Teatro
L’ombra inafferrabile della realtà
Peter Pan è personaggio conosciuto e amato da troppi perché se ne debba scrivere un nuovo ritratto. Il bambino “che non vuole crescere” dello scrittore scozzese Sir James Matthew Barrie è un’ipostasi riuscitissima del nostro relazionarci con il mondo. Che comunque non è mai il mondo reale, ma sempre la nostra rappresentazione del mondo reale. Il mondo reale è inconoscibile: possiamo solo interagire con esso, e conoscere le nostre e sue reazioni. Che ancora non si sia trovato come far combaciare le coordinate della relatività generale con quelle della teoria dei quanti – l’idea delle “stringhe” si è rivelata, anche se affascinante, una supposizione infeconda – la dice lunga su quanto sia problematico il rapporto dell’homo in-sipiens (come preferisco chiamare la specie che ama autodefinirsi “sapiens”) con la realtà di cui fa parte. Ebbene, se ci sono individui che si rifiutano di crescere, esiste anche una realtà ancora più angosciante, che non è però dovuta alla volontà di chi ne è il soggetto (o sì?), bensì a una malattia di degenerazione delle cellule cerebrali di cui si conosce il processo, ma non si conosce ancora l’origine: l’Alzheimer. Solo superficialmente potremmo dire che si tratta di una regressione agli stadi infantili.
La perdita della memoria, della capacità di costruire e organizzare qualunque discorso e qualunque rapporto con la realtà non è infatti una regressione allo stato d’infante, ma la ben più tragica condizione dell’insorgere, nei vecchi, di una incapacità di relazionarsi con il mondo, gli altri simili compresi, o in primo luogo. L’ombra di Peter Pan è allora questo lato oscuro, questa parte di noi che non si riesce più a cucire al nostro corpo, per permetterci di captare ciò che sta fuori: l’ombra appunto, che si struscia e si adagia su tutte le superfici del reale.
Gianluca Paradiso individua in questa impossibilità di cucire l’ombra alle dita dei piedi la rottura tra noi e il mondo. Lo ripete più volte il giovane protagonista dell’Ombra di Peter, interpretato dallo stesso Paradiso, nella rappresentazione vista al teatro Elettra di Roma. E lo ripete la madre, impersonata da Caterina Ricomini, inutilmente. L’ombra non si attacca, non si riesce a cucirla alle dita dei piedi. Lo spettacolo dura circa tre quarti d’ora. La tensione cresce via via fino a diventare quasi insopportabile, almeno per chi abbia vissuto l’esperienza di un parente, di un amico, di una persona cara devastati da questa malattia. Osservare giorno per giorno il declino di chi si è conosciuto intelligente, vivace, affettuoso, attivissimo nella vita, è dolore indicibile. Anche perché chi ne è affetto, nei primi periodi si accorge dell’avanzare della malattia: “sto perdendo la testa” mi disse mia madre. E quando non se ne accorge più è l’inizio della fine, che può durare anni. A mio zio la fine ci mise sette anni per finire. Il declino, nei secoli passati si chiamava demenza. E lo è. Si capisce, e si ama, con un nodo alla gola, nella rappresentazione, a un certo punto, lo scatto del figlio – ma vaff.! – all’ennesimo tentativo, fallito, di riattivare la memoria della madre. Paradiso è tenerissimo – e bellissimo! quando bacia le guance della madre – nel raffigurare il giovane che disperatamente cerca di riattivare nella donna la figura che se n’è fuggita via, fosse anche solo la figura di chi a lui bambino tutte le sere raccontava la fiaba di Peter Pan. E Caterima Ricomini disegna con efficacia il volto sorridente, assente, ebete, appunto, della malata di Alzheimer. L’angoscia sta tutta in quel “vaff.” strozzato nella gola, non completato, del ragazzo: che è il segno di una disperata impotenza. Non esistono cure, non esistono aiuti. Esiste solo una inutile disperazione, che non può aiutare nessuno, nemmeno chi si dispera.
ROMA TEATRO ELETTRA, L’OMBRA DI PETER di Gianluca Paradiso. Con Gianluca Paradiso e Caterina Ricomini.
Rappresentazioni: 7, 8 9 ottobre 2022
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