Teatro

Leo de Berardinis, l’archivio e la memoria

15 Giugno 2017

Ma che bella giornata! Che emozione!

Difficile non iniziare questo articolo senza pensare ai sentimenti che si sono provati. L’occasione era ufficiale, e serissima, ma l’esito dell’incontro all’Università di Bologna è stato felicemente commovente.

Negli spazi della Soffitta, infatti, lo scorso lunedì 12, si è presentato per la prima volta il Fondo Leo de Berardinis, operazione certosina e di assoluto valore a cura di Cristina Valenti, curatrice del Fondo, con Marco De Marinis e Laura Mariani: la notizia, dunque, è che esiste finalmente un archivio dedicato al maestro.

De Marinis, Valenti, Mariani e Mirella Plazzi (dell’Istituto Beni Culturali), foto Passutti

L’incontro bolognese si è aperto con lo storico del teatro De Marinis che ha ricordato il legame privilegiato che Leo ha sempre avuto con Bologna e con la sua università. Non solo per il gran lavoro fatto prima con la Cooperativa Nuova Scena, poi con lo Spazio della Memoria, ossia il teatro San Leonardo e con il Festival di Santarcangelo, ma anche per l’attenzione e il dialogo costante con un altro indiscusso maestro della scena e degli studi, Claudio Meldolesi. Lo ha spiegato, in modo prezioso e appassionato, la studiosa Laura Mariani, che ha ricostruito – seppure brevemente – il rapporto umano e intellettuale tra de Berardinis e Meldolesi, il quale difatti accompagnò, con amicizia e costante sguardo critico, il percorso del regista e attore fino alla realizzazione di un libro importante come La terza vita di Leo (edito da Titivillus).

La compagnia di Leo de Berardinis in scena

Me li ricordo quegli anni, a metà dell’ultimo decennio del secolo scorso. A San Leonardo, inaugurato da Sanjukta Panigrahi c’erano tutti, passavano tutti: compreso me, ultima ruota del carro, non ancora trentenne. Ricordo la vulcanica creatività, il rigore di Leo, e ricordo naturalmente anche Meldolesi: si avvicinava, mi metteva una mano sulla spalla, a mo’ di incoraggiamento e io, terrorizzato che mi facesse qualche domanda difficile cui certo non avrei saputo rispondere, sorridevo imbarazzato.

Ma soprattutto ricordo, di quel periodo, gli attori e le attrici: ed è stato bello, bellissimo, ritrovarli l’altro giorno, tutti assieme, alla Soffitta. Interpreti di spessore enorme, giganti che, sin da giovanissimi, avevano saputo cogliere in Leo il Maestro. Maestro di grandissima qualità.

Lo hanno ricordato tutti e ciascuno, all’incontro bolognese, raccontando, evocando, spiegando. È emerso, ad esempio, quanto e come Leo fosse sensibile alle suggestioni della magia bianca, agli insegnamenti esoterici, alla complessità dell’Uomo e del pensiero – lo ha ricordato Angela Malfitano, sottolineando quanto rigore vi fosse in quella ricerca.

La cura per ogni dettaglio, quel sopracciglio che si alzava – più dispiaciuto che perplesso – quando le proposte degli attori non lo soddisfacevano: Leo era maestro attento alla creatività di ogni singolo componente la compagnia. Anche per questo, forse, non si è disperso quell’insegnamento, quell’amore, quella “casa” fatta da persone che hanno incrociato il viaggio teatrale di Leo de Berardinis.

Da sinistra: Randisi Malfitano, Sgrosso, Manchisi, Vetrano, Bucci, Mazza, Paccagnella

Eugenio Allegri, che ha ricordato il puntuale lavoro sulla metrica e sulla drammaturgia; Ivano Marescotti, che con ironia ha evocato le lezioni di poesia di Leo; l’emozionata ed emozionante Fabrizia Sacchi che ha parlato del King Lear; e ancora Valentina Capone che ha evocato ricordi dolcissimi, mentre Silvio Castiglioni ha dato voce alla poesia terrigna e vera della Santarcangelo di poeti come Pedretti, Guerra e Baldini. E se in un video Toni Servillo – anche lui a “scuola” da Leo – ha proposto di riprendere spettacoli importanti come Novecento e Mille o L’Impero della Ghisa, poi la scena è stata lasciata alla Compagnia, agli attori e alle attrici interpreti di tanti capolavori. Erano tutti allineati sul palco, bellissimi: Stefano Randisi, Angela Malfitano, Marco Sgrosso, Marco Manchisi, Enzo Vetrano, Elena Bucci, Licia Navarrini, Francesca Mazza, Gino Paccagnella. Qualcuno mancava, però è stato davvero un momento speciale trovarli lì, tutti assieme, a ricordare, scherzare, spiegare, prendersi in giro. Protagonisti della scena di oggi, quegli attori e quelle attrici, al di là del gioco del momento, hanno riaffermata la serissima lezione di un gigante del teatro. La tecnica, il metodo, lo studio, la cura, le invenzioni, la musica, la filosofia, la scienza: sono parole che tornano nei discorsi di tutti. Ed è una lezione di cui – oggi più che mai – c’è bisogno.

Di fatto, raggiunto forse l’apice dell’euforia beniana, sarebbe da tornare ancora di nuovo al teatro di Leo.

Opportunissima dunque, l’iniziativa dell’Ateneo bolognese. Grazie a Cristina Valenti (con Viviana Santoro) è stata completata la prima tranche di riordino, catalogazione e digitalizzazione del Fondo-Archivio, che si riferisce all’attività dal 1967 al 2001, affidato al Dipartimento delle Arti felsineo in comodato d’uso dalle eredi Carola de Berardinis e Maria Grazia Grassini. L’archivio comprende manoscritti, appunti e brogliacci di lavoro, copioni, registrazioni sonore e video, fotografie, locandine, programmi di sala, rassegne stampa. Ecco, allora, nelle immagini proiettate sul grande schermo della Soffitta mentre gli attori raccontavano, tornare The Connection, La Tempesta, Quintett e la tragedia greca, Metamorfosi e Totò Principe di Danimarca, Scaramouche, Beckett e i 100 attori a Santarcangelo (quanto era bello Santarcangelo…), e poi ancora il lavoro sullo spazio scenico e sulla poesia, le maschere di Stefano Perrocco di Meduna, le luci straordinarie di Maurizio Viani (e poi del giovanissimo Max Mugnai), i costumi di Loredana Putignani

Un mondo, mille ricordi, per un archivio che diventa teatro vivente. Da Bologna, può forse ripartire la quarta vita di Leo.

 

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