatro
Maria Stuarda: successo giovane all’Opera di Roma
Sono state – e giustamente – decantate le prodezze vocali e sceniche di Marina Rebeka e Carmela Remigio, straordinarie interpreti di Maria Stuarda, di Donizetti, in scena al Teatro dell’Opera di Roma, con la regia di Andrea De Rosa.
Io però sono andato all’ultima replica dello spettacolo, affidato al cosiddetto “secondo cast”: e quello che era un iniziale disappunto – avrei perso le due primedonne! – si è trasformato presto in una piacevolissima sorpresa.
Oltre a confermare il giudizio positivo sull’allestimento, di cui dirò tra poco, mi sono trovato davanti due giovanissime interpreti chiamate a coprire il ruolo di Maria Stuart e di Elisabetta, e l’esito è stato davvero travolgente. Maria era Roberta Mantegna, classe 1988, mentre il ruolo di Elisabetta è di Erika Baretti: provengono entrambe dal “vivaio” dell’Opera di Roma, con quel progetto “Fabbrica – Young Artist Program” che dà evidentemente buoni frutti.
Chi mi segue lo sa: ho conservato una certa predilezione per andare a scavare, criticamente, tra le giovani realtà, tra le emergenze sceniche, cercando di intravedere il teatro di domani. Ebbene, con Mantegna e Baretti è facile dire che siamo di fronte a due stelle di prima grandezza, e mi auguro – anche da profano quale sono negli affari del belcanto – che le vedremo in tanti palcoscenici prestigiosi.
È stata commovente Roberta Mantegna: dopo l’articolata e certo non facile “uscita” di Maria, dalla scena sesta del primo atto, è rimasta per un istante come bloccata, trattenendo il fiato, quasi in attesa, un istante sospeso, immagino lunghissimo per lei. Ma, passato quell’interminabile secondo, il pubblico del Costanzi l’ha premiata con un’ovazione travolgente: e lei, dolcissima ragazza, si è sciolta in un timido sorriso, emozionato e sorpreso. Quindi, sulle ali di quella prima acclamazione, è volata lieve fino al tragico finale dell’opera. Concentrazione, bella voce, forse la recitazione ancora da far crescere, ma Roberta Mantegna si è imposta con bel talento.
Non da meno Erika Baretti, nei panni non facili di Elisabetta I: maggior disinvoltura e maturità, decisa anche come attrice (solo in certi passaggi l’avremmo voluta ancora più feroce), suadente e affascinante nel ruolo. Ottima nel fraseggio e bella voce.
A fronte di queste donne determinate e determinanti, sembrano un gradino sotto gli interpreti maschili, peraltro presenti anche nel primo cast: Paolo Fanale (Leicester), Carlo Cigni (Talbot) e Alessandro Luongo (Cecil) fanno la loro parte, ma senza particolarmente emergere, né vocalmente né scenicamente. Da segnalare, infine, la buona prova di Valentina Varriale, nel ruolo di Anna Kennedy, anche lei emersa dalla factory del Tetro di Roma.
Detto questo, vale la pena spendere più di una parola per la bella, austera regia di Andrea De Rosa. Che ha una lunga storia: lo spettacolo nasce prima come “edizione” per il teatro, a partire proprio dall’omonima tragedia di Schiller – da cui parte il libretto di Giuseppe Bardari – che il regista napoletano mise in scena con successo nel 2007, con due attrici meravigliose quali Anna Bonaiuto e Frédérique Loliée.
Quell’allestimento si mutò in versione operistica al Teatro San Carlo di Napoli nel 2010 e ora approda al Teatro dell’Opera di Roma. Stesso impianto generale, dunque stessa regia: le mirabili scene, eleganti e spoglie, di Sergio Tramonti; le luci meravigliose di Pasquale Mari (che dipingono letteralmente la scena con tagli e controluce straordinari, fino all’eclatante effetto ghigliottina del finale, affidato a una americana di fari che cala repentina dall’alto abbagliando gli spettatori) e infine i rigorosi costumi di Ursula Patzak.
Elementi che contribuiscono a un allestimento serrato, netto, coinvolgente nella generale pulizia d’impianto.
L’orchestra del Teatro dell’Opera si conferma, spettacolo dopo spettacolo, come un ottimo ensemble: qui, con la pulita direzione di Paolo Arrivabeni, dà spessore e nitore alla partitura di Donizetti.
Restano poi alcuni dei temi generali della Maria Stuarda, che ancora ci attanagliano: lo scontro religioso che porta alla morte, le dinamiche della corte, l’arroganza e la violenza di chi pensa di poter controllare tutto e tutti. Le due regine che si contendono l’amore come si fronteggiano per il predominio del regno, in nome di Dio o del Cielo: e il popolo sta a guardare, magari prega, immobile e basito, incerto e innocuo di fronte a chi sfoggia la volgarità assoluta di ogni potere. Argomenti, in tempi bui di guerre e scontri di (in)civiltà quanto mai dolorosi.
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