Teatro

Io, in cima al Monte Bianco: la storia della prima scalatrice del Monte Bianco in scena

21 Marzo 2025

Un’avventura d’altri tempi estremamente contemporanea, una contessa, un’alpinista, una donna che decide di sfidare i limiti che le sono stati socialmente imposti dall’appartenenza al “sesso debole”. Venerdì 11 e sabato 12 aprile ad Alta luce teatro a Milano andrà in scena “Io, in cima al monte bianco”, uno spettacolo scritto e diretto da Monica Faggiani e interpretato da Elizabeth Annable. Protagonista della storia l’alpinista ginevrina Henriette d’Angeville arrivata, il 3 settembre 1838, all’età di 44 anni alla vetta del Monte Bianco con l’aiuto di un bastone e di dodici persone tra guide e portatori. L’impresa fu commentata con un misto di sorpresa e toni sprezzanti all’epoca. Una guida di Chamonix al suo ritorno le disse: «Avete avuto il grande merito di andare sul Monte Bianco, ma bisogna convenire che il Monte Bianco ne avrà molto meno ora che anche le signore possono scalarlo». In molti provarono a scoraggiarla ma la Contessa Avventurosa non solo scalò senza paura il Monte Bianco ma lo fece alla guida della spedizione rifiutandosi di aggregarsi ad altre due spedizioni (ovviamente maschili). Voleva farcela e ce la fece.
Nel corso dei preparativi e per tutta la durata dell’impresa Henriette registra sul suo quadernetto verde ogni dettaglio dell’avventura, incluse le malignità di cui è bersaglio. È un racconto pieno di verve e ironia (e autoironia) ma emerge anche una grande passione per la montagna e il motivo di tutto: un bisogno, avvertito in fondo all’anima, di compiere una vocazione. Queste pagine avrebbero dovuto diventare un libro, ma nessun editore al tempo ebbe il coraggio (o l’intelligenza) di pubblicarlo. Il manoscritto vide le stampe solo nel 1986 in Francia, diventando la prima storia letteraria di alpinismo femminile. D’Angeville non si fermò per alla vetta del Monte Bianco, ma scalò altre 21 vette. L’ultima, a 69 anni, fu l’Oldenhorn sulle Alpi Bernesi. Una vita fatta di sfide, con sè stessa, con la montagna, con i pregiudizi di un tempo che, per tanti elementi ricorda il presente. I ruoli tradizionalmente negati alle donne, il protagonismo negato, la difficoltà, da parte del mondo maschile, ad ammettere il successo di imprese ritenute impossibili per il mondo femminile. Tutto questo torna nello spettacolo “Io, in cima al monte bianco”, accompagnando gli spettatori alla scoperta di una storia per troppo tempo dimenticata e – allo stesso tempo – in una riflessione sul ruolo delle donne e sul loro potenziale affermato spesso con atti di ribellione.  Ne ho parlato con l’autrice e l’interprete in un’intervista a due voci.

 

La storia delle imprese sportive e – più in generale – tutta la storia, a esclusione di alcune monarche e religiose – è stata per tradizione una storia al maschile. Fonti, reperti, cronache descrivono molto più di rado le figure femminili che, pur importanti e pionieristiche, sono spesso rimaste ai margini delle grandi narrazioni. Il caso di D’Angeville non fa eccezione ripensando al rifiuto da parte del mondo editoriale del tempo di dare alle stampe il diario della sua impresa. Da dove è nata la conoscenza di questa figura e come mai ha deciso di lavorare sul recupero, in chiave teatrale, del suo scritto?

Annable: Da anni sono appassionata di montagna, ho scalato vari 4000 mt e lo stesso nome di AltaLuceTeatro deriva da una vetta Altaluce (3165 mt) in Valle di Gressoney. La storia di Henriette d’Angeville mi ha sempre affascinato forse anche perché ne condivido il forte sogno di scalare il Monte Bianco. Mi ha stupito ed emozionato, leggendo i suoi diari, scoprire come le emozioni e le difficoltà non siano cambiate 180 anni e siano le stesse che provo io in montagna. Ancora oggi l’alpinismo è uno sport prettamente maschile e poche sono le donne alpiniste conosciute e quindi ancora di più sento a  me vicino la storia di Henriette d’Angeville.

Ci può raccontare com’è stato il lavoro di recupero, studio e rielaborazione del testo?

Faggiani: Il lavoro si è sviluppato fondamentalmente a partire dai diari di H. D’Angeville che sono ricchi di dettagli, di ironia, e di determinazione. Questi sono stati la base su cui costruire una storia totalmente rispettosa dei fatti ma arricchita dalle suggestioni che mi ha fornito Elizabeth che come sappiamo è una scalatrice e che tanto ha da raccontare sul suo rapporto con la montagna.

Quali sono state le difficoltà maggiori nella realizzazione di questo lavoro?

Faggiani: Direi che questo lavoro, come spesso quelli che nascono dal un forte desiderio narrativo, è nato sotto una buona stella e fino ad ora il lavoro sta procedendo con grande armonia e determinazione. Il team di lavoro è affiatato e parte alle suggestioni reciproche che riusciamo a fornirci.

Oggi per fortuna assistiamo a un importante recupero delle storie e della storia al femminile, ma ancora – nella definizione stessa di racconto “con sguardo di donna” – esistono pregiudizi sul femminile che afferma il suo potenziale. Nell’esplorazione, nello sport, nel teatro. Quali limiti contemporanei vede ancora nel lavoro di recupero di dignità e spessore delle grandi figure femminili del passato?

 Faggiani: Dare voce a donne che sono state cancellate o dimenticate è uno degli imperativi etici del mio lavoro teatrale. Purtroppo è un lavoro lungo e impegnativo perché la nostra società è tutt’oggi una società patriarcale dove per le donne c’è ancora molta strada da fare. In ogni campo abbiamo avuto figure femminili straordinarie ma quasi tutte messe da parte e oggi è necessario, insieme, far sentire la nostra voce e raccontare la storia di queste donne che ci ricordano da dove veniamo e come siamo arrivare qui.

Cosa può raccontare al pubblico contemporaneo, abituato a scalare – fisicamente o virtualmente – le montagne quasi senza sforzo, ma forse ancora ostacolato da limiti culturali nella “scalata” alla parità?

Faggiani: Questo spettacolo racconta la realizzazione di un sogno oltre ogni limite sociale culturale o di genere. E credo che questo sia universale. Raccontare chi ha fatto del suo desiderio una ragione di vita è un privilegio che credo potrà emozionare chi ci seguirà in questa scalata. Come diceva Henriette ‘volere è potere’.

 

 

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