Teatro

La Grande Magia: con Eduardo si parla ancora di Teatro

20 Dicembre 2019

Bisogna partire dalla fine. Durante il bell’applauso che ha salutato la prima de La Grande Magia, di Eduardo De Filippo, con la regia di Lluis Pasqual, al teatro Argentina di Roma, gli attori, tutti allineati in proscenio, hanno chiesto la parola. Alternandosi, hanno dato lettura di un comunicato, dai toni fermi e piuttosto duri. A parlare sono stati Alessandra Borgia, Gino De Luca, Angela De Matteo, Gennaro Di Colandrea, Luca Iervolino, Ivana Maione, Francesco Procopio, Antonella Romano, Luciano Saltarelli, Giampiero Schiano, mentre sono rimasti in disparte – sul fondo, quasi in quinta – i due protagonisti principali, Nando Paone e Claudio Di Palma, e non ci è dato sapere perché la scelta di questo posizionamento.

Nel comunicato (che poi mi sono fatto mandare via mail), in gran parte condivisibile e certo frutto di sincera mobilitazione, si legge, tra l’altro: «La compagnia de “La grande magia” ha deciso di porre all’attenzione del pubblico un nostro disagio che non può più continuare… Noi lavoratori dello spettacolo, attori e tecnici, lavoriamo sempre. In qualsiasi condizione, anche quando siamo ammalati, quando qualcuno ci lascia per sempre, col cuore spezzato, anche quando non ci pagano perché gli enti pubblici e privati non rispettano i tempi di pagamento… Noi, purtroppo, siamo abituati a lavorare anche quando non ci rispettano. Ci hanno insegnato che “The show must go on”, lo spettacolo deve andare avanti, sempre. Per voi che siete qui e avete pagato per partecipare alla magia del teatro. Ben presto questo non sarà più possibile, perché abbiamo capito che noi, attori e tecnici che rendono possibile ogni sera questa magia, siamo i primi a non poter mancare di rispetto al nostro lavoro… Noi facciamo di tutto per amore di questo lavoro, ma non vogliamo più essere mancati di rispetto e non siamo più disposti alla logica dello “show must go on”. Noi subiamo ritardi cronici sui pagamenti, in barba ai diritti che ci vengono garantiti dal contratto nazionale. E dalle spiegazioni che ci danno i nostri referenti non si riesce nemmeno a capire bene di chi sia la responsabilità. Noi sappiamo solo che stasera qui avremmo potuto non esserci, stando alle regole del contratto nazionale avremmo avuto il diritto di non esserci, ma ci siamo. Non abbiamo avuto la forza di rompere l’antica legge dello spettacolo, ma siamo qui per dirvi che ci auguriamo che, prima o poi, come categoria, riusciremo a trovare questa forza. Non siamo giullari di corte da un pezzo. Siamo operai dell’arte, lavoratori, artigiani, artisti ma non più giullari… Il nostro appello si rivolge quindi agli enti pubblici, ai funzionari, ai direttori dei teatri, agli assessori comunali e regionali, in generale a tutti ii politici che giocando con il danaro pubblico si riempiono la bocca con la parola “cultura” senza rispettare chi questa cultura la produce realmente e quotidianamente: Voi siete gli unici responsabili se la magia di questa arte antichissima oggi sta morendo di noia di freddo e di inedia…».

Chi sono i destinatari di questo testo? Certo, il riferimento immediato, anche se non esplicitato, sembra essere il Mercadante di Napoli, il Teatro Nazionale diretto (almeno fino alla fine di questo anno) da Luca De Fusco. Lo spettacolo è infatti prodotto da Napoli, dove ha riscosso già buon successo – e proprio nella “casa” che fu di Eduardo De Filippo, il teatro San Ferdinando. Ma il discorso del comunicato si allarga per forza di cose a un piano nazionale, chiamando in causa politici, funzionari, amministratori, che sembrano disinteressarsi a quando accade sul palcoscenico, sembrano dimenticare che i veri protagonisti della cultura teatrale italiana sono gli attori, le attrici, i tecnici: insomma tutti coloro che si fanno carico di andare in scena, sera dopo sera. E troppo spesso questi artigiani-artisti sono costretti a subire condizioni capestro. Da tempo sosteniamo che il FUS, il Fondo Unico dello Spettacolo, elargito dal Mibact, dovrebbe essere raddoppiato, o almeno aumentato in modo considerevole, per farla finita con questa “guerra tra poveri” che attanaglia il settore. Riuscirà il ministro Franceschini a dare un segnale in questo senso? Staremo a vedere.

 

Foto Marco Ghidelli

 

Intanto parliamo dello spettacolo, che è un bello spettacolo. Parliamo de La Grande Magia, uno dei testi forse più pirandellianamente contorti del genio napoletano, scritta da Eduardo nel 1948.

A dirigerlo questa volta – e sue sono anche scene e costumi – con la consueta eleganza e con il candido amore per il mondo “povero” e popolare dei guitti, è Lluis Pasqual, maestro catalano che fu allievo di Giorgio Strehler (che la mise in scena reiteratamente: ricordo al versione degli anni Novanta).

E la discendenza, o forse l’omaggio a Strehler, si nota: in quel gioco di luci, con tanto di ribaltina a terra, quell’eleganza dei costumi d’inizio Novecento, quell’attenzione all’arte drammatica – ossia dell’Attore – nella costruzione e nell’elaborazione del personaggio che sembra, sempre più, destinata purtroppo a estinguersi sotto i colpi secchi della deflagrante “performatività”.

Paone e Di Palma, foto Ghidelli

Allora, la vicenda si dipana lieve e grottesca, ironica e sentimentale. Ci si commuove anche un po’, di fronte alle improbabili vicende del “professor” Otto Marvuglia e della sua assistente Zaira, che con un “trucco” ben pagato fanno sparire la moglie di Calogero Di Spelta, uomo ossessionato dalla gelosia e forse per questo abbandonato dalla consorte, che coglie l’occasione del gioco di prestigio per una fuga a Venezia con il suo bellimbusto.

E il dramma, pirandelliano appunto, del tradimento diventa ossessione, diventa inseguimento sterile di una “fiducia” (nella compagna, o in sé) tra “giuoco, illusione e fede” che riduce Di Spelta alla follia. Tra verità e finzione, tra fantasia e realtà, insomma La Grande Magia è un candido, lieve, affresco umano, arricchito da illusioni bambine e sapienze napoletane. Ben orchestrato, il lavoro si apre anche a momenti di coinvolgimento del pubblico, chiamato a cantare dalla brava Dolores Melodia con la sua fisarmonica.

 

Foto Ghidelli

Ma è, soprattutto, un sincero omaggio all’arte antica del recitare, del gioco teatrale, dello spettacolo dove la magia – quella vera – è il teatro stesso. Ottimamente interpretato da un Nando Paone che sa evocare gli aspetti drammatici di Totò e le asciutte stravaganze di Eduardo, e da un mirabile Claudio Di Palma, trascinante nel ruolo di Calogero Di Spelta, che si guadagna una assoluta centralità, ricordando qua e là – per movenze, toni, intensità – la grandezza di un attore come Enrico Maria Salerno.

Con loro, il citato gruppo di co-protagonisti, capaci di dar vita a un mondo frenetico, vivace, appassionato, vero. Sono il contraltare popolare, materico, concreto dell’illusione. Oltre la magia, c’è la vita: con le passioni, i soldi, la fame, l’amore, le battute, gli scherzi. E con la dignità.

 

In scena al teatro Argentina di Roma fino al 5 gennaio.

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