Teatro
La semplicità ingannata continua a ribellarsi in teatro
NOTO. “La semplicità ingannata” di e con Marta Cuscunà è uno spettacolo notevolissimo, non solo per la forza intrinseca della storia che vi si racconta e/o per la straordinaria capacità performativa con cui l’artista sa stare in scena, prendersi la complicità del pubblico, incarnare e far vivere la vicenda rappresentata, piuttosto è un gran spettacolo perché ogni sua parola, ogni suo gesto e movimento, ogni sguardo, ogni pensiero pensato e suggerito, ogni tono e ogni colore è denso di lucidità intellettuale, di consapevole politicità e di militante femminismo.
Non è poco e non si tratta di una qualità molto diffusa nel teatro di questi tempi. Detto questo, non ci sarebbe molto altro da aggiungere, perché questo giudizio, nel suo essere estremamente sintetico, dice del maggior pregio di questo spettacolo ovvero dell’intelligenza militante con cui è stato concepito, pensato e realizzato, segmento dopo segmento. D’altro canto, l’impressione dell’importante sostanza di questo lavoro è segnalata anche dal suo sottotitolo “satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne” e dal fatto che, insieme con “È bello vivere liberi” e “Sorry, boys”, fa parte, come segmento centrale, della trilogia “Resistenze femminili”: appare evidente la politicità del campo semantico che si apre tra le parole “satira” e “resistenze”.
È portata in scena la storia della ribellione “anti-paternalista” avvenuta nel lontano cinquecento nel convento delle Clarisse di Cividale del Friuli: ribellione contro i padri che rinchiudevano le loro bambine in quel convento per motivi economici ed essendo colpevolmente sordi alla volontà e alla mancanza di vocazione delle loro bambine innocenti, ribellione contro i padri della Chiesa che, tramite l’Inquisizione, estorcevano vita, autenticità e felicità a quelle ragazze solo per mantenere intatta l’immagine esteriore della chiesa e integro il suo potere temporale, ribellione contro i padri della Repubblica Veneziana che non sapevano difendere quelle ragazze dalla violenza delle monacazioni forzate. Una storia che la Cuscunà trae da un importante e poco conosciuto scritto di Arcangela Tarabotti (“La Tirannia Paterna overo Semplicità Ingannata di Galerana Barcitotti Consacrata a Dio” pubblicato postumo intorno al 1654 in Olanda).
Ad essere raccontata, non tanto in forma di monologo quanto sapendo rispettare e accogliere la coralità e la plurivocità implicite in una vicenda del genere (e certo suggerite anche dalle pupazze presenti in scena), è la barbarie dell’usanza delle monacazioni forzate (esperienza vissuta dalla stessa Tarabotti) e lo straordinario coraggio di quelle suore che a quella violenza seppero ribellarsi insieme, coraggiosamente e per diversi anni. Una ribellione proto-femminista che viene attraversata con intelligenza, emozione e partecipazione, ma ponendosi sempre in una giusta e meditata distanza antropologica da quei fatti. Una distanza che è sottolineata anche dalla scelta delle musiche (dai Queen a Nicola Piovani, da Niel Diamond a Tracy Chapman, da Morricone e da Clint Eastwod ad Aimee Mann, passando per Bach e Mozart), che è straniante rispetto all’atmosfera tradizionale di un monastero ed è finalizzata a suggerire l’universalità, la modernità e la durata dell’esperienza di lotta di quelle donne. Spettacolo visto in Sicilia, a Noto, il 19 gennaio scorso nel contesto della rassegna “Esplora, Palcoscenico contemporaneo” del Teatro di Comunale “Tina di Lorenzo”.
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La semplicità ingannata
satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne
liberamente ispirato alle opere letterarie di Arcangela Tarabotti e alla vicenda delle clarisse di Udine
Di e con Marta Cuscunà. Assistente alla regia Marco Rogante. Disegno luci Claudio “Poldo” Parrino, disegno del suono Alessandro Sdrigotti, tecnica di palco, delle luci e del suono Marco Rogante, realizzazioni scenografiche Delta Studios, Elisabetta Ferrandino, realizzazione costumi Antonella Guglielmi, co-produzione Centrale Fies, Operaestate Festival Veneto, cura e organizzazione Etnorama. Distribuzione Jean-Francois Mathieu
Crediti fotografici: Alessandro Sala Cesura lab.
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