Teatro

L’estasi del teatro di Latella: come il tutto si costruisce con niente

16 Ottobre 2016

Due giorni di miracoloso sonnambulismo al Teatro delle Passioni di Modena, travolti dal progetto monstre di Antonio Latella, Santa Estasi, visto all’interno del ricchissimo VIE Festival. Non si può che uscire commossi con tanta tecnica delle emozioni, tempismo di effetti e affetti, coscienza dettagliata dei gesti, dei mezzi naturali, del capitale di intelligenze investito in quattordici ore di vicende riscritte degli Atridi. Dal Tieste all’Orestea, passando per le Ifigenie, fino all’invenzione di una tragedia che non c’è, Crisotemi, sorella di Elettra e Oreste dimenticata in una casa alla fine del mondo.

Sedici attori e sette drammaturghi, quasi tutti under trenta, selezionati tra le centinaia di candidati per un corso di alta formazione dell’ERT il cui “saggio finale” sa di qualcosa che resterà inscritto nella memoria degli spettatori per una vita intera. Viene da dire che più bravi di così è impossibile, in ogni aspetto: sarà per l’incoscienza, o meglio per lo stato di trance, di estasi appunto, per quello stupore servito in scena da ogni attore e scrittore mentre si costruivano gli otto spettacoli. E ancora più meraviglioso è il carattere pedagogico di Santa Estasi, non uno spettacolo ma un progetto, che ha preso forma in un luogo ex industriale, in una vibrante sala che più off non si può, con oggetti scenici riciclati da vecchie produzioni di Latella stesso, ma anche di Massimo Castri: tutte cose in qualche modo viventi, che comunicano messaggi misteriosi ed esoterici, in senso junghiano.

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Ciascuno degli otto spettacoli, diversissimi tra loro per genere e scrittura, racchiude in se stesso sinteticamente il senso del tutto, dell’intera maratona. Le pause, gli intervalli tra un episodio e l’altro, o ancora la notte tra la prima e la seconda metà, accrescono la voglia di proseguire senza che ci sia mai un senso di incompiutezza: niente resta irrisolto perché la totalità compenetra nella parte come una miniatura, come un frattale.

Le drammaturgie prendono a colpi d’ascia i testi solo per scovarci dentro l’universale, un invariante che non viene in alcun modo riattualizzato, nemmeno quando Agamennone guarda la TV con le figlie (forse Shakespeare): non c’è niente di moderno, piuttosto si esce, finalmente, dalla dimensione del tempo, sia come attori, spettatori, tecnici o personale di sala, tutti in qualche modo complici di questo rito profano.

È difficile e forse superfluo elencare la quantità di idee e di riferimenti che si accavallano scena dopo scena, anche perché non appena se ne coglie uno lo spettacolo è già passato oltre. L’importante è capire che non esistono trovate, che le regie non fanno occhiolini con riferimenti rivolti a pochi, così come non si sciorinano sterili enunciazioni di filosofie altrui: è un teatro inclusivo nel senso più trasversale del termine, che può includere Michel Foucault, Bruno Bettelheim, ma anche Leonard Cohen e perfino Beyoncé. Ogni riscrittura, ogni aspetto registico può certo servirsi delle grandi teorie del pensiero, ma sempre al servizio di una controparte scenica, che sia espressa, agita, comunicata.

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Così basta un forno aperto un attimo da Atreo perché si dia inizio a tutto; e Ifigenia si trasforma in cerbiatta con un gesto talmente rapido delle mani che sembra di non vederlo; a Crazy in love ballata al maschile segue una nuova versione de La voix humaine con uno struggente monologo di Elena al telefono scritto da Camilla Mattiuzzo; Egisto e Cassandra si serrano le mani in trono con il lunghissimo coro virgiliano che li incalza che nemmeno gli Anagoor; Elettra veste il cadavere del padre fino a che non si risveglia, preludio per una magnifica riscrittura psicanalitica della tragedia di Matteo Luoni; giochi eduardiani di porte per un riepilogo di tutto il teatro del novecento nell’Oreste; Eumenidi come sogno di un sogno, tra Lynch e Fellini, con una coreografia finale che riavvolge a nastro tutti i movimenti; la costellazione di stelle sospese al di là della scena in Ifigenia in Tauride; infine, dopo il monologo di Crisotemi scritto da Linda Dalisi e che sembra sia sempre esistito, i dioscuri chiudono lo spettacolo ruotando due enormi specchi, in un gesto che riassume da solo l’origine stessa dell’esperienza teatrale.

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Tutti da citare.

Gli attori: Alessandro Bay Rossi e Isacco Venturini dioscuri sempre all’unisono, Barbara Chichiarelli Elena magnetica col suo pellicciotto, vulcanica Elettra di Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni Menelao e ancora di più impressionante Tieste, Mariasilvia Greco e Barbara Mattavelli divertentissime coro uno e coro due, Christian La Rosa insicuro Oreste, Leonardo Lidi magnifica presenza di capostipite, Alexis Aliosha Massine da Achille a un Teoclimeno uscito da Scorsese, Gianpaolo Pasqualino degno Apollo su cavallo, Federica Rosellini Ifigenia e cerbiatta insieme, Andrea Sorrentino che rende indimenticabile Pilade sconosciuto, Emanuele Turetta Egisto inquieto che rotea il dito sul ginocchio, Ilaria Matilde Vigna regina Clitemnestra in ogni sfaccettatura, Crisotemi di Giuliana Vigogna personaggio che finalmente ha trovato un autore.

Questi infine i drammaturghi: Riccardo Baudino, Martina Folena, Matteo Luoni, Camilla Mattiuzzo, Francesca Merli, Silvia Rigon, Pablo Solari, che hanno lavorato insieme a Federico Bellini e Linda Dalisi.

Dopo la maratona resta sospesa in aria una frase che Crisotemi, personaggio pieno della sua inesistenza, rivolge un po’ alla felicità e un po’ a se stessa: «un niente con qualche apparizione». E il teatro sta in questo niente, rievocato ancora nella splendida rivalutazione del fantasy di Oreste, che in pochi minuti ripercorre la storia dell’uomo, dall’ira di Achille al qui ed ora del suo esserci: «Io esisto perché tutti voi in questo momento mi state immaginando».

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Un capolavoro, che sarebbe un delitto non riprendere, e che i teatri e le istituzioni avrebbero il dovere di ospitare e finanziare. Latella ha cambiato passo, diventando senza dubbio il regista italiano più interessante di oggi. Lo rivedremo in MA, al Piccolo Teatro Studio dal 2 novembre, e attenderemo con ansia la sua prima produzione al Piccolo, Pinocchio, dal 19 gennaio allo Strehler, in cui si porterà dietro il suo Oreste Christian La Rosa.

Foto di Brunella Giolivo.

 

 

 

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