Teatro
La Calabria e il suo festival meridiano
La differenza è ancora in quella Salerno-Reggio frantumata e incompleta, nella eterna deviazione chilometrica tra Laino e Mormanno, che ti costringe a scalare i tornanti del Pollino, passare dentro i paesi, scivolare accanto a ville nascoste abitate da chissà chi. Per arrivare a Castrovillari, al Festival Primavera dei Teatri, occorre tempo e pazienza. Bisogna essere motivati, per fare teatro a sud.
Eppure questo festival, organizzato da sedici edizioni dalla compagnia Scena Verticale con coraggio e determinazione, è un avamposto di teatro e cultura per tutta la Calabria e il meridione (e non solo). Non è facile far teatro a queste latitudini: la Regione è quanto meno “distratta” – e lo sa bene anche quello che era il Teatro Stabile di Calabria – gli enti locali non investono. Eppure, sotto il profilo levigato del monte Pollino, ogni anno prende vita un festival aperto alle novità, alle curiosità, a quella che si può chiamare Ricerca.
Il pubblico risponde bene: le sale dell’ex protoconvento francescano, gli spazi del Teatro Sybaris, come pure le tavole delle trattoria La Torre Infame (con quella incredibile pasta al vino) sono sempre affollate.
Per l’edizione 2015, Primavera dei Teatri ha messo in cartellone tutto o quasi il miglior teatro “made in Sud”: svelando che, di fatto, una prospettiva meridiana ha ancora senso, nonostante tutto. Gruppi e artisti pugliesi, campani, siciliani e ovviamente calabresi, si affiancano a compagini emiliane o friulane, confermando – laddove ce ne fosse bisogno – che nel sud Italia si producono spettacoli importanti, taglienti, con buona pace della strombazzata riforma di settore che al meridione ha dato poco e nulla per colmare quel gap non solo autostradale ma economico, strutturale, politico.
Merito dunque di Saverio La Ruina, Dario De Luca, Settimio Pisano e tutto il giovane staff raccolto attorno a Scena Verticale, se anche quest’anno Primavera dei Teatri ha offerto più d’uno spunto di interesse, tra debutti assoluti e riprese significative.
L’epifania è con Scannasurice, testo giovanile di Enzo Moscato, mirabilmente interpretato da Imma Villa con la regia di Carlo Cerciello. È un lavoro di pregiata fattura: travolgente, trascinante, poetico, doloroso. Un monologo che – come tutti i testi di quel grande poeta che è Moscato – fa della lingua napoletana il terreno per un’esplorazione speleologica, per uno scendere nelle viscere non solo fonetiche e semantiche ma anche storiche, liriche, sociali.
La narrazione, dunque, diventa una grotta da scoprire, un abisso in cui calarsi immemori, un labirinto in cui perdersi – per gioco o per disperazione – seguendo le sonorità gutturali o cristalline di parole-mondo che evocano, struggono, segnano, colpiscono. In una bellissima struttura scenica, di Roberto Crea, che si svela nel finale come scorcio macabro di un cimitero abbandonato; sul millimetrico tessuto sonoro di Hubert Westkemper; con le luci di Cesare Accetta e le musiche originali di Paolo Coletta – che reinterpreta anche arie d’opera celebri – si snocciola il racconto delirante di una figura ambigua, donna e uomo, profeta o maga, veggente o ubriacona, madonna e puttana. Evoca, suggerisce, sogna, ricorda, si strugge: parla dai bassifondi di una città scossa dal terremoto, parla dall’oltretomba, al vuoto, a sé o al mondo. Incanta e trascina, la straordinaria Imma Villa, bellissima e asprissima in quel fluido fiume di parole. I racconti si intrecciano e si sovrappongono: da quello del fantasma del munaciello alla sconsolata dichiarazione d’amore della prostituta per uno sconosciuto. La calibrata regia di Cerciello porta al culmine la tensione emotiva del testo di Moscato, lo rende armonioso spaccato di passioni e rancori, inquadra quella solitudine tra povertà e bottiglie di vinaccio, tra amori impossibili e barocche visioni. Così quel napoletano antico e ridondante (seppure a tratti incomprensibile: ma non importa, tanto si è travolti dal flusso magico e dalla maestria di Villa) diventa l’affresco commovente dell’umanità sotterranea e nascosta, marginale e abbandonata, di una Napoli eternamente spacciata, condannata a se stessa dal proprio dolore, dalla propria sconfitta. È questo il mondo dei topi, notturni e catacombali: “surice”, dice il titolo, come sorci, scannati dalla vita.
A fronte della rigogliosa e sulfurea scrittura di Enzo Moscato, c’è la scabra e scarna dialettica di Quotidiana.com, il duo riminese che esce dal proprio mondo appartato per proporre ogni volta surreali e stranianti dialoghi. A Castrovillari, Roberto Scappin e Paola Vannoni hanno presentato il secondo capitolo della trilogia Tutto è bene quel che finisce. Stavolta il titolo, significativo, è Io muoio tu mangi! anatema sconfortato e severo che il padre ricoverato terminale lancia al figlio. Proprio dalla condizione dell’assistenza ospedaliera, dell’accanimento terapeutico, dell’impossibilità tutta italiana e cattolica di morire (e di vivere) senza soffrire troppo, si dipana il racconto, rarefatto e surreale, disteso in un tempo lento, sospeso in un vuoto volutamente angosciante. Quotidiana.com lavora da sempre così: stiracchiando, sussurrando, togliendo, sospirando, negando ogni possibile spettacolarizzazione o buttandola in parodia. Accerchiano la noia, la corteggiano, si distillano in tempi sfranti, in dialoghi sempre al limite della grottesca e impacciata caducità. Qui mettono assieme la commedia di Dante e la geriatria, la morte in ospedale e il Paradiso, una metateatralità sorniona e una denuncia – aspra e amara – del cristianissimo culto del dolore. Come reggere alla morte del padre, come non scendere a compromessi con la dignità di una persona che vuole solo morire e non gli è concesso?
Lo spettacolo, nella sua radicale antispettacolarità, ha dalla sua la cifra sghemba e avviluppante del gruppo, quell’ironia caustica che tutto e tutti travolge (prima di tutti gli autori stessi): il rischio, all’orizzonte, è che tale cifra si faccia maniera, soluzione rapida, addirittura escamotage. Però quel cupo, nero, sottile, ipercontemporaneo sguardo sul presente ha ancora molto da raccontare.
Resta da dire di altri tre spettacoli visti a Castrovillari, ovvero di Polvere, dei padroni di casa Scena Verticale; de Le Beatitudini di Fibre Parallele, e del monologo Milite ignoto-quindicidiciotto di Mario Perrotta. Ma sarà per il prossimo articolo.
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