Teatro
L’Anima di Leonardo
Piccole storie di grandi uomini. I racconti di Leonardo come quelli di Esopo. Ma con un’atmosfera di pregnante modernità e ironia che lascia stupefatti. A tirarli fuori dal dimenticatoio ci hanno pensato Is Mascareddas, compagnia di teatro di figura tra le migliori d”Italia, che ha allestito un prezioso e significativo teatrino di petit histoires, utilizzando le parole del genio toscano tramite l’affabulazione di Donatella Pau sola in scena, accompagnata dalle musiche originali eseguite al pianino da Silvia Corda. L’attrice racconta e manipola gli oggetti e i pupazzi, da lei stessi costruiti con solida arte e sapienza, trasformando le storie brevi di Leonardo in haiku di delicata poesia e divertente teatralità. Storie minime per tutti, grani di saggezza conditi da tagliente sarcasmo e perspicace conoscenza degli uomini. L’autore della “Gioconda” anche in queste perle letterarie si conferma uomo geniale a tutto tondo, non solo grande inventore e ingegnere, ma artista aperto senza compartimenti stagni. Dipinge come se raccontasse. Racconta come dipingesse. E questi suoi scritti-dipinti diventano materia viva, fresca attualità quotidiana nelle sapienti mani di Pau, non solo manipolatrice e costruttrice di personaggi del mondo animale, ma drammaturg di mini racconti trasfigurati in altrettante piccole e folgoranti micropieces. Come quella del Ragno che, dopo aver esplorato una casa, di fuori e di dentro, fissa il suo confortevole domicilio all’interno di una serratura. D’altra parte cosa ci potrebbe essere di più sicuro? “Così stretto, buio, foderato di ferro gli sembrava più inattaccabile di una fortezza, più sicuro di qualsiasi armatura”. Ma… ecco il rumore di passi che si avvicinano. Svelto il ragno si ritira nel nuovo nascondiglio. Una chiave tintinna, “s’infila nel buco della serratura e il ragno schiacciò”…
Sopra un piccolo piano, proiezione di un palcoscenico in sedicesimo, prendono vita altre vicende, mentre da un capiente baule escono talpe e topolini, falconi e cardellini fatti di pezza e tulle, stoffa di abiti e bottoni che nell’istante in cui finiscono sotto la calda e fievole luce di una lampada si animano diventando palpitanti creature. Sono un falcone predatore che volendo catturare un’anatra viene beffato da quest’ultima: dopo essersi gettata a capofitto dentro l’acqua di un fiume inseguita dal falcone emerge subito per volare via lasciando il rapace con le ali inzuppate e un palmo di naso. Storia come maestra di vita. Una talpa ignora le raccomandazioni a non uscire fuori dalle sue gallerie e muore, come colpita da un fulmine, resa cieca da un luminoso raggio di sole. “Anche la bugia _ dice Leonardo _ come la talpa, può vivere soltanto se rimane nascosta: non appena essa viene alla luce per farsi notare, muore”. Altre gioie escono fuori dal capello della teatrante, raccontate in prima persona da lumi e farfalle. Indimenticabile quella del cardellino a cui rubano i piccoli. Li ritroverà chiusi in gabbia nella casa di un contadino. Non potendoli liberare l’indomani tornò e attraverso le sbarre della gabbietta li imboccò uno per uno.
Per l’ultima volta. “Infatti aveva portato alle sue creature il tortomalio, che era un’erba velenosa, e i piccoli uccellini morirono. _ Meglio morti _ disse _ che perdere la libertà”. Genialità artigianale e saggezza teatrale coincidono così in uno spettacolo lieve e delizioso, concentrato perfetto di quello che di straordinario e rappresenta il teatro di figura. Cardini di un universo straordinario popolato da teatranti a tutto tondo che usano un linguaggio popolare. E questi sono anche i riferimenti ideali che hanno guidato Is Mascareddas, troupe fondata da oltre un trentennio dalla stessa Donatella Pau assieme a Tonino Murru, nella ideazione e allestimento dell’ultima edizione del festival internazionale “Anima” andato in scena gli ultimi giorni di ottobre nelle diverse sale del teatro Massimo di Cagliari (e conclusosi appunto con “Le storie da Vinci” dei padroni di casa), in collaborazione con Sardegna Teatro. Un festival abitato anche stavolta di star e giovani talenti che hanno offerto spettacoli ed emozioni, alcuni di questi indimenticabili.
Il primo colpo al cuore arriva con l’inglese Drew Colby che, servendosi solo delle mani e di una luce proiettata su di un telo bianco, ha reinventato il cinema grazie a personaggi costruiti con le ombre cinesi. Con sofisticata ed elegante maestrìa di teatro d’ombre nel trascinante “Cinema in silhouette” Colby ripropone una rivisitazione di celebri film del secolo scorso recuperando scene topiche e immagini di culto da “Nosferatu” di Murnau a “Et” di Spielberg. Immagini che sono diventate icone inserite da tempo nell’immaginario popolare. Ma non solo cinema. Anche avventurose e spericolate spedizioni e viaggi attorno al mondo con incredibili belve che spuntano all’improvviso, cammelli da mille e una Notte e persino un sorprendente duetto con the Voice, Frank Sinatra. E poi una pioggia di caricature satiriche di personaggi famosi, tra cui Trump. Colby non è solo un virtuoso ma uno storyteller che utilizza in parte il linguaggio del cinema e del disegno ma anche l’arte marionettistica per raccontare visioni e storie con un ritmo squisitamente teatrale. Crea illusione ma ne rivela il segretocostruito in lunghe esercitazioni e una solida conoscenza dell’arte scenica.
Agli antipodi il lavoro del duo bosniaco peruviano formato da Hugo Suarez e Ines Pasic nel collaudato “Desde el azul”. Spettacolo fisico per eccellenza elegge il corpo umano a luogo e centro dell’atto teatrale. I piedi, le ginocchia, le mani e il ventre sono volta per volta protagonisti e testimoni di trasformazioni in personaggi dalla vita autonoma. Protagonisti di piccoli squarci di vissuto quotidiano dove l’attrice e manipolatrice Ines Pasic con abilità dà il ritmo giusto a passioni e sentimenti, mostrando contemporaneamente l’incredibile duttilità del corpo umano nell’essere esso stesso attore e teatro. Un lavoro, unico e singolare, che allarga i confini del teatro di figura con l’immagine dell’attore intento a consegnare pubblicamente la propria intimità in un drammatico gioco di composizioni/scomposizioni. E di altre intimità relaziona “Flirt”, opera prima di Silvia Torri vincitrice della selezione del Progetto Cantiere del festival Incanti di Torino, nella quale la protagonista assoluta è un preservativo femminile che racconta i suoi amori e suoi flirt, le sue cadute e i tentativi di rialzarsi. La scena è quella di un microteatro, una stanza delle bambole e di oggetti che l’attrice, nel ruolo di memoria narrante, sposta continuamente. Il racconto è alternato da accenni di dramma a momenti di umorismo in un continuo capovolgimento e doppio a cui però difetta ritmo ed eccessiva verbosità declamatoria.
Possiede un curatissimo impianto scenografico “Dorme” della Capra Ballerina Puppet Theatre di Viterbo di James Davies e Laura Bartolomei, quest’ultima impegnata a dare vita ai pupazzi, all’interno di un grande plastico di una casa su più piani. La rappresentazione, come indica il titolo, è dedicata a quella del viaggio notturno, tra sogno, incubi e realtà, fatto da una bambina. Le visioni dei mostri provocati nella cameretta da un’ombra dell’armadio fino a una sorta di disvelamento della vita e della morte, in quello che appare il momento più forte della rappresentazione: una discesa agli inferi ripresa all’interno di un acquario, dove le paure prendono il sopravvento con mostruose figure vestite di nero. E di humor nero sono percorse come una corrente elettrica le piccole pieces che compongono “Clown’s House” dei greci Merlin Puppet Theatre di Dimitris Stamou e Demy Papada. Dotati di una impressionante forza visiva, sono atti unici che introducono in una contemporaneità malata fatta di dipendenza televisiva, di solitudine e claustrofobia che a tratti sembra tuffare gli spettatori in universi deformati e al limite come “Trainspotting” di Dannys Boyle.
Atmosfere sulla soglia del surrealismo dove convivono assieme noia quotidiana e brutalità abitate da figure grottesche che sembrano disegnate _ come qualcuno ha osservato _ dalla mano di Roland Topor. Clowns che, se provocano il riso, questo è sardonico e amaro. Vite sbagliate, fermentate nella noia che alla fine esplodono in modo violento. Non c’è né amore né consolazione in “Clown’s House” ma solo il residuo di una rabbia profonda e antisistema che fa riflettere. I pupazzi manipolati in modo magistrale si muovono in ambienti minimali eppure iperrealistici che sembrano uscire da un palazzo di qualsiasi anonima periferia di qualsiasi anonima città occidentale. Ambienti su misura per esistenze al limite dello schizofrenico al centro di drammi dalla tensione acuta e dolorosa. Davvero potenti.
E tra tradizione e contemporaneità ha allestito il suo spettacolo indimenticabile una stella assoluta come il cinese Yeung Fai, ultimo rampollo di una lunga storia familiare di marionettisti che da oltre cinque generazioni raccontano storie con pupazzi sontuosi e unici mettendo in scena storie di tradizione risalenti molto indietro nei tempi. Le tecniche di manipolazione utilizzate da Fai rimontano infatti al diciasettesimo secolo e sono state custodite e praticate gelosamente da padre in figlio (vennero perseguitati durante la Rivoluzione culturale). Dopo i fatti di Tienamen la decisione di espatriare e iniziare una vita di giramondo. Yeung Fai con il tempo ha aggiunto, accanto alla sua arte tradizionale, nuove conoscenze e il risultato è che oggi il suo è uno spettacolo di figura ricco e spumeggiante, dotato di bella creatività come raramente capita di vedere. Ha dell’incredibile infatti, assistere al singolarissimo show, “The Puppet Showman”, di questo grande marionettista. Un mix coinvolgente fatto di tradizione e contemporaneità che alterna nel breve volgere di pochi secondi umorismo e dramma, costumi coloratissimi e colpi di scena, musica popolare cinese e rock’n roll. Yeung Fai poi è un autentico cabarettista che introduce volta per volta la sua presenza all’interno di una baracca costruita con leggere e fragili canne, eppure solidissime come fossero colonne di un autentico teatro. Qui dentro esplode un universo popolato da dragoni e tigri, scene classiche e dei nostri giorni avvolte da una accattivante magia.
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