Teatro

Le invenzioni degli attori

13 Aprile 2016

È tempo di riscatto, non solo di primavera.

E per il teatro italiano, il riscatto – in stagioni di ormai conclamata crisi – può venire solo dagli attori e dalle attrici. Tocca a loro, infatti, assumersi nuove e pesanti responsabilità, l’onore e l’onere di farsi carico del cambiamento necessario.

Non lo fanno i politici: nella campagna elettorale delle prossime amministrative nessuno (o quasi) parla di teatro. Non lo faranno i direttori – costretti, anche loro malgrado, a fare i manager, a pensare più ai conti e al botteghino che non all’arte. Non possono farlo i registi “puri”: la regia ormai è “post”, o “debole” e sono poche le figure che incarnano quella prassi tutta novecentesca che appare ormai afflitta da cronica latenza di idee, complice anche la diffusa scarsità di mezzi. I registi che sembrano essere oggi più incisivi sono, non a caso, i “nuovi capocomici”, ossia, eccoli ancora, gli attori e e le attrici “prestati” alla regia.

Non possono far rivoluzioni gli autori italiani, esclusi, allontanati malamente dai palcoscenici per la distorta visione di chi pensa che un testo contemporaneo non “venda”, non abbia appeal. E certo, alcuna rivoluzione possono (possiamo) fare i critici: marginali, affannati come siamo a rincorrere la scena, a cercare di capire, a tradurre dove possibile, a testimoniare quella vitalità che troviamo in spazi i più vari, dal Piccolo di Milano alla cantina di una periferia del sud Italia.

Allora ecco che gli attori e le attrici italiani si stanno reinventando luoghi, temi, poetiche, spazi, progetti. Instancabili, vanno generosamente in scena, sera dopo sera, a incontrare gli spettatori. E il pubblico segue, capisce, premia con un’attenzione e una adesione che va ben al di là delle attese.

Allora, mentre gli “algoritmi” ministeriali rischiano di premiare un teatro più commerciale che poetico, c’è chi, da tempo, ha scelto di non rinunciare alla poesia, alla limitatezza di prospettive e si è rimboccato le maniche. Nonostante le condizioni capestro, le mezze paghe, le prove gratis, i viaggi a carico, la mancanza di previdenza o tutele, i progetti che saltano dalla sera alla mattina: questo teatro d’attore, di qualità, si sta imponendo finalmente anche nel nostro paese. E vale sempre la pena seguirlo, perché qui si gioca il futuro. Lo ripeto da tempo, nei grandi palcoscenici o nei piccoli spazi, qualcosa si muove a scuotere l’immobilismo (commerciale) in cui rischia di cadere il sistema: si creano ensemble, “capocomici” entrano nei circuiti maggiori, si realizzano progetti originali che sfidano l’ottusità di tanti operatori. E si inventano nuove soluzioni.

Ecco, ad esempio, tre piccoli e significativi gesti creativi. Il primo, settimane fa, a opera di Davide Enia. Scrittore, autore, attore, torna alla scena con un “cunto” dedicato alla Lucia di Lammermoor: e salutiamo con gioia questo suo ritorno. Per “rodare” lo spettacolo, infatti, Davide ha invitato una trentina di amici nello studio dell’artista Silvia Giambrone (sua compagna) e, in mezzo a sculture e istallazioni notevolissime, ha raccontato a la mirabile e triste vicenda della Lucia. Lo fa da par suo, ritrovando slancio e comunicativa, poesia e forza: mettendo assieme Donizetti e i Peanuts, alto e basso, rock e arie d’opera, Enia evoca, illustra, spiega, con grande intelligenza. Lo spettacolo è andato poi in scena, con successo, al Massimo di Palermo, prima dell’opera.

Davide Enia
Davide Enia

Ecco ancora un altro artista anomalo come Michele Sinisi, temprato dal clima caldo e ostico della Murgia, raccontare in un’elegante e colta casa romana, resa disponibile per l’occasione, la storia del pugliese Monsignor Di Donna. Vicenda umana e di fede, che intreccia quasi mezzo secolo di storia italiana, quella di Di Donna è una storia davvero esemplare: di umili origini, sceglie di seguire la curiosità, e la sua passione si fa autentica vocazione. Dalla temperie interventista della Prima Guerra Mondiale, alle ferree regole seminariali, dallo slancio missionario in Africa fino alle rivendicazioni dei contadini meridionali per la terra, il prelato di Andria è stato testimone e spesso partecipe di fatti eclatanti e minimi d’Italia. Sinisi, al leggio, porta dunque un manipolo di spettatori dentro il carattere intransigente e generoso di questo prete che – come altre grandi figure di religiosi pugliesi – non ha esitato a intervenire nel contesto sociale. Lettura appassionante, forse ancora da calibrare, che si dipana con ritmi suoi nei dettagli della microstoria locale e che svela, sensibilmente, le idee e i dubbi dell’uomo (più che del beato, di cui, francamente, ci interessa meno).

Michele Sinisi
Michele Sinisi

Infine, in una vivacissima e accogliente trattoria del centro, Casa, a Passeggiata di Ripetta, ogni lunedì, prima di affondare in una carbonara fatta davvero come si deve, gli avventori possono ascoltare cicli di letture: alcune divertenti, altre in romanesco, altre ancora raffinatissime. L’altra sera Vinicio Marchioni, che con il fratello è padrone di casa, ha letto le poesie Cesare Pavese. Così, i clienti che sono arrivati dietro l’Ara Pacis per fotografare il “freddo” della serie Tv, si trovano di fronte un sapiente attore che li trasporta, con l’immaginazione, nel grande mare delle langhe. Una manciata di testi, detti con semplicità e umiltà. E a fine serata, un ragazzino, fan devoto di Romanzo Criminale o di qualche altro film interpretato da Marchioni, dopo il selfie d’ordinanza, chiede timidamente il titolo del libro di quel poeta strano. Bello, no?

Vinicio Marchioni
Vinicio Marchioni

Ecco: teatro fuori dai teatri; attori vivi, vivaci, presenti. Sono solo alcuni dei tanti esempi che si potrebbero fare: attori che, oggi come in passato, non si fermano di fronte alla burocrazia, alla povertà del sistema, all’ottusità di tanta politica. Intelligenza, talento, militanza, passione: parole belle da cui imparare tanto. A me questo teatraccio, inventato ovunque, anche al di là degli esiti, piace molto.

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