Teatro

Irene Serini porta in scena Mario Mieli fra incantesimi d’identità e pensiero

30 Giugno 2021

Su un grande palco all’aperto contornato dagli alberi, all’interno dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, ieri sera è tornato in scena Abracadabra – Incantesimi di Mario Mieli di Irene Serini.
Quarto episodio di un percorso a tappe che, in seguito a una residenza a Olinda, aveva debuttato al Litta a ottobre 2020, subito prima che i teatri chiudessero. La seconda e ultima replica è prevista per stasera, 30 giugno.

Mario Mieli, nato a Milano nel maggio del 1952, penultimo di sette figli, è stato un intellettuale dirompente per la sua epoca e ancora per la nostra. Nel 1977, Giulio Einaudi aveva pubblicato la sua tesi di laurea in filosofia morale: Elementi di critica omosessuale. Qui Mieli rivedeva in chiave marxista la teoria della sessualità di Freud, che già riduceva omosessualità ed eterosessualità a varianti possibili della sessualità umana. In questo senso, l’orientamento sessuale non esiste e, mentre gli attributi sessuali fisici ci caratterizzano solo biologicamente come maschio o femmina, essere donna o uomo afferisce invece a ruoli imposti dalla società: il maschio dunque è portato ad assumere le caratteristiche dell’Uomo e la femmina quelle della Donna, reprimendo sempre una parte del proprio essere, quando in realtà siamo tutti di base transessuali.

Circa cinque anni fa Irene Serini incontra il suo pensiero e se ne innamora. Così decide di fare un lavoro su di lui attraverso cinque studi, uno all’anno, fruibili indipendentemente l’uno dall’altro.
Nel primo studio è completamente sola in scena. Viene poi affiancata da Caterina Simonelli, soltanto come tecnica nel secondo spettacolo, poi anche attraverso brevi interazioni nel terzo, mentre ora è anche lei in scena. In questo quarto studio si è aggiunta anche Anna Resmini, per ora presente attraverso le sue illustrazioni, mentre nel prossimo sarà anche sul palco: ogni volta si aggiunge un pezzo che si sedimenta e resta nei successivi lavori aprendosi a sua volta a raccogliere un elemento nuovo.
“Rispetto agli altri,” racconta Anna Resmini “questo è uno studio un po’ più complesso: affronta infatti il momento del pensiero di Mario Mieli in cui lui riscontra una concatenazione fra la definizione di genere e il sistema capitalistico: dichiararci donne o uomini, definirci, aiuta il capitale. Non è certo una questione che si possa trattare in poche frasi ma possiamo pensare anche semplicemente al fatto che vengono prodotti rasoi rosa per le donne e neri per gli uomini, abiti da donna e abiti da uomo, giochi da bimba e giochi da bimbo. Chiudendoci in queste definizioni non riusciamo a vivere la nostra fluidità. Negli anni ‘70, nonostante si fosse nel pieno di un periodo di grande cambiamento, quest’idea era molto difficile da accettare, ma anche oggi continua a risultare piuttosto scomoda”.  L’iper-categorizzazione di genere è una questione di cui hanno discusso a lungo durante il confronto con Raffaella Colombo, filosofa morale che li ha affiancati nel lavoro aiutandoli a dipanare alcune questioni del pensiero di Mario. “Il percorso di Irene si è fondato su tre domande: che cos’è l’identità, chi la determina e a chi serve. L’iper-categorizzazione identitaria a cui si va incontro oggi non è assolutamente ciò che auspicava Mieli: è anzi qualcosa che ci spinge ancor più a chiuderci in modelli a cui bisogna aderire invece di vivere liberamente la propria fluidità. Quello che succede negli Stati Uniti è che ogni minoranza che non si sente rappresentata inventa una categoria nuova, segmentando ancora di più le identità possibili. Per il capitalismo questa segmentazione ha un’utilità specifica”: più frammentazioni di genere vengono definite e nominate, più nasceranno prodotti specifici per quella frammentazione di genere.

Tutto questo passa in filigrana in questo quarto studio. Irene Serini infatti in scena non parli mai del pensiero di Mario Mieli: piuttosto, lo agisce. Abracadabra è uno spettacolo che non accontenta mai il pubblico, si sposta sempre, rompe e ri-rompe il patto con lo spettatore, ne disillude lo sguardo. Non racconta una storia, non spiega il pensiero di Mieli, ma attraverso letture di brani, momenti meta-teatrali, brevi racconti e immagini restituisce il riverbero della presenza intensissima del filosofo, morto suicida il 12 marzo 1983, a soli trent’anni.

Le immagini di Anna Resmini, animazioni disegnate a mano frame by frame, sporche e vive, impattanti e simboliche, riprendono il triangolo bianco che fa da scenografia e poi si trasformano: trasformazioni di mani in ombre in corpi in passi in lingue. Tutto si trasforma come l’identità, e quella trasformazione è morbida e spontanea e libera finché non viene fermata, definita e nominata, finché continua a fluire proprio come in ogni essere umano fluisce la percezione – non solo sessuale – di sé. Percezione che, se è viva, muta a ogni nuova persona incontrata, a ogni nuovo libro letto, discorso fatto, cielo osservato, pensiero pensato, morte nascita o amore vissuti, in un incantesimo continuo.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.