Teatro

Intervista a Mamadou Dioume: “Da Brook ho imparato il lavoro d’equipe”

7 Novembre 2023

Erano gli anni  ’80 quando il maestro Mamadou Dioume inizia  a collaborare con Peter Brook. Quest’ultimo  lo invitò a vestire di panni di Bhima, il figlio del vento dalla forza prodigiosa, nel “Mahabharata” e Dioume interpreterà questo ruolo sia in francese che in inglese durante la tournée teatrale mondiale durata fino al 1988. Da allora, la carriera teatrale dell’attore e collaboratore di Brook è stata ricca di successi culminati  con l’assegnazione del Premio Vincenzo Crocitti International nel 2021, anno in cui intraprende una tournée nazionale con il suo “Edipo a Colono” nei più importanti Teatri greci e romani e aree archeologiche d’Italia fra cui la Prima Nazionale al Teatro Greco di Segesta nonché Teatro Romano di Ferento, Teatro Romano di Volterra, Anfiteatro di Alba Fucens, Anfiteatro Romano di Sutri, Teatro Greco di Palazzolo Acreide e Teatro Greco di Eraclea Minoa. Il maestro Dioume è attualmente impegnato in un progetto a cura del Teatro Hamlet di Roma, ovvero il Centro di Ricerca Itinerante “Sulle orme di Peter Brook” le cui prossime tappe lo vedranno, questo mese, protagonista in Calabria, dal 16 al 19 novembre, e in Piemonte, dal 23 al 26. In questa intervista, racconta del suo rapporto con il celebre regista britannico e del sodalizio artistico con il Teatro Hamlet.

Come e quando è avvenuto il suo incontro con Peter Brook?

Negli anni ‘80 io facevo parte della compagnia stabile del Teatro Nazionale Daniel Sorano di Dakar che aveva fatto diverse tournée in Europa; Peter aveva sentito parlare di me ma non eravamo riusciti a incontrarci così nel ‘84 prese il concorde e venne fino in Senegal per assistere al mio spettacolo “Les Bouts de bois de Dieu”. Finalmente ci incontrammo: mi disse del suo progetto sul Mahabharata, parlammo, lavorammo sull’improvvisazione per qualche giorno e alla fine lui mi invitò a Parigi per iniziare il percorso che poi ci portò alla messa in scena finale dell’opera.

Qual è stato il principale insegnamento che Brook le ha trasmesso e che ancora oggi porta con sé in teatro?

Il più grande insegnamento di Brook è stato umano. Nel suo modo di concepire il teatro l’equipe è fondamentale: deve esserci un incontro di anime per portare avanti la creazione artistica. Dobbiamo confrontarci prima con noi stessi e poi con l’altro in maniera sana, naturale e spontanea per poi imparare come accettare o combattere le nostre difficoltà e fragilità umane.

 Attraverso il suo coinvolgimento, Il Centro di Ricerca Itinerante diretto dal Teatro Hamlet, contribuisce a divulgare il pensiero teatrale di Peter Brook: come è iniziata la sua collaborazione con questo progetto?

Teatro Hamlet ha fondato nel 2014 un Centro di Ricerca e Innovazione Teatrale Stabile a Roma con cui collaboro dal momento della sua apertura. Quando mi hanno proposto di creare una realtà parallela itinerante che portasse il Teatro di Ricerca fuori dalle grandi città in varie regioni italiane ho accettato subito. Credo che sia fondamentale il riequilibrio culturale territoriale e questo progetto, grazie al sostegno del Ministero della Cultura, ci ha dato un’opportunità di lavorare in tal senso.

Cosa si intende oggi per teatro sperimentale secondo lei?

Il teatro sperimentale o il teatro di ricerca ha la responsabilità di cercare linguaggi espressivi sempre nuovi, mischiare le arti, cedere alla contaminazione con esse. Il teatro di ricerca è ricominciare da zero ogni volta che si mette in scena uno spettacolo, è tentare una strada nuova e perdersi se necessario.

E’ in scena nella produzione teatrale, con la regia di Gina Merulla, “Il Quarto Vuoto” attualmente in tour per l’Italia: che ruolo interpreta?

“Il Quarto Vuoto” non è uno spettacolo di ruoli: è uno spettacolo sull’essere umano. In questo spettacolo il messaggio dell’autrice-regista Gina Merulla è veicolato attraverso il corpo e l’emozione dell’attore che è unico e molteplice; l’importante è il viaggio individuale all’interno del proprio deserto interiore. E’ un percorso profondo, spesso duro, che condivido con l’equipe composta da Fabrizio Ferrari, Sabrina Biagioli e Massimo Secondi.

Attualmente, con il Centro di ricerca Itinerante, è impegnato anche nella formazione. Quali sono i punti essenziali su cui si basano i suoi workshop?

Il percorso formativo che propongo ai miei allievi parte sempre dalla destrutturazione del sé e dalla ricerca interiore. Dobbiamo abbandonare le nostre sovrastrutture e abbracciare il lavoro per una esplorazione profonda di noi stessi come attori e esseri umani. L’ascolto del ritmo interiore legato all’impulso emotivo ci aiuta a liberare le nostre emozioni. E’ un lavoro costante che non ha mai termine.

 

 

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