Teatro
La protagonista stasera è la scienza, e si prende un mare di applausi
«Il rapporto tra teatro e scienza è tessuto di intermittenze e permanenze, continuità e discontinuità – scriveva lo storico Luciano Mariti nel 2004 nella prefazione al numero monografico “Forme del sentire performativo” di Biblioteca Teatrale – generalmente, non si pensa mai al teatro e alla scienza come a due attività complementari. Eppure la loro relazione è molto antica e profonda. Una parentela talmente stretta, che si potrebbe addirittura sostenere che, in Occidente, la scienza sia originariamente un epifenomeno del teatro».
È curiosa, questa storia d’amore clandestina: scienza e teatro si guardano di lontano, si corteggiano, a volte si incontrano e spesso si amano, ma sempre – come dire – senza impegno. Eppure è innegabile che tra i due mondi ci sia una reciproca influenza.
Continua Mariti: «Nel secolo scorso si sono sviluppati metodi scientifici e saperi (come la psicoanalisi, la fenomenologia) che si interrogavano sul “propriamente umano”, sulla dinamica delle relazioni, sull’esperienza storica dell’individuo, sul sentire soggettivo, sulle passioni e il desiderio, e per farlo combinavano metodi analitici e procedure analogiche, processuali, metaforiche, retorico-discorsive. In tal senso, la scienza è stata intesa come arte (…) D’altra parte si è sviluppata una pratica dell’arte che si è lasciata interrogare dai saperi scientifici, utilizzandoli a volte per rinnovare i suoi stessi linguaggi, le sue tecniche, i suoi orizzonti».
È emblematica, ancora una volta, la lezione di Luca Ronconi, che si è lasciato sedurre spesso da temi scientifici: memorabile l’esempio di Infinities, allestimento meraviglioso del 2002, su canovaccio del matematico e cosmologo inglese John Barrow, che fu un tentativo (riuscito) di drammaturgia scenica pensata sulle regole e le modalità della scienza. Ma di slanci “scientifici” il teatro ha vissuto spesso: tra i tanti esempi vale la pena citare almeno il Prometeo incatenato di Eschilo o La vita di Galileo di Brecht, oppure ancora a Copenaghen, testo di Michael Frayn che vedeva come personaggi il fisico danese Nils Bohr eil suo allievo Werner Heisenberg (una bella ricognizione, in questo senso, l’ha fatta Andrea Bisicchia nel suo volume Teatro e Scienza, Utet).
C’è anche chi, recentemente, ne ha fatto il proprio campo di indagine scenica: il giovane attore e autore Andrea Brunello, PhD in Fisica teorica, ha al suo attivo due spettacoli davvero intriganti. Il primo è “Il principio dell’incertezza”, presentato anche al Fringe di Edinburgo nel 2013, che prende le mosse dai libri e dalla biografia di Richard Feynman, importantissimo e popolare fisico statunitense premio Nobel per la fisica nel 1965, e mescola le teorie più evolute della meccanica quantistica, le teorie dei mondi paralleli, con i segreti del professore protagonista della storia. Il secondo lavoro, invece, è dedicato a una riflessione che parte da suggestioni legate a Albert Einstein sul concetto di spazio-tempo e ha un titolo buffo: Torno indietro e uccido il nonno. Lo spettacolo, che ha debuttato nell’ottobre 2014 al Festival della Scienza di Genova, affronta una delle domande più profonde di tutti i tempi: “Dove va il Tempo che passa?”. Vale la pena vederlo per tentare una risposta.
Intanto, mentre le Università aprono agli studi di teatro e scienza, anche seguendo le teorie sui neuroni specchio declinate alla prosa che alla danza, si è capito che il teatro può essere utile per fare alta divulgazione scientifica, coinvolgendo giovani generazioni e appassionati di ogni età.
Quello dell’Educational Theatre è un approccio ai percorsi formativi, basato su gruppi propedeutici alla visione, su esperienze laboratoriali e allestimenti teatrali dal taglio fortemente pedagogico, che ha come obiettivo non tanto e non sono solo i bambini o ma una articolata idea di educazione, che intreccia le espressioni artistiche.
In quest’ambito ben si colloca un vivacissimo progetto, Scienze in atto, che ha preso vita a Novara, mettendo assieme il Teatro Coccia, le scuola e l’Istituto Donegani, sconosciuto forse ai più ma molto noto agli addetti ai lavori, dal momento che è, da oltre settanta anni, uno dei più prestigiosi centri di ricerca industriale in Europa, impegnato nello studio e sviluppo di tecnologie innovative in diversi campi della chimica. Oggetto di analisi (e di teatro) in questo caso sono state le energie rinnovabili, argomento di assoluta e condivisibile attualità. Vari gruppi di studenti delle scuole superiori sono stati chiamati a lavorare, per tutto l’inverno, a drammaturgie originali sul tema. Coordinati dalle dramaturg Federica Di Rosa e Alice Marinoni, cui spettava il non facile compito di guidare gli allievi a rendere “teatrali” protagonisti anomali come i pannelli solari meglio definiti “concentratori solari luminescenti”. Il progetto Scienze in atto, si è rivelato un intelligente gioco, appassionante per molti, che ha prodotto anche un cortometraggio (seguito dal regista Davide Stecconi) e un originale musical, ed è stato possibile grazie a Eniscuola e al Centro Ricerche Eni per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente.
In fondo, se nel 1755 John Hill, nell’introduzione a The Actor, affermava: «l’arte è una scienza e deve essere studiata come tale», oggi, ribaltando la prospettiva, possiamo a questo punto concludere che la scienza è un’arte, e può essere vissuta (e recensita) come tale?
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