Teatro

Loose Dogs: il corpo del dissenso. Intervista a Emanuela Serra

17 Marzo 2025

Loose Dogs di Emanuela Serra arriva a Milano per il suo debutto al Teatro della Contraddizione dal 21 al 23 marzo. La produzione Balletto civile rappresenta la seconda tappa di una ricerca iniziata nel 2016 con lo spettacolo Just Before the Forest e fa parte assieme ad altri testi della raccolta Maledetti quei Fiori, scritture e immagini per l’autunno delle idee, a cura di Stefano Tomassini, Luca Sossella Editore. Alla base di questa ricerca si collocano una scrittura drammaturgica originale, la creazione di un disegno sonoro eseguito dal vivo a sostegno dell’immaginario fisico e vocale, la connessione corpo-voce e una messa in scena ispirata alle graphic-novel. Parole asciutte, sintetiche, messe in ritmo, Loose Dogs è un atto poetico dedicato a chi dissente, un lavoro che unisce scrittura e parola ad una ricerca quotidiana sull’azione danzata e la scomposizione fisica. In questo luogo non definito, bettola di periferia o chiesa immensa, angolo di strada o stanza d’albergo, un corpo e l’urgenza di dire. Il suono è materia, genera un universo urbano e forsennato, in cui l’uomo resta un abisso se ci guardi dentro. Il punto di vista è quello di un animale da bar, una “roccia” che ha iniziato a sgretolarsi, ma che proprio per questo scava nell’animo dello spettatore. Un affresco di umanità nuda, ribelle, che irrompe nella spensieratezza del quotidiano in cui irrompe. Un guizzo di dissenso che ferma per un attimo lo scorrere ripetitivo del tempo e della routine nella quale viviamo immersi.

Abbiamo parlato di questa nuova performance con la sua ideatrice Emanuela Serra.

Lo spettacolo rappresenta una seconda tappa di sperimentazione dopo Just before the forest e fa parte assieme ad altri testi di Balletto Civile della raccolta Maledetti quei Fiori, scritture e immagini per l’autunno delle idee. Da cosa nasce il bisogno di questo nuovo racconto e come si inserisce in questo contesto creativo?

Loose Dogs nasce in un modo particolare. Ad un certo punto avevo molti testi, nati per partecipare ai contest di poetry slam con cui provavo, in una forma poetica sghemba, a riscrivere il contemporaneo che vedo e vivo. Erano testi brevi, per alcuni l’ ispirazione arrivava da qualcosa che era successo o da una faccia incontrata sull’ autobus o da un discorso lasciato a metà con un amico. Il pensiero che li collegava tutti era l’ evidente necessità, in un presente che ci vuole tutti d’ un pezzo, rocce integre, senza dubbi, di spaccarci, di accettarci, di non resistere a quell’ urlo che a volte dentro rimbomba e che noi mettiamo a tacere. Così ho provato a unire i vari testi e a crearne un copione e ne è nata la storia di un animale da bar, un cane sciolto. Uno, appunto, tutto d’ un pezzo che in una notte, in un bar di una qualunque periferia, davanti al bicchiere della staffa, si spacca. Poi Guido Affini ne ha creato il disegno sonoro e Alessandro Pallecchi mi ha aiutato a mettere nel corpo le parole.
I testi contenuti in Maledetti quei fiori scritture per l’autunno delle idee a cura di S. Tomassini Ed. Sossella, sono diversi come tipologia di scrittura.  Les Fleurs è scritto per Balletto Civile firmato da me, Michela Lucenti e Maurizio Camilli. È una drammaturgia esplosa ispirata ai Fiori del male di Baudelaire. Possiamo dire che è un testo che nasce dal corpo.
Eclissi è scritto per un cast di giovanissimi e nasce dalla volontà di costruire uno spettacolo che parli di loro e per loro. Nasce da discussioni, improvvisazioni, nasce dalle loro urgenze. Loose Dogs è un monologo fisico, il testo qui è arrivato prima e poi, attraverso un profondo lavoro di drammaturgia fisica, ha abitato il corpo.

Un corpo che si muove nello spazio, senza che ci sia bisogno di definirne forzatamente i contorni, purché ordinario, e lo occupa. La presenza che si impone e allo stesso tempo sottolinea il rischio di marginalità che l’essere umano ha nel suo habitat quotidiano. C’è ancora spazio per “vedere” l’altro nella vita di tutti i giorni? Per accorgerci dei corpi che si muovono, occupano il nostro territorio, lo vivono mentre noi, a nostra volta, inseguiamo il filo delle giornate?

Si lo spazio c’è anche se ci fanno credere di no. I corpi sono mappe, non vederli, non accorgersi di loro vuol dire essere ciechi, i corpi raccontano il presente che viviamo. L’ altro è l’ unico modo che abbiamo per sfuggire alla noia di noi stessi, a tutto quello che ci raccontiamo, alle abitudini che ci fanno sentire al sicuro, alle convinzioni con cui conviviamo pacifici, agli alibi. L’ altro è uno sconvolgimento dei piani, una messa in discussione, un canale d’ accesso.  Vedere l’ altro è una straordinaria opportunità di vederci.
Di inciampare, finalmente, nel filo delle nostre giornate. L’ altro è dinamite.

In un mondo fragile ossessionato dalle sue sicurezze in che modo uno spettacolo sperimentale può aprire uno spazio di sana messa in discussione dello status quo nello spettatore? 

Non lo so.
Mettersi in discussione è difficile. Io credo semplicemente che a volte accada. Lo penso davvero. Lo dico anche nello spettacolo.
“A volte è così che accade, il sole tramontava, la radio sparava una vecchia canzone dei R.E.M e si è fatto piano buio intorno. A volte l’ anima si infila trova un buco e si infila entra e spacca da dentro e tu nel mondo, inizi ad arrancare”.

Ha ancora senso, in un’epoca d’immediato disimpegno, in cui anche l’arte rischia di ammiccare al semplice intrattenimento, parlare di una “scena” d’impegno?

Si. Ha ancora senso. Esistono progetti necessari , autori che scrivono pezzi scomodi. L’ arte come intrattenimento è sicuramente più immediata. L’ arte come impegno ha una gettata più lunga. Risuona. Magari fa effetto dopo giorni. La scena d’ impegno esiste, spesso fa più fatica a raggiungere il grande pubblico. Sicuramente ha meno spazio, e poi il teatro ha delle leggi e non sempre i progetti riescono a produrre spettacoli, soprattutto nei primi anni, ciò non significa che non siano necessari. Balletto Civile, la Compagnia di teatro fisico di cui faccio parte dal 2003, lavora da sempre su un doppio binario: da una parte la natura artistica che si esplicita nella scrittura di spettacoli che vogliono profondamente parlare del presente che viviamo. Dall’altra una natura che si esplicità in progetti sui diversi territori dedicati a non professionisti, a diverse fasce di cittadinanza, adolescenti, anziani. Non siamo terapeuti ma negli anni, abbiamo compreso che applicare a contesti fragili una poetica che parte da un profondo lavoro di relazione e di ascolto, la volontà di creare gruppi di lavoro alla pari, l’ascolto delle urgenze espressive di chi partecipa, tutto questo unito a un importante lavoro di scrittura sia fisica che drammaturgica e a un importante lavoro di regia,  può far nascere materiale che risponde alle leggi teatrali, anche se creato con non professionisti.

Lavorare con non professionisti è una grande messa in discussione per l’artista, a partire dai temi che si decidono di trattare, agli esercizi che si propongono, al tenere alta l’attenzione. Tutto ciò che è troppo intellettuale fallisce. E’ richiesta una traduzione pratica del proprio pensiero, una comunicazione diretta.  Per me è sempre un grande insegnamento.

Ideazione Emanuela Serra

Testi Emanuela Serra Suono Guido Affini Produzione Balletto Civile

Ph. Credits Donato Aquaro

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