Teatro
La strategia degli applausi, ovvero saluti al pubblico (in attesa del voto)
Aspettando gli esiti del voto, forse è meglio pensare ad altro. Divagarsi un po’, prima di capire dove andrà il Belpaese. Ci sarà da festeggiare? Da combattere? Da far la valigia? Vedo Bruno Vespa in tv e tremo.
Nell’attesa, per distrarmi, ripensavo a un “post” pubblicato qualche giorno fa dal regista Massimiliano Civica, che esprimeva non poche perplessità alla pratica, ormai diffusa tra alcuni attori, di “fare un selfie” a fine spettacolo, di fronte al pubblico che applaude.
Allora ho stilato, con il sostegno di un amico, una improbabile “teoria e tecnica del saluto teatrale”. Un cataloghetto di saluti possibili agli applausi, fatto di gesti, atteggiamenti, tic, nevrosi di attori e attrici che ringraziano il pubblico. Dai saluti del teatro d’Opera, con quei fiori che volano verso le soprano, alle celebri apparizioni di Carmelo Bene, che si faceva annunciare da misteriosi movimenti del sipario chiuso per far crescere l’attesa entusiasta del pubblico, oggi i protagonisti della nostra scena possono sfruttare metodi e modi curiosi per tirare tre minuti di applausi in più. Captatio benevolentiae, a volte; più spesso sincero ringraziamento, i “saluti” sono una parte curiosa dello spettacolo, e come tali vanno provati e pensati.
E se pure ci sono sempre i saluti “all’antica italiana”, con i comprimari che entrano per primi e le “star” che arrivano alla fine, in un crescendo (e un bilancino) d’applausi, ecco dunque altre ipotesi di saluto:
1) Dirigere il traffico: “indirizzare” gli applausi, per dedicarli al regista, ai tecnici, all’autore, alla mamma, alla nonna, tagliando l’aria con le braccia, indicando nevroticamente questa o quella parte della sala. Su, giù, destra, sinistra, in alto, in basso fino a confondere definitivamente la platea.
2) La contrizione: uscire contriti, concentrati, presi da quanto fatto da non potersi distrarre un momento.
3) Farsi sentire affannati, con il fiatone, come se si arrivasse da una maratona o da una ben più nobile via crucis: quel respirone rivela la tanta, tanta, tanta, fatica. Poi finalmente respirare. Il pubblico raddoppia il battimani.
4) Battersi il cuore con il pugno della mano destra, uno, due, tre volte e poi aprire la mano stessa verso gli spettatori, magari con sguardo d’intesa. Fa tanta solidarietà.
5) Applaudire il pubblico, che applaude l’attore o l’attrice: una circolarità d’applausi a spirale da cui si può uscire anche dopo ore.
6) Inventare una mossa speciale. Come un calciatore qualsiasi, anche l’attore ha diritto alla sua mossetta: una posa, un ammiccamento, un gesto. Tutto fa personaggio. C’è anche chi fa il cuore unendo le due manine tipo giapponesi in vacanza.
7) Inventare una microcoreografia, un balletto insomma. Con due varianti: coreografia restando in personaggio, oppure uscendo dal personaggio. Rientrano nel gruppo anche la corsa da fondo scena, tutti per mano, con arresto improbabile in proscenio; e la corsetta dentro e fuori scena, con guizzi di entusiasmo che si manifestano attraverso saltelli, piroette, salto di ostacoli in scena.
8) Fare ok col ditone, tipo “like”, e poi indicare con l’indice qualcuno degli spettatori a caso (che così si emoziona e si sente coinvolto)
9) Prepararsi un discorsetto propagandistico: “se vi è piaciuto ditelo agli amici, se non vi è piaciuto andate a quel paese…”. Di solito non ha seguito, ma fa effetto.
10) Parlottare, scherzare, dar fastidio al collega, e poi di colpo concentrarsi sul pubblico per gratificarlo.
11) Fare grazie a mani giunte, con modestia tutta orientale.
E dunque vedete quante altre possibilità oltre a farsi il selfie con il pubblico. Ma ricordatevi, se volete farlo, di farlo presto, prima che gli spettatori abbandonino la sala.
(nella foto di copertina: gli attori e le attrici di Mount Olympus, di Jan Fabre, salutano il pubblico dopo 24 ore di spettacolo)
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