Teatro
Latina, l’energia costruttiva del festival “Tendance”
Quanta fatica c’è dietro uno spettacolo di danza, e uno di teatro? E il lavoro non finisce dopo la creazione, una volta completate le prove e tutto sembra filare liscio. Manco per niente. Inizia il momento più tosto, quando l’opera si deve far conoscere, raggiungere un pubblico, conquistare gli applausi, confrontarsi con il parere dei critici e quello degli spettatori. E’ l’attimo strategico della crescita culturale. Per il pubblico è il momento della conoscenza, per l’artista la costruzione una base di riferimento che con il tempo magari crescerà e saprà riconoscere la sua arte. Lo spettacolo dal vivo è fondamentale per una crescita civile e democratica, ma per la sua diffusione è necessario un lavoro di organizzazione, allestimento di rassegne o festival, comunicazione. E tanto altro. Un lavoro che appartiene a teatri, associazioni, centri di ricerca etc. Duro ordinariamente se si lavora in città capoluogo _ e non in tutta Italia esiste una programmazione regolare _ ancor di più se si opera fuori dai centri metropolitani. Magari in situazioni decentrate. Lì, matematicamente tutti gli ostacoli si moltiplicano per tre. Dalla logistica alla mancanza di strutture adeguate. Per non parlare del grande lavoro da fare per superare incertezze, titubanze e scarsa sensibilità. Allora davvero occorre una grande passione da parte del promoter, forte e tale da superare ostacoli e difficoltà pur di far salire di una tacca in più l’asticella della cultura. Dopo il lockdown tutto sembra ora più difficile e gli sforzi vanno moltiplicati per tre. Come ben sa Danila Blasi organizzatrice instancabile di danza a Roma e nel resto d’Italia che, con Ricky Bonavita, dirige da tredici anni un prezioso festival come “Tendance”, un progetto di Rosa Shocking in un territorio molto particolare come quello ex paludoso di terre bonificate durante il fascismo dei comuni di Latina e Pontinia, con una importante base sulle colline sovrastanti, tra l‘Agro Pontino e i Monti Lepini, nell’antico comune di Sezze, dove viene tradizionalmente allestita una residenza per compagnie.
Tra questi centri è stato allestito il programma inaugurato il 19 maggio e che si concluderà il 28 a Latina con un programma fitto di appuntamenti. Il 27 è di scena il coreografo Nicola Galli con “Il Mondo Altrove”, “Danza a tratti” della compagnia Excursus, coreografia di Ricky Bonavita. “Ruggine” di Manfredi Perego, “Small Living space” di Antonio Taurino, a cura del gruppo E motion in replica anche l’indomani, infine “B or der” di Masoumeh Jalalieh. A Sezze invece va in scena Arianna Berton con “Negabscence” allo spazio Mat. Il 28 si apre alle 17 al Madxi con Trasmissioni/ “Ossessioni” incontro in collaborazione con Teatri di Vetro e che consiste in un faccia a faccia tra Danila Blasi e Roberta Nicolai di Teatri di Vetro. Per gli spettacoli attesi “Danza a tratti” di Ricky Bonavita, compagnia Excursus, “This wall has no title” di Martina La Ragione e Andrea Rampazzo. Chiude “Sista site specific” a cura di Simona Bertozzi per il Balletto Teatro di Torino.
La prima parte, svoltasi essenzialmente presso il Teatro Fellini di Pontinia ha messo in campo una scaletta di opere collaudate e di livello. Iniziando dall’assolo “Prometeo?”, un pezzo di bravura del danzatore Lorenzo Covello che in una cornice scenografica molto concettuale e visionaria utilizza l’antico mito di colui che regalò il fuoco, la conoscenza, agli uomini. Pochi gli elementi che sostengono il corpo a corpo del performer e danzatore in uno spazio minimo, una sedia in bilico, l’acqua, la luce. Covello interagisce in modo aereo con lo spazio, lo sonda, lo modella… fino a impadronirsene mantenendo leggere le coordinate del movimento del suo corpo. Onirico, surreale e poetico “Prometeo?” ama giocare sulla impossibile relazione tra divinità ed esseri umani, una linea di confine tremolante come il riflesso dell’acqua in cui Covello si getterà all’improvviso.
Un altro spettacolo da Novanta è stato “Doppelganger” , miglior spettacolo di danza al Premio Ubu 2021, un lavoro forte e delicato allo stesso tempo sulle diversa abilità della premiata coppia Michele Abbondanza e Antonella Bertoni che assieme a Maurizio Lupinelli di Nerval Teatro hanno disegnato una coreografia sugli opposti, sull’incontro tra corpi diversi dei danzatori, Francesco Mastrocinque e Filippo Porro, assolutamente spettacolari. Intensi, precisi, di grande coordinamento nei movimenti coreografati, una splendida varietà di figure che costruiscono in modo architettonico paesaggi di insieme, simbiotici e, nelle loro pur evidenti differenze, e unitari. Intreccio di corpi, appena sciabolati dalle luci sapientemente pennellate da Andrea Gentili, dispendio di energia e cuori emozionati. Un incontro e un addio che si ricompongono costantemente in una amorosa tensione. Fino a che l’uno diventa l’ombra dell’altro.
Sempre nella prima parte, però a Latina si sono potute seguire le performance di Fabio Liberti dalla Danimarca al Museo Cambellotti con “We Are Present”, a Operaprima Teatro Nicholas Baffoni e Camilla Perugini in “Fitting”, Vidafè Crafts in “Hansel & Gretel Alteration”, Sara Capanna, Barbara Carulli e Michele Scappa in “Tracce” entrambe in prima nazionale; Em+ Emanuele Rosa e Maria Focaraccio in “All you need is” e infine il primo studio di “Scrolling” di Francesca Santamaria andato in scena a Sezze.
“Tendance” è anche “Scrivere danza” una originale idea del critico Graziano Graziani e Danila Blasi che consiste nel mettere a confronto scrittori e critici davanti a uno stesso spettacolo. In dettaglio la poetessa Gisella Blanco, il critico di danza Carmelo Zapparrata (per “Prometeo?”), la scrittrice Ginevra Lamberti e il vostro cronista e critico teatrale Walter Porcedda incaricati di analizzare lo spettacolo “El Pueblo Unido Jamas Serà Vencido” dei belgi Wooshing Machine ma uno dei performer e danzatori, Alessandro Bernardeschi, è caduto accidentalmente procurandosi una fastidiosa lussazione al braccio durante lo spettacolo. Bernadeschi assieme ai suoi due compagni era stato impegnato fino a quel momento per una ventina di minuti circa. Sospeso lo spettacolo, gli scrittori e critici che hanno potuto completare la visione dello spettacolo prendendo visione del video ben curato della stessa compagnia, dove è replicata perfettamente l’opera di danza. Per cui, la recensione e il racconto di seguito, tengono conto dei due diversi momenti, sperimentando contemporaneamente una lettura dello spettacolo dal vivo e l’altra nella forma di teatro digitale.
Travolti dalla Storia degli anni Settanta, i danzatori di Wooshing Machine _ la compagnia belga che ha inaugurato “Tendance”_ sono finiti nel buco nero dei ricordi di un periodo segnato da impegno politico, agitazioni studentesche e operaie. Epoca scomoda e divisiva, come i sogni di una rivoluzione che non ha mai visto il sole, è stata il presente per migliaia di giovani che hanno poi masticato l’amarezza della sconfitta e del disincanto. Di quel periodo è rimasto un bel nucleo fatto di Peter Pan con i capelli bianchi, pensionati insoddisfatti, cinici e indifferenti. Ci sono nel conto pure un pugno di libri, qualche film e una canzone come “El pueblo unido jamas serà vencido”, inno dei cileni Quilapayun portato al successo dagli Inti Illimani, scelto dai belgi per titolare emblematicamente un excursus sul post Sessantotto, danzato in modo aereo, buona padronanza scenica e sufficiente presenza teatrale da tre performer con il gusto dell’ironia: Alessandro Bernardeschi, l’artista vittima dell’incidente in scena, l’elegante e sensuale danzatrice inglese Lisa Ganstone e dal vivo Antonio Montanile, mentre in video è Mauro Paccagnella, responsabile pure di coreografia e regia assieme a Bernardeschi.
Un allestimento molto attento nel raccontare senza ideologismi un’era vissuta con intensità da milioni di persone. Certo, non mancano gli slogan che allora davano sostanza alle lotte ispirando combattività in chi partecipava : “…non basta il lutto, pagherete caro, pagherete tutto”, “Potere Operaio”, “Tremate, tremate le streghe son tornate”… Che poi erano anche un modo di riconoscersi tra compagni segnando una linea tra loro e “il nemico”.
Le voci giungono ovattate, a tratti si odono rumori di traffico e il brusìo dei cortei. La scena è scarna, delimitata da degli stendini ingombri di parrucche e camicie, scatole di cartone e la copertina del long playing degli cileni Inti Illimani. Tutto è pronto e attende la narrazione dei giorni perduti a rincorrere il sole, appena preceduti da passi a tre dei danzatori, un girotondo e qualche carosello. L’esordio è come un forte botto: la registrazione audio dei funerali del leader comunista Enrico Berlinguer, le voci del lungo sfilare mentre giunge l’eco di “Bandiera Rossa” inno del Partito comunista italiano cantato in coro dai militanti. Sceglie subito l’onda emozionale e nostalgica l’opera danzata in trio che offre anche intimi attimi da “Jules et Jim”: un lascivo gioco di accarezzamenti e sguardi, parte di un menàge a trois come lo straordinario film di Truffaut ha mostrato. E’ il tema della leggerezza inseguita negli amori impossibili, sempre sul filo del dramma e della tragedia, quasi un tema parallelo dello spettacolo degli Woosching Machine che segue da vicino le sorti di questi tre figli degli anni Settanta. Nella pellicola (1962) c’è la sfida coraggiosa ai canoni del cinema dell’epoca. E la spavalderia di Catherine, la protagonista, è la stessa delle ragazze che verranno dopo di lei. Qualche anno dopo contribuirà a preparare la nascita del femminismo e la rottura di molti tabù. L’aria di libertà che circola richiama le sensazioni trasmesse dalla coreografia di Bernardeschi e Paccagnella, italiani residenti da anni a Bruxelles: e la voglia è di far sapere, esibendo una punta di orgoglio, di essere stati parte di quella generazione che alla rivoluzione, bene o male, ci credette. Cominciando dal costume, il sesso e l’idea di diritti e libertà. Sono gli stessi che accompagnati dalla colonna sonora del tema musicale prescelto, suonato in un nervoso solo al pianoforte, mostrano una gestualità da “rivoluzione”, fatta di drappi rossi esibiti, corse nervose, mani alzate in alto a voler scalare il cielo.
Sono questi i momenti in cui l’opera coreografica conosce una decisa accelerazione, diventando quasi didascalica. E’ la bella e intensa sequenza di un passo a due di Bernadeschi-Paccagnella a cercare l’ancoraggio alla terra preparando l’attimo in cui la tensione si scioglierà come neve al sole, diffondendo nell’aria le note di “Alla mia età” di Tiziano Ferro. Una ballata struggente e melanconica che rivela: “mi sento come chi sa piangere ancora alla mia età/ E ringrazio sempre chi sa piangere di notte alla mia età/ E vita mia che mi hai dato tanto, amore, gioia, dolore, tutto/ Ma grazie a chi sa sempre perdonare sulla porta alla mia età”. Anche i rivoluzionari hanno un cuore.
Il brano di Ferro sfuma con una “Bella Ciao” cantata con incedere marziale da un coro russo. Assolutamente in sintonia con il mood prescelto dai due autori per questa inconsueta narrazione dedicata ai Settanta. E’ in crescendo un Helzapoppin pop che mette assieme situazioni e citazioni differenti con l’urgenza di segnalarlo e così marcare un territorio che forse non esiste più. Un mixare sempre più ardito e internazionale, che vede assieme l’eroina Angela Davis (con Lisa che danza indossando una parrucca di cotonati ricci neri), “I Have a Dream” di Martin Luther King, il racconto di un singolare incontro con la coreografa regina del teatro danza Pina Bausch a Genova (le madri e i padri), la psichedelia della sontuosa “White Rabbit” dei Jefferson Airplane o la disco di Whitney Houston (“I Feel Love”). Lo spettacolo a questo punto smette di essere rappresentazione di ricordi per mettere in scena _ zoppicando sul piano drammaturgico _un singolare gioco al massacro (“io ti uccido, ma per finta, tu rinasci e mi spari”) fino a una iconoclastica scena di una Crocifissione e un ultimo siparietto con il ricordo del casting di uno dei danzatori. L’opera alterna attimi di danza a cabaret, una teatralità sbrindellata ed esibizione di passioni vere. Lega il tutto una danza convincente nelle figure e nelle espressioni. E quello che è stato il Sessantotto? Risposte esplicite non ne esistono. Mentre scorrono in finale le riprese filmiche del funerale di Berlinguer, salgono le note del brano “El Pueblo Unido Jamàs serà vencido” e i danzatori liberano la scena degli oggetti e delle parrucche. Si racconta che in diverse repliche qualcuno del pubblico si sia alzato in silenzio con il pugno chiuso.
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